Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-02-2012, n. 2256 Ratei arretrati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma – premessa (in riforma della decisione di primo grado) la validità della procura alle liti rilasciata al proprio difensore da M. C.E. – ha rigettato la domanda da costei proposta contro l’INPS per ottenerne la condanna al pagamento degli accessori (asseritamente) dovuti per il ritardato pagamento della pensione, osservando che l’Istituto previdenziale aveva dato prova di aver corrisposto quanto richiesto in giudizio e la parte privata non aveva in alcun modo preso posizione in ordine a dedotto pagamento.

Di questa sentenza C.M.E. chiede la cassazione con ricorso affidato a 3 motivi. L’INPS resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo, denunciando (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 437 c.p.c., nonchè degli artt. 1218, 1277 e 2697 c.c. si conclude con un quesito di diritto con cui si chiede alla Corte di dire "se il giudice di merito, ove avesse applicato le norme di diritto prima citate, sarebbe dovuto pervenire a una difforme decisione rispetto alle statuizioni contenute nella sentenza in esame, testualmente sopra riprodotte, ritenendo indimostrato l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria eccepito dall’Istituto, sulla base della mancata prova dello stesso, consistente in mera documentazione interna rappresentante dichiarazioni provenienti dallo stesso debitore". 2. La censura è inammissibile, prima ancora che per la estrema genericità del quesito di diritto, rispetto alle prescrizioni cui il ricorrente è tenuto ad ottemperare nella sua formulazione alla stregua dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile, nella specie, ratione temporis) (vedi, tra tante. Cass. Sez. un. n. 18759/2008, n. 20409/2008, n. 5624/2009, n. 8463/2009), per l’inconferenza del quesito stesso rispetto al decisum della sentenza impugnata (vedi Cass. Sez. un. n. 14385/2007), avendo questa fondato l’affermazione della infondatezza della domanda non solo sulla accertata prova del pagamento da parte dell’INPS, ma sulla ulteriore considerazione – valida di per sè a darvi autonomo supporto, ma non specificamente censurata in questa sede – secondo la quale la parte privata non aveva in alcun modo preso posizione (in altri termini, non aveva formulato alcuna contestazione) in ordine al dedotto pagamento.

3. Nel secondo motivo, proposto per l’ipotesi in cui l’Istituto intenda controricorrere sul punto e con deduzione di violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c. si contesta alla sentenza di primo grado di aver ritenuto nulla la procura alle liti.

4. Nel terzo motivo, con deduzione di vizio di motivazione, si censura sempre la sentenza di primo grado per aver dato rilievo alla mancata presentazione della ricorrente a rendere l’interrogatorio formale al fine di non ritenere raggiunta la prova dell’avvenuto conferimento della procura alle liti al difensore della ricorrente medesima.

5. Questi due motivi, che si trattano congiuntamente, censurando entrambi, sotto diversi profili, la statuizione del giudice di primo grado relativa alla nullità della procura alle liti, sono manifestamente inammissibili perchè recanti censure contro la sentenza di primo grado, anzichè contro quella d’appello, oggetto della presente impugnazione (vedi Cass. 15952/2007. n. 13259/2006, n. 5637/2006 e numerose conformi) e, in ogni caso, per difetto del necessario presupposto della soccombenza (vedi, tra tante, Cass. n. 26921/2008, n. 5133/2007. n. 20813/2004) posto che la Corte territoriale ha accolto, sul punto, l’appello della C. affermando la validità della suddetta procura.

6. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

7. La ricorrente è condannata al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo sostituito dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42 convertito dalla L. n. 326 del 2003, tenuto conto che il giudizio di primo grado è stato instaurato dopo il 3 ottobre del 2003, dunque nella vigenza della nuova disciplina, e che mancano attestazioni sui redditi della ricorrente medesima.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 30,00 per esborsi e in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, con accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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