T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 21-10-2011, n. 2512

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La ricorrente ha partecipato alla procedura per l’affidamento dei servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti domestici e rifiuti non pericolosi assimilati, ed altri servizi di igiene urbana, indetta con bando pubblicato sulla G.U.U.E. del 3.2.2010, risultando aggiudicataria provvisoria.

Con il provvedimento impugnato la stazione appaltante è tuttavia intervenuta in autotutela sulla detta aggiudicazione, ritenendo che l’attuale ricorrente, gestore uscente del servizio, non potesse prendere parte alla procedura de quo, in quanto affidataria diretta presso altre Amministrazioni.

Con il ricorso principale si contesta l’interpretazione fornita dalla stazione appaltante all’art. 23 bis c. 9, applicabile ratione temporis, come risultante dalle modifiche apportatevi dal D.L. n. 135/2009.

La controinteressata ha a sua volta presentato ricorso incidentale, chiedendo l’esclusione della ricorrente per motivi diversi ed ulteriori rispetto a quelli ravvisati dalla Commissione di gara, per mancata dimostrazione della capacità finanziaria.

Il ricorso incidentale, da esaminarsi con priorità rispetto a quello principale, è tuttavia infondato.

La dichiarazione della Banca Popolare di Sondrio attesta che "a richiesta della società A2A per conto della società A. S.p.A., facente parte del gruppo A2A S.p.A., possiamo dichiarare che la medesima è una società della quale abbiamo favorevoli referenze per quello che riguarda il suo sviluppo commerciale e finanziario, è favorevolmente giudicata sulla piazza, dispone di mezzi adeguati al proprio giro di affari e dell’idoneità finanziaria ed economica necessarie ad adempiere alle prestazioni relative ai servizi della gara di cui in oggetto".

La dichiarazione della Banca Popolare di Milano attesta che la società A. S.p.A "è in possesso di mezzi finanziari tali da consentirle di fronteggiare, con puntualità e correttezza, gli impegni assunti".

Sostiene la ricorrente incidentale che con tali dichiarazioni gli istituti bancari non avrebbero attestato la solvibilità della concorrente, quanto quella della sua controllante e socio unico, laddove invece le referenze bancarie potrebbero legittimamente riferirsi solo a "rapporti diretti" tra banche e concorrente.

Osserva preliminarmente il Collegio che, da un punto di vista meramente letterale, le dette referenze sono inequivocabilmente riferite alla ricorrente, e non alla sua controllante, sebbene richieste agli istituti bancari da parte di quest’ultima, che nell’ambito degli assetti infragruppo è il soggetto a ciò deputato.

La ricorrente incidentale in più occasioni sostiene che una siffatta modalità di dimostrazione del possesso dei requisiti da parte della ricorrente avrebbe richiesto l’avvalimento, ex art. 49 del D.Lgs. n. 163/06. L’argomento non può tuttavia essere condiviso. Nell’avvalimento vi è infatti un soggetto sprovvisto dei requisiti, e che pertanto li richiede ad altri; nel caso di specie invece la ricorrente era autonomamente in possesso della capacità economicofinanziaria, sebbene, a causa dei suoi rapporti con la società controllata, la sua dimostrazione fosse necessariamente subordinata ad una richiesta inoltrata agli istituti bancari da parte di quest’ultima.

Alla luce di quanto precede diventa irrilevante anche l’asserita tardiva allegazione del contratto di cash pooling tra A2A e A.; quest’ultima ha infatti prodotto dichiarazioni bancarie che ne attestavano la solvibilità, e tanto basta ai fini della dimostrazione del possesso del requisito de quo. A fronte delle contestazioni avanzate in sede di ricorso incidentale, il detto contratto ha infatti semplicemente illustrato le ragioni del perché la richiesta delle referenze fosse stata formulata dalla capogruppo, fermo restando che la loro dimostrazione era preesistente a tale produzione in giudizio.

Quanto precede non è in contrasto con la decisione del Consiglio di stato, sez. V, 26 novembre 2008, n. 5849, invocata dalla ricorrente incidentale, formatasi su una fattispecie non analoga alla presente.

L’infondatezza del ricorso incidentale impone di esaminare quello principale, che va invece accolto.

