Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-07-2011) 29-09-2011, n. 35558

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma di quella resa dal Tribunale di Padova del 26 novembre 2009 nei confronti di O.F., ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputata in ordine al primo episodio di calunnia contestatole ai danni di C.L., perchè estinto per prescrizione e ne confermato la condanna per il secondo episodio, sempre in danno del C.;

ha rigettato l’appello incidentate detta parte offesa costituitasi parte civile ed ha confermato le statuizioni civili assunte con la sentenza di prime cure.

2. Ricorre il difensore della O. e deduce che la pronuncia presenta manifesti vizi di motivazione, in ordine alla individuazione dell’elemento soggettivo, privilegiando illogicamente la versione dei fatti offerta dal C. e non tenendo conto che la donna si era trovata a fronteggiare la rottura della relazione con costui, e che si erano verificati tra le parti momenti di tensione e di scontro;

pertanto, nella Imputata si era ragionevolmente ingenerata la convinzione che un episodio di violenza occorsole fosse stato compiuto dall’ex fidanzato e che costui in una seconda occasione di incontro l’avesse allontanata usando la forza fisica. Inoltre sottolinea che la pronuncia non ha valutato la attendibilità della parte offesa.

Motivi della decisione

1. L’impugnazione è da dichiarare inammissibile.

2. In realtà, con gli articolati motivi, la ricorrente trascende i limiti del sindacato rimesso a questa corte di legittimità, proponendo una diversa lettura dei dati di fatto su cui è incentrata la motivazione del giudice distrettuale.

3. Questi ha rilevato che la donna aveva deliberatamente attribuito all’ex fidanzato un comportamento aggressivo, nonostante la sua versione, peraltro piena di contraddizioni, fosse smentita e dell’accusato e da un teste, che era intervenuto per allontanarla. Il giudice di appello ha, in particolare, sottolineato che era emerso, al contrario di quanto affermato in denuncia, che era stata la sola O. ad offendere con frasi rabbiose il C., ad inveire ed ad a graffiarlo e che costui aveva solo cercato di bloccarne le escandescenze.

4. Tale versione dei fatti, plausibile di per sè, essendosi la donna, come sottolineato nella sentenza, appostata fuori della abitazione del convivente per attenderne l’arrivo, allo scopo di avere un chiarimento, subito trasceso, nelle sue modalità coincideva con quella dell’altro teste, che aveva escluso che l’uomo avesse sferrato calci e pugni, come riferito nella querela dalla donna.

Pertanto, era da escludere che l’aggressione fosse avvenuta ad opera dell’accusato e che questi avesse agito di sorpresa, come descritto netta menzognera denuncia.

5. A fronte di tale ricostruzione dei fatti, logica e lineare e perciò insindacabile, dato che i vizi del ragionamento sono rilevabili, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e solo dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che detto testo è manifestamente carente di motivazione e/o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, degli atti processuali, è evidente che non può avere ingresso la lagnanza circa la modalità dell’aggressione e la conseguente inesistenza del dolo di calunnia.

6. L’elemento soggettivo del reato è stato infatti esattamente individuato nella consapevolezza della assoluta falsità del comportamento additato al C.; nè può invocarsi il dubbio sulla colpevolezza di questi, poichè in tema di calunnia, la consapevolezza del denunciante circa l’innocenza dell’accusato è esclusa solo se sospetti, congetture o supposizioni di illiceità dei fatto denunciato siano ragionevoli, ossia fondati su elementi di fatto tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte del cittadino comune che si trovi nella medesima situazione di conoscenza.

7. Questa condizione è stata logicamente esclusa dalla corte di merito, con iter argomentativo, basato sulle modalità dei fatti, che si condivide.

8. è appena il caso di accennare poi della manifesta inammissibilità della censura relativa alla credibilità della parte offesa, anch’essa basata sui considerazioni di puro merito, ritenute non meritevoli di considerazione da parte dei giudici distrettuali.

9. Il ricorso è dunque inammissibile e la ricorrente è da condannare al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della casa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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