Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-02-2012, n. 2247 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso ex art. 1168 c.c. depositato il 21.6.2000 al Tribunale di Tempio Pausania, sezione di Olbia, M.G., esponendo di essere proprietaria di un immobile in complesso condominiale (OMISSIS), confinante con le unità della Finalma srl, la quale aveva realizzato un vano in adiacenza alla di lei proprietà, con l’apertura di una finestra affacciante sul di lei cortile e veranda, sul tetto della copertura aveva realizzato una veranda di pertinenza del piano soprastante, in appoggio aveva realizzato una ampia veranda coperta con pilastri e dalla parte opposta un timpano rivestito in pietra, opere prive di autorizzazione ed a distanza illegale ex artt. 873 e 905 c.c., oltre che in contrasto col regolamento condominiale sul decoro architettonico e l’estetica, chiese la rimessione in pristino.

Nella contumacia della Finalma fu accordata la tutela interinale con ordinanza, riformata dal collegio in sede di reclamo.

La Finalma, costituitasi, svolse tutta una serie di eccezioni formali e sostanziali, rigettate con sentenza n. 54/04, che condannò alla rimessione in pristino ed alle spese, decisione parzialmente riformata dalla Corte di appello di Cagliari, sezione di Sassari, con sentenza n. 424/09, che accolse solo l’eccezione di decadenza dall’azione limitatamente alla lesione del decoro architettonico e dell’estetica delle facciate, condannando la società appellante alla cessazione della molestia del possesso con conseguente demolizione del vano realizzato lungo il confine tra la proprietà (OMISSIS) dell’appellata e quella (OMISSIS) e (OMISSIS) dell’appellante, con compensazione di metà delle spese, sul presupposto che la tutela possessoria era stata accordata per la violazione dell’art. 873 c.c. ed il corpo di fabbrica violava le distanze, statuizione peraltro non censurata. Ricorre Finalma con due motivi, resiste con controricorso la M..

Motivi della decisione

Col primo motivo si lamenta insufficiente motivazione su un fatto controverso, inizio dei lavori, visibilità degli stessi, decorrenza del termine per la proposizione dell’azione possessoria in relazione agli artt. 1168 e 2697 c.c., agli artt. 115 e 116 c.p.c., riportando un brano della sentenza, un verbale di deposizioni testimoniali, un invito per la presentazione di persona sottoposta ad indagini ed altri documenti nonchè orientamenti consolidati della Suprema Corte, concludendo per la non motivazione della tempestività dell’azione.

Col secondo motivo si deduce violazione degli artt. 342, 346 c.p.c. e dell’art. 873 c.c. per essere stata censurata specificamente la statuizione sulla violazione dell’art. 873 c.c., come da atto di appello.

Osserva la Corte che, stante il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, dal contesto dell’atto nel suo complesso, formato dalle premesse e dallo svolgimento dei motivi, "id est" dalla sola lettura di esso, escluso l’esame ^ di ogni altro documento e della stessa sentenza impugnata, deve necessariamente essere desumibile una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, delle decisioni adottate e delle ragioni di esse, in modo da consentire al giudice di legittimità una adeguata comprensione del significato e della portata delle critiche mosse alla pronunzia ("ex plurimis" Cass. 16 settembre 2004 n. 18648, 29 luglio 2004 n. 14474, 21 luglio 2004 n. 13550, 19 aprile 2004 n. 7392,19 luglio 2001 n. 9777 etc.) Pur ove non si voglia considerare determinante la carenza della premessa in fatto, neppure dall’esposizione dei motivi risulta possibile una chiara e completa visione dell’oggetto del giudizio, limitandosi il ricorso a riportare qualche brano della sentenza impugnata, senza alcuna possibilità di ricostruire l’"iter" processuale, le ragioni della decisione e di valutare le censure mosse.

Onde procedere al sindacato sulla pronunzia di merito, è indispensabile al giudice di legittimità conoscere esattamente le originarie prospettazioni delle parti, con domande ed eccezioni, e le decisioni su ciascuna di esse adottate.

Nella specie, la premessa in fatto è costituita dalle fotocopie degli atti processuali di primo e secondo grado, circostanza che richiederebbe un riesame del merito precluso al giudice di legittimità e viola il richiamato principio dell’autosufficienza del ricorso che non consente l’esame di altri atti pur ad esso materialmente allegati.

Anche l’esposizione dei motivi è prevalentemente dedicata alla allegazione di fotocopie degli scritti precedenti.

Va , comunque, osservato, in relazione al primo motivo che la sentenza ha parzialmente accolto il motivo di appello relativo all’eccezione di decadenza, ed ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte circa la decorrenza del termine dal primo atto di spoglio a meno che non si provi trattarsi di atti autonomi, deducendo spettare al convenuto la prova del collegamento dedotto (Cass. 5.6.2007 n. 13116) mentre se la lesione unica del possesso si realizza solo al termine di una serie di atti preparatori e strumentali il termine decorre dall’ultimo di essi (Cass. 26.1.2005 n. 1555), concludendo che l’eccezione di decadenza era infondata per la lesione del possesso che riguardava l’unità immobiliare.

Nè si dimostra l’interesse alla censura rispetto ad una statuizione favorevole al ricorrente.

In relazione al secondo motivo di ricorso va osservato che il secondo motivo di appello è stato dichiarato inammissibile per essere stata accolta la tutela possessoria per violazione dell’art. 873 c.c., statuizione non censurata, mentre il motivo di gravame riportato: "2) Quanto alla erronea qualificazione tribunalizia dell’apertura del vano realizzato dalla appellante, anche alla luce della deposizione del teste D." consiste nel riferimento ad un brano della sentenza di primo grado con la conclusione che trattasi di conclusioni errate perchè vedute sono le aperture che hanno come destinazione normale o permanente di consentire l’affaccio, senza alcun riferimento alla distanza ex art. 873 c.c., donde l’esattezza della decisione impugnata. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2200,00 di cui 2000,00 per compensi, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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