Le censure sono incentrate sull’interpretazione del citato comma 9 dell’art. 23 bis; norma che risponde alla ratio di favorire la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica da parte di soggetti scelti a seguito di gara ad evidenza pubblica ed, a tal fine, limita i casi di affidamento diretto, consentendo la gestione in house solo ove ricorrano situazioni del tutto eccezionali, che non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato (Corte Cost. 26.1.2011 n. 24). Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito nei commi 2 e 3, è articolato in un duplice ordine di previsioni, tra loro correlate, sancendosi, da una parte, la cessazione della gestione (comma 8) entro un termine variabile in relazione alle caratteristiche del singolo affidamento diretto (lett. a, b, c, e d), che in via residuale è individuato nel 31.12.2010 (lett. e), e dall’altra, il divieto di acquisizione di nuovi servizi (comma 9).

In particolare, il comma 9 dell’art. 23 bis D.L. n. 112/2008, nella versione applicabile alla fattispecie de quo, come modificata dal D.L. n. 135/09, convertito dalla L. n. 166/09, prevede che "Le societa’, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell’Unione europea, che, in Italia o all’estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attività" di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, ne’svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, ne’direttamente, ne’tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, ne’partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle società quotate in mercati regolamentati e al socio selezionato ai sensi della lettera b) del comma 2".

Tale norma, dopo aver enunciato il principio generale del divieto di partecipazione alle gare per gli affidatari in house, nell’ultimo periodo contiene una deroga, in base alla quale "i soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti".

La portata della predetta deroga è dibattuta tra le parti, e la sua interpretazione costituisce l’oggetto del ricorso.

La ricorrente ritiene che, in quanto precedente affidataria in house del servizio da parte della stazione appaltante, dovrebbe considerarsi a tutti gli effetti "cessata", potendo così avvalersi della deroga al divieto di partecipazione alla gara, non rilevando il fatto che la stessa continui a gestire servizi affidati in house da altri Comuni.

Secondo la stazione appaltante e la controinteressata la ricorrente non rientrerebbe nella previsione derogatorie di cui all’ultimo periodo del citato comma 9, poiché al momento di presentazione della domanda gestiva ancora servizi in via diretta, per conto di altri Comuni.

La questione è già stata affrontata con la sentenza n. 1325 del 25.5.2011, da cui il Collegio non intende discostarsi.

Ai fini dell’applicazione della deroga al divieto di partecipazione a gare per gli affidatari diretti di servizi, il tenore letterale del citato comma 9 dell’art. 23 bis richiede la sussistenza di una "cessazione del servizio", e di una "prima gara".

Osserva preliminarmente il Collegio che, ai fini dell’interpretazione letterale della norma, il legislatore ha espressamente evidenziato che i soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono "comunque", concorrere alle prime gare, e dunque anche se al momento della partecipazione siano, per l’appunto, ancora "affidatari diretti" presso altre Amministrazioni.

I "limiti" temporali degli affidamenti diretti, sono fissati dal precedente comma 8, ed è per tale motivo che il comma 9, lungi dall’introdurre un’autorizzazione sine die alla partecipazione per gli affidatari diretti, si limita a precisare che, nell’ambito degli stretti margini temporali già indicati nel comma 8, le imprese affidatarie dirette possono "comunque" partecipare a gare per l’affidamento di servizi pubblici locali. La Corte Costituzionale ha peraltro confermato che "il margine temporale concesso dalla normativa censurata per la cessazione degli affidamenti diretti esistenti è congruo e proporzionato all’entità ed agli effetti delle modifiche normative introdotte e, dunque ragionevole". (sentenza n. 325 del 17/11/2010).

Il tenore letterale del comma 9 è peraltro ulteriormente incompatibile con l’opzione ermeneutica propugnata dalla controinteressata, dal momento che tale norma consente di concorrere su tutto il territorio nazionale agli affidatari diretti, successivamente "alla cessazione del servizio", e non alla cessazione "dei servizi". In caso di una pluralità di affidamenti in house, ove il legislatore avesse voluto consentire al precedente gestore di partecipare alle procedure di scelta solo al momento della cessazione della totalità dei servizi affidati, avrebbe dovuto utilizzare il plurale, mentre si è limitato a richiedere la "cessazione del servizio".

Ai fini dell’interpretazione del citato art. 23 bis comma 9, devono anche esaminarsi le modifiche apportatevi dal legislatore con il D.L. n. 135/09, a distanza di circa un anno dall’emanazione del D.L. n. 112/2008.

La precedente versione della deroga contenuta nella parte finale del comma 9, non applicabile ai fatti per cui è causa, disponeva che "I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l’affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato".

Il raffronto tra le due differenti formulazioni evidenzia la volontà del legislatore di estendere la portata della deroga al divieto di partecipazione.

