Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-02-2012, n. 2240 Azioni a difesa della proprietà rivendicazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I., G. ed P.E. citarono innanzi al Tribunale di Cagliari, con atto notificato il 10 gennaio 1997, G. e S.L., esponendo di essere proprietari di un terreno in località (OMISSIS), in forza di donazione ricevuta nel 1966 da C.P. che prevedeva una servitù passiva di passaggio, della larghezza di circa 5 metri, sul proprio fondo in favore di quello dei convenuti e che questi ultimi si sarebbero fatti leciti di precludere detto iter con un cancello;

chiesero pertanto che, accertata la proprietà esclusiva della stradella, i convenuti fossero condannati al rilascio della porzione di essa occupata illecitamente. I S. si costituirono opponendosi alla domanda e – per quello che ancora conserva d’interesse nella presente sede di legittimità – osservarono che la stradella oggetto di revidica sarebbe stata diversa da quella posseduta da essi esponenti animo domini ed insistente sulla loro proprietà, separata da quella dei P. da una rete metallica;

affermarono quindi di aver usucapito il diritto alla servitù di passaggio.

L’adito Tribunale accolse la domanda di revindica e respinse le altre, osservando, tra l’altro, che i convenuti, non avendo disconosciuto la titolarità del bene immobile in capo ai P. e, anzi, avendo riconosciuto che la stessa era ad essi opponibile sino al confine rappresentato dalle mappe catastali, avrebbero tenuto una condotta processuale tale da non rendere necessario che gli attori in rivendicazione fornissero la c.d. probatio diabolica. La Corte di Appello di Cagliari accolse invece l’appello dei S., rigettando la domanda di revindicazione dei P., non giudicando condivisibile l’assunto esposto dal primo giudice in merito alla non necessità di siffatta prova rigorosa da parte dell’attore, in quanto, nella fattispecie, ciascuna delle parti aveva, sia pure solo per una parte della stradella, affermato di essere proprietaria esclusiva della medesima. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i P., sulla base di due motivi; hanno resistito i S. con controricorso.

Motivi della decisione

Va preliminarmente messo in rilievo che non viene in applicazione, ratione temporis, la disciplina di cui all’art. 366 bis c.p.c., in quanto la sentenza impugnata e stata pubblicata prima dell’entrata in vigore della disposizione – D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 – che imponeva la formulazione dei quesiti di diritto quale condizione di ammissibilità del ricorso: pertanto si prescinderà dall’esame degli stessi, anche se articolati nell’atto introduttivo.

1 – Con il primo motivo le parti ricorrenti lamentano la "violazione o falsa applicazione delle norme di cui all’art. 163 c.p.c., n. 7, agli artt. 164 e 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5" per non avere, la Corte distrettuale, esaminato l’eccezione di nullità della citazione in appello, derivante dalla carenza, in detto atto introduttivo, dell’avvertimento delle conseguenze della mancata costituzione del convenuto nei termini di venti giorni precedenti l’udienza di prima comparizione, secondo quanto disposto dall’art. 163 c.p.c., n. 7 e dall’art. 164 c.p.c., comma 1, e dall’art. 167 c.p.c., applicabili al giudizio di appello per il rinvio contenuto nell’art. 359 c.p.c..

1/a – La censura è infondata in quanto dalla lettura della comparsa di risposta in appello – il cui esame diretto è consentito alla Corte in ragione della natura del vizio lamentato – emerge non solo che l’eccezione venne proposta in termini generici ma soprattutto che le stesse parti appellate svolsero gravame incidentale sulla misura del risarcimento e, in più, che la comparsa venne depositata il 27 ottobre 2003, ben prima quindi della scadenza dei venti giorni, da calcolarsi a ritroso, dall’udienza di prima comparizione – indicata in citazione il 5 dicembre 2003, dunque essendo stato utilizzato quello stesso spatium deliberando, previsto dal combinato disposto degli artt. 166 e 343 c.p.c., ad astratta tutela del quale l’eccezione era stata proposta.

2 – Con il secondo motivo viene fatta valere la "violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 c.c.; in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5" contestando la ritenuta applicabilità alla fattispecie dell’onere di fornire la probatio diabolica dell’esistenza di un titolo di acquisto originario; osservano in contrario i ricorrenti, da un lato, che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto che i S. avevano dedotto un proprio titolo di acquisto, quale l’usucapione, del bene in contestazione, configgente con quello dell’attore in revindica;

dall’altro che i medesimi avