Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-02-2012, n. 2250 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza del 20.1.05 il Tribunale di Bologna, accogliendo la domanda proposta da D.M.T., annullava il licenziamento allo stesso irrogato per giustificato motivo oggettivo da Junior Star s.r.l. e condannava il datore al risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità della retribuzione globale di fatto.

2.- Proposto appello da Junior Star, la Corte d’appello di Bologna con sentenza del 14.10.08 rigettava l’impugnazione. La posizione di magazziniere, ricoperta dal D.M., la cui soppressione era stata dedotta a fondamento del g.m.o., era stata mantenuta, pur smembrata tra un altro dipendente ed uno dei soci di Junior Star. Tale rimodulazione aziendale avrebbe dovuto essere motivata da ragioni produttive e non da mera discrezionalità datoriale e, soprattutto, avrebbe imposto il ricollocamento del dipendente in altra posizione lavorativa. Non essendo stata fornita al riguardo dal datore prova alcuna, il g.m.o. era da ritenere non provato.

3.- Junior Star propone ricorso per cassazione illustrato da memoria.

Non ha svolto attività difensiva D.M..

Motivi della decisione

4.- I motivi del ricorrente possono essere così sintetizzati:

4.1.- violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3 atteso che per la sussistenza del g.m.o. non è richiesta l’eliminazione della posizione lavorativa del lavoratore licenziato, ma solo la diversa distribuzione delle mansioni relative o la loro riassegnazione;

4.2.- violazione dello stesso art. 3 sotto diverso profilo, in quanto per la sussistenza del g.m.o. non è necessario dimostrare l’esigenza sopravvenuta di procedere alla totale eliminazione della posizione lavorativa del lavoratore licenziato, ma è sufficiente solo il riscontro giudiziale della sussistenza della dedotta riorganizzazione, essendo insindacabile la scelta compiuta dall’imprenditore;

4.3.- carenza di motivazione, in quanto la Corte d’appello, ignorando il motivo d’appello al riguardo proposto, ha ribadito l’illegittimità del licenziamento, per l’accertamento della quale non era stata proposta domanda, senza pronunziare sulla richiesta di accertamento della inefficacia, nullità e comunque annullabilità avanzata dal lavoratore, di modo che dall’accertamento sarebbe derivata la tutela risarcitoria prevista per l’illegittimità;

4.4.- la stessa censura di cui al punto 4.3. è dedotta sotto il profilo dell’art. 112 c.p.c., in quanto il giudice di appello, ribadendo la pronunzia di illegittimità del licenziamento già adottata dal primo giudice (in luogo della richiesta pronunzia di inefficacia, nullità e comunque annullabilità del recesso) sarebbe andato extra petita ed avrebbe indebitamente condannato il datore al risarcimento del danno;

4.5.- carenza di motivazione, dato che i parametri in base ai quali il giudice di appello ha ritenuto congruamente determinata in cinque mensilità l’indennità risarcitoria prevista dalla L. n. 604, art. 8 a fronte del minimo di legge fissato in 2,5 mensilità e di una anzianità di servizio inferiore ad un anno, capovolge il cammino logico suggerito dal legislatore per la quantificazione dell’indennità. 5.- Procedendo a trattazione congiunta dei primi due motivi, deve rilevarsi che il datore di lavoro ha giustificato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deducendo ragioni inerenti l’attività produttiva, in ragione del riassetto organizzativo dell’azienda adottato per perseguire l’obiettivo di una più economica gestione dell’impresa.

L’opportunità e la congruità di una tale scelta è rimessa alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, dato che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. Al giudice compete, invece, il controllo della reale sussistenza del motivo addotto; pertanto, la scelta che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, ma è pur sempre sottoposta al riscontro dell’effettività del riassetto organizzativo (giurisprudenza costante, vedi da ultimo e per tutte Cass. 30.11.10 n. 24235 e 8.02.11 n. 3040).

6.- Nel caso di specie il giudice di merito è pervenuto alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento dopo aver accertato le seguenti circostanze: a) il D.M. era stato assunto con mansioni di magazziniere; b) il datore aveva giustificato il licenziamento sostenendo che la funzione aziendale legata a quelle mansioni era stata soppressa, atteso che l’attività relativa sarebbe stata espletata da uno dei soci della società; c) l’attività di magazziniere nella realtà non fu soppressa, ma fu redistribuita tra due soggetti, distinguendo la "parte operativa e materiale" da quella "gestionale delle merci", con assegnazione della prima ad altro dipendente (tale F.) e della seconda ad uno dei soci (tale M.).