Nella versione precedente si consentiva ai soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali di concorrere "alla prima gara" svolta per l’affidamento "dello specifico servizio già a loro affidato". Nella versione attuale, applicabile alla fattispecie per cui è causa, l’ambito di operatività della deroga si amplia, poiché successivamente "alla cessazione del servizio", i soggetti affidatari diretti possono infatti concorrere "su tutto il territorio nazionale alla prima gara", senza ulteriori limitazioni. La modifica pare quindi orientata ad un’estensione delle fattispecie derogatorie alla regola generale, come anche riconosciuto in dottrina dai primi commentatori.

Osserva ancora il Collegio che, anche prescindendo dal tenore strettamente letterale della normativa citata, e dall’esame delle sue modifiche, alle conclusioni sopra evidenziate si perviene anche interpretando il predetto comma 9 alla luce del rapporto tra ordinamento interno e comunitario.

La Corte Costituzionale ha espressamente escluso che l’art. 23bis costituisca applicazione necessitata del diritto dell’Unione europea, pur introducendo regole concorrenziali più rigorose di quelle minime richieste dal diritto CE, ma tuttavia non imposte. Le disposizioni di cui al citato art. 23 bis non costituiscono dunque né una violazione né un’applicazione necessitata della normativa comunitaria, ma sono semplicemente con questa compatibili, integrando una delle diverse discipline possibili della materia che il legislatore avrebbe potuto legittimamente adottare. L’applicazione più estesa della regola comunitaria, è pertanto conseguenza di una precisa scelta del legislatore italiano, non apparendo dunque irragionevole, anche se non costituzionalmente obbligata, una disciplina, quale quella di specie, intesa a restringere ulteriormente rispetto al diritto comunitario, i casi di affidamento diretto in house (Corte Cost. 17/11/2010 n. 325).

Sotto altro profilo, la Corte di Giustizia ha già affermato la compatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale che prevedeva il prolungamento della durata del periodo transitorio, al termine del quale dovevano cessare anticipatamente le concessioni a suo tempo affidate senza il rispetto dell’evidenza pubblica, poiché la necessità di rispettare il principio di certezza di diritto, in talune circostanze particolari, può giustificare una limitazione della libera concorrenza (Corte di Giustizia CE, sentenza del 17.7.2008 nel procedimento C347/06). A fronte di una normativa nazionale che prorogava il periodo transitorio relativo ai termini di scadenza degli affidamenti diretti, pur riconoscendosi che "una normativa come quella in questione nella causa principale, comportando il rinvio dell’assegnazione di una nuova concessione mediante procedura ad evidenza pubblica costituisce, almeno durante il suddetto rinvio, una disparità di trattamento a danno delle imprese aventi sede in uno Stato membro" (punto n. 63), la Corte ha concluso che "tale disparità di trattamento può tuttavia essere giustificata da circostanze oggettive, quali la necessità di rispettare il principio della certezza del diritto (punto n. 64), che fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario e si impone ad ogni autorità nazionale che debba applicare il diritto comunitario" (punto n. 65). A supporto delle predette conclusioni la Corte ha affermato che nessuna norma di diritto comunitario prevedeva espressamente un obbligo di cessazione degli affidamenti diretti (punto n. 67), che la disciplina transitoria "si inserisce in un’ottica di maggior rispetto del diritto comunitario" (punto n. 68), e che una restrizione del periodo transitorio potesse "comportare conseguenze sfavorevoli in capo ai singoli e alle imprese" (punto n. 69).

Le conclusioni cui perviene la citata sentenza della Corte di Giustizia, in ordine alla temporanea prevalenza del principio di certezza del diritto su quello di libera concorrenza, durante il periodo transitorio, sono fondate su presupposti rinvenibili anche nel caso di specie. La disciplina transitoria di cui al comma 9 dell’art. 23 bis si inserisce infatti in un contesto normativo ampiamente proconcorrenziale, ed il divieto di partecipazione alle gare estensivamente inteso comporterebbe quelle "conseguenze sfavorevoli" in capo alle imprese affidatarie dirette, già evidenziate dalla Corte di Giustizia.

Né infine in contrario rilevano le modifiche normative sopravvenute alla presentazione del ricorso, e segnatamente quelle apportate dall’art. 8 comma 5 lett. b) del D.L. n. 70/2011, atteso che le stesse non riguardano aspetti dell’art. 23 bis c. 9 dibattuti nel presente giudizio.

Il ricorso principale va pertanto accolto.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in relazione alla complessità delle questioni dedotte, fatto salvo il solo rimborso del contributo unificato, che resta a carico del Comune.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione I,

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge il ricorso incidentale ed accoglie quello principale.

Spese compensate, salvo il rimborso del contributo unificato a favore della ricorrente.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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