Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-02-2012, n. 2261 Dimissioni dal servizio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 96 del 2006 il Giudice del lavoro del Tribunale di Ancona rigettava le domande proposte da F.G. nei confronti del Ministero dell’istruzione Università e Ricerca.

In particolare il giudice adito motivava il rigetto del ricorso introduttivo rilevando che la portata retroattiva della richiesta pronuncia di annullamento dell’atto di dimissioni non comporta il diritto del lavoratore alle retribuzioni e al trattamento previdenziale maturato dalla data delle dimissioni a quella della riammissione in servizio, in quanto l’effetto risolutorio delle dimissioni permane fino alla data della sentenza, non essendo configurabile alcun obbligo del datore di lavoro di accettare il lavoratore in azienda prima di tale momento e non potendo profilarsi un’ipotesi di mora del datore di lavoro rispetto ad un rapporto che, prima della sentenza di annullamento, deve considerarsi inesistente.

Il giudice rilevava quindi l’infondatezza delle pretese dirette ad ottenere il pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo successivo al collocamento a riposo, nonchè dei contributi spettanti al fine della rideterminazione del trattamento di quiescenza e dell’indennità di buonuscita con conseguente inammissibilità per carenza di interesse della domanda volta all’annullamento delle dimissioni ed alla ricostruzione della carriera, trattandosi di declaratoria ed accertamento finalizzati unicamente all’erogazione del trattamento retributivo e previdenziale preteso, con conseguente rideterminazione del trattamento pensionistico in godimento.

L’infondatezza di tali ultime pretese faceva venir meno l’interesse del ricorrente all’accoglimento delle ulteriori domande proposte.

Con l’atto di appello il F. deduceva che la sentenza non teneva conto della precisazione della domanda avvenuta alla prima udienza, diretta alla ricostruzione del rapporto dal 1-9-1999 e del diritto a conservare il posto per malattia ex art. 20 del ccnl del 9-1-97 dal 1- 9-1999 al 30-11-2000 e poi in congedo ordinario dal 1-12-2000 al 5-1- 2001, con collocamento a riposo, quindi, dal 6-1-2001.

La domanda era stata precisata nel senso di ottenere il riconoscimento di un congruo periodo di congedo "figurativo" per malattia oltre che per ferie e festività. Essa, quindi, in sostanza non era diretta alla ricostruzione della carriera al fine di godere di ulteriori scatti retributivi e contributi previdenziali, quanto a godere dei benefici economici di cui al ccnl per il biennio 2000-2001 con effetti rilevanti sul trattamento di quiescenza e buonuscita.

Inoltre, per l’appellante, il pagamento delle retribuzioni maturate nelle more era richiesto al mero fine di compensare il diritto di ripetizione che l’amministrazione avrebbe potuto esercitare nei confronti dei ratei di pensione non più dovuti al ricorrente nel periodo dal 1-9-2001 al 5-1-2001.

Il Ministero appellato si costituiva rilevando che, oltre che per le considerazioni espresse nella sentenza gravata, l’appello non poteva essere accolto sia perchè il ricorrente non avrebbe in ogni caso potuto lavorare alle dipendenze dell’amministrazione, oltre la data del 31-8-2001, sia perchè il ricorso per l’annullamento delle dimissioni non avrebbe mai potuto ripristinare il rapporto di lavoro, con conseguente impossibilità di riconoscimento di un biennio aggiuntivo di servizio in carenza di qualsiasi prestazione lavorativa, sia perchè non erano stati rappresentati elementi in grado di escludere la piena capacità di intendere e di volere dell’appellante al momento in cui aveva rassegnato le proprie dimissioni.

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza depositata l’8-4-2009, respingeva l’appello e compensava le spese.

In sintesi la Corte territoriale rilevava che le conclusioni precisate all’udienza del 7-4-2005 integravano una mutatio libelli basata su fatti ulteriori.

In sostanza la domanda iniziale si fondava "sul mero annullamento delle dimissioni per incapacità naturale e sul conseguente obbligo di pagamento delle retribuzioni dovute in forza della ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro". La difesa dell’appellante, infatti, "avvedutasi che dall’annullamento delle dimissioni non conseguiva ex se il diritto al pagamento di emolumenti retributivi successivi all’atto di recesso, assolutamente necessari per poter aspirare ad un diverso trattamento pensionistico, fondava il proprio diritto alla retribuzione su fatti ulteriori e precisamente: a) sulla patologia psichica che avrebbe affetto il ricorrente fino al 31-12-2000, documentata dal certificato del medico curante del 14-6-2004, depositato nel corso della prima udienza; b) del congedo ordinario per ferie e festività per ulteriori giorni 36 nell’anno 2000".

Peraltro la Corte di merito aggiungeva che nella fattispecie "l’impossibilità di configurare, in capo al datore di lavoro – nelle more tra l’atto di dimissioni e la sentenza che le annulla – un’obbligazione retributiva, si fonda non solo sulla mancanza di sinallagma ma pure sull’inesistenza, fino alla sentenza di annullamento, del rapporto di lavoro, onde non può in tale periodo configurarsi alcuna obbligazione retributiva, neppure di tipo figurativo, che comunque presuppone la vigenza del rapporto di lavoro".

Per la cassazione di tale sentenza il F. ha proposto ricorso con un unico motivo.

Il MIUR ha resistito con controricorso.

Il F. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con l’unico motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. lamenta che la sentenza impugnata "ha rigettato l’appello senza pronunciarsi affatto sulla domanda di annullamento delle dimissioni ex art. 428 c.c., costituendo essa… l’unico vero interesse ad agire del ricorrente", incentrato sulla conseguente "condanna dell’amministrazione alla riliquidazione del trattamento di quiescenza e dell’indennità di buonuscita sulla base dei trattamenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva per il biennio 2000-2001".

In sostanza, secondo il ricorrente, l’efficacia retroattiva della sentenza di annullamento delle dimissioni ex art. 428 c.c., lo avrebbe reintegrato ex tunc nel rapporto di lavoro, con ripristino dello stesso dal 1-9-1999 e con conseguente diritto all’applicazione dei miglioramenti contrattuali di cui al biennio 2000-2001, che "attengono alla pura esistenza del rapporto di lavoro e non già alla realtà sinallagmatica del rapporto di servizio".

Il motivo non merita accoglimento.

In primo luogo osserva il Collegio che il ricorrente non censura in alcun modo la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui ha chiaramente affermato la novità e inammissibilità della domanda, come "precisata" all’udienza del 7-4-2005, ed ha espressamente dichiarato che "ciò è sufficiente per il rigetto dell’appello, che si fonda proprio sull’omessa considerazione dei profili di fatto e diritto tardivamente introdotti".

La mancata impugnazione di tale capo della sentenza, idoneo di per sè a sostenere l’intera decisione, comporta che la stessa resterebbe pur sempre fondata su tale prima ratio decidendi, con conseguente inammissibilità del formulato motivo di ricorso (cfr. Cass. 23-2- 2006 n. 3989, Cass. 18-9-2006 n. 20118, Cass. 11-1-2007 n. 389, Cass. 5-3-2007 n. 5051).

In ogni caso non può trascurarsi che nella specie la Corte di merito non è affatto incorsa nel vizio di omessa pronuncia denunciato, in quanto ha chiaramente pronunciato anche sulla domanda originaria di annullamento delle dimissioni finalizzata alla ricostituzione dei rapporto, come da conclusioni del ricorso di primo grado.

In particolare la Corte territoriale ha evidenziato non solo la "impossibilità di configurare, in capo al datore di lavoro – nelle more tra l’atto di dimissioni e la sentenza che le annulla – un’obbligazione retributiva", ma anche la "inesistenza, fino alla sentenza di annullamento, del rapporto di lavoro, onde non può in tale periodo configurarsi alcuna obbligazione retributiva, neppure di tipo "figurativo", che comunque presuppone la vigenza del rapporto di lavoro". Al riguardo la Corte d’Appello ha altresì precisato che:

"tale obbligazione non è suscettibile di "rivivere" a seguito dell’annullamento delle dimissioni. Queste non determinano una situazione di parziale quiescenza del rapporto, con sospensione parziale dei suoi effetti come accade nei casi di malattia del lavoratore. Il recesso determina l’estinzione del rapporto. La sentenza di annullamento dell’atto di recesso si limita a ricostituirlo ma non comporta il sorgere, in capo al datore di lavoro, di nuove obbligazioni relative al periodo anteriore (salva l’eventualità di una responsabilità risarcitoria, che nel caso in esame non si pone)".

Tale decisione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che ha affermato che "nell’ipotesi di annullamento delle dimissioni presentate da un lavoratore subordinato (nella specie determinato da incapacità naturale del dimissionario), il principio secondo cui la pronuncia di annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva, nel senso che essa comporta il ripristino, tra le parti, della situazione giuridica anteriore al negozio annullato, che si considera come insussistente fin dall’inizio, non comporta il riconoscimento del diritto del lavoratore al trattamento retributivo e previdenziale maturato nel periodo di tempo compreso tra la data delle dimissioni e la decisione di annullamento del giudice di primo grado, atteso, che, in tale ipotesi, l’effetto risolutorio delle dimissioni permane fino alla data della sentenza, non essendo configurabile alcun obbligo del datore di lavoro di accettare il lavoratore in azienda prima di tale momento e non potendo quindi profilarsi un’ipotesi di mora del datore di lavoro rispetto ad un rapporto che, prima della sentenza di annullamento, deve considerarsi inesistente" (Cass. 5-7-1996 n. 6166, cfr.Cass. 6-11-2000 n. 14438, Cass. 17-6-2005 n. 13045).

Sulla inesistenza, quindi, comunque, del rapporto di lavoro nel periodo oggetto della ricostituzione richiesta dal F., come conseguenza del preteso annullamento delle dimissioni, legittimamente la Corte di merito ha anche respinto la domanda (originaria) del F..

Il ricorso va così respinto e il ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannato al pagamento delle spese in favore del controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese liquidate in Euro30,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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