A prescindere dalle ulteriori valutazioni di carattere argomentativo, che qui non rilevano, il percorso logico-giuridico seguito dal giudice di appello è conforme al principio di diritto sopra enunziato, in quanto la dichiarazione di illegittimità del licenziamento è frutto non di un sindacato sulla scelta di opportunità, ma della verifica dell’insussistenza delle circostanze di fatto che erano state poste alla base del licenziamento.

In particolare, deve rilevarsi che nella motivazione del licenziamento il datore di lavoro si era espresso nei termini non della semplice "riorganizzazione aziendale", ma – secondo l’incontestato accertamento di fatto – della "soppressione della funzione legata alla figura professionale" di magazziniere, nella realtà non verficatasi. Sono, pertanto, da ritenere inconferenti le considerazioni svolte dalla ricorrente a proposito della insindacabilità della scelta di riorganizzare l’azienda, atteso che nella specie le modalità di riorganizzazione indicate nella motivazione del licenziamento si sono rivelate diverse da quelle concretamente poste in essere.

7.- Passando all’esame dei motivi terzo e quarto, deve rilevarsi che la Corte di merito rigettando l’appello ha anche confermato la statuizione di "illegittimità" del licenziamento, contenuta nella prima sentenza. In questa statuizione il ricorrente ravvisa tanto il vizio di violazione di legge, quanto l’error in procedendo, atteso che il giudice avrebbe omesso di pronunziare sulla richiesta di inefficacia, nullità e comunque annullabilità proposta dall’attore, dando ingresso alla categoria dell’illegittimità e concedendo la connessa tutela risarcitoria.

Dalla lettura della sentenza di appello appare evidente che il giudice, ribadendo la "illegittimità" del licenziamento ha inteso far riferimento alla conseguenza giuridica derivante dalla accertata mancanza del giustificato motivo, nella sostanza ricomprendendo nella categoria dell’illegittimità il concetto di annullamento del licenziamento. Dato che il giudice di merito non pone in dubbio che nella specie debba trovare applicazione la tutela obbligatoria e non quella reale e che sul punto non sussiste alcuna contestazione, sul piano risarcitorio deve farsi riferimento (come del resto sostenuto dallo stesso ricorrente) alla norma della L. 15 luglio 2006, n. 604, art. 8 (come risultante dall’intervento della L. n. 108 del 1990, art. 2), la quale per il caso di inesistenza degli estremi del g.m.o. pone l’alternativa tra la riassunzione ed il risarcimento del danno in maniera indennitaria. Dalla declaratoria di illegittimità, dunque, non deriva alla parte alcun pregiudizio di carattere risarcitorio, atteso che il risarcimento è stato liquidato nella misura di cinque mensilità e, quindi, nei limiti previsti da detta norma.

8.- Quanto all’ultimo motivo (il quinto) deve rilevarsi che in caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo per il quale non sia applicabile la tutela reale, la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell’indennità risarcitoria prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. 5.01.01 n. 107).

La Corte d’appello, valutando la fattispecie nel merito, ha ritenuto equa la fissazione di un importo risarcitorio di cinque mensilità in ragione delle modalità con le quali il licenziamento era stato irrogato (testualmente "in considerazione della pretestuosità della decisione").

L’ulteriore affermazione che esisterebbe un rapporto inversamente proporzionale tra la brevità del rapporto (che nella specie era durato meno di un anno) e l’ammontare dell’indennità si pone in contrasto con uno dei criteri di quantificazione indicati dalla L. n. 604, art. 8 per il quale l’indennità deve essere commisurata all’anzianità di servizio del lavoratore. La valutazione del giudice di merito, privata di questo argomento, rimane tuttavia validamente supportata dall’argomentazione principale che le cinque mensilità trovano giustificazione nella "pretestuosità" del licenziamento.

Trattasi, infatti, di valutazione di merito congruamente motivata e non censurabile in sede di legittimità. 9.- In conclusione, essendo tutti i motivi infondati, il ricorso deve essere rigettato.

10.- Nulla deve statuirsi per le spese del giudizio di legittimità, non avendo il lavoratore svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla statuendo per le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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