Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-07-2011) 29-09-2011, n. 35560

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. A. e C.M. propongono ricorso avverso la sentenza 14/1/2011 della Corte d’appello di Torino che ha confermato la loro condanna per il delitto di ragion fattasi.

Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) in riferimento all’erronea applicazione delle norme in materia di concorso nel reato, riguardo all’affermazione di responsabilità di C.A..

In particolare si ritiene che sia stata individuata la responsabilità del ricorrente solo nella realizzazione di condotte successive al reato, che non potevano costituire partecipazione al fatto illecito, presupposto dell’affermazione di responsabilità a titolo di concorso.

Richiamate le circostanze di fatto in cui l’azione delittuosa si è realizzata, costituita dall’aver A. accompagnato il padre a riprendersi il mezzo venduto alla parte lesa, che non ne aveva pagato il prezzo, si osserva che nessuna attività era da questi stata compiuta, e che, non correttamente, la Corte aveva individuato elementi di partecipazione di A. all’illecito nella sola presenza in superiorità numerica rispetto al contraddittore, nella sollecitazione al padre a far presto, nell’essersi posto alla guida del mezzo, una volta ottenutone il possesso.

Si rileva in contrario che non fosse stata provata la presenza di un previo accordo con il padre rispetto all’azione da compiere; che la superiorità numerica era stata determinata dall’allontanamento della moglie della parte lesa, non prevedibile; che la sollecitazione a fare in fretta, essendo stata rivolta al padre, non poteva assumere alcuna valenza minacciosa; che l’azione di porsi alla guida del mezzo era stata realizzata dopo la sua apprensione, e quindi ad azione illecita perfezionata.

2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione della norma incriminatrice, per avere il giudice erroneamente inquadrato l’attività compiuta in minacce penalmente rilevanti, nonchè difetto di motivazione riguardo la formulazione di espressioni idonee a forzare la volontà del soggetto passivo.

Invero le pretese minacce formulate erano state in realtà volte a ricordare che l’auto non sarebbe stata restituita fino a che non ne fosse stato corrisposto integralmente il prezzo, mentre si è ritenuto che le affermazioni fossero idonee a intimidire la parte lesa, in quanto accompagnate dalle sollecitazioni di A. a fare presto. Si osserva in proposito che richiamare la possibilità di una mancata restituzione del bene è il nucleo costitutivo della ragion fattasi e non può per questo integrare la minaccia richiesta dalla legge quale condotta materiale del reato.

Si contesta poi che gesticolare possa essere considerato uno strumento di pressione dell’altrui volontà e non una modalità espressiva.

Si richiamano inoltre le dichiarazioni della parte lesa, che ha riferito di aver offerto un caffè ai suoi contraddittori, per escludere l’effetto minaccioso del loro comportamento, mentre la condotta del denunciante, che aveva omesso il pagamento del mezzo per oltre un anno e mezzo, e che una volta rientrato nel possesso del bene aveva provveduto a rivenderlo senza corrisponderne il prezzo, costituisce elemento di fatto ingiustamente non valutato dal giudice di merito.

3. Si contesta da ultimo la scelta di non concedere le attenuanti generiche a C.M., solo in ragione dei precedenti penali a suo carico, osservando che per escludere tale trattamento è necessaria una valutazione più ampia sulla personalità e sul comportamento processuale dell’imputato, in questo caso mancante.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile. Le contestazioni afferenti la pretesa assenza di incidenza causale dell’attività svolta da A. nella consumazione dell’illecito non considerano la piena coordinazione dell’attività da questi compiuta rispetto alle finalità avute di mira dal padre, al cui aiuto il primo ha portato un rilevante contributo desumibile, tra l’altro, dalla necessaria presenza di un secondo conducente per realizzare la sottrazione del mezzo; d’altro canto, il diritto di C.M. di ottenere il pagamento del mezzo, non gli consentiva di riappropriarsi del bene, dovendo egli ricorrere al giudice per esercitare il suo diritto di credito.

In tal senso deve escludersi che le minacce formulate per riottenere il pagamento del prezzo o la restituzione del bene possano qualificarsi penalmente irrilevanti, in quanto sono state funzionali a forzare la volontà del soggetto passivo di realizzare un diritto che non poteva esercitarsi se non a seguito di azioni giudiziarie non proposte.

L’atteggiamento tenuto da C.A., per come descritto nella sentenza di merito, e non contrastato da diverse allegazioni nel ricorso,denota piena coordinazione con l’azione del padre, essendo le sue sollecitazioni mirate a far presto sia alla parte lesa, al fine di convincerla a cedere alle richieste, sia al padre, nel momento in cui questi, attardandosi a minacciare il debitore, rimasto solo contro di loro, non concludeva l’azione, evidentemente sottoponendo a rischio il suo esito.

La circostanza che, raggiunto lo scopo, senza specifici accordi, proprio A. si sia posto alla guida del mezzo oggetto della controversia costituisce la migliore conferma della coordinazione dell’azione; anche sotto tale profilo il ricorso, fondato sulla pretesa violazione di legge penale, in merito alle norme sul concorso di persone nel reato, risulta inammissibile, del tutto pacifico essendo che possa attribuirsi qualità di concorrente nel reato a chiunque realizzi consapevolmente una parte anche minima dell’azione, e che il dolo di partecipazione ben possa sopraggiungere nel corso dell’azione (principio del tutto pacifico; da ultimo Sez. 2, Sentenza n. 44301 del 19/10/2005, dep. 05/12/2005, imp. Dammacco, Rv. 232853), come, a tutto concedere, si sarebbe verificato nella specie.

2. Inammissibile è inoltre il motivo, proposto nell’interesse di C.M., relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, elemento di attenuazione della pena applicabile discrezionalmente dal giudice, il quale non è tenuto al loro riconoscimento, ove non sussistano elementi oggettivi o soggettivi idonei a legittimare una moderazione della misura della pena; è del tutto pacifico che il giudicante non sia tenuto a motivare per contrastare gli elementi di fatto ritenuti favorevoli dalla difesa a tal fine, ove sussistano e siano indicati nella motivazione elementi di segno contrario, ritenuti idonei dal giudicante ad escludere il contenimento della sanzione.

Nella specie, in senso contrario, a fronte dell’indicazione di fatto operata dal giudice, sussiste solo la contestazione della difesa, non correlata all’apprezzamento di elementi di fatto favorevoli, ingiustamente disattesi dal giudicante, che rendano illegittima la sua decisione, per omessa motivazione.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.. La condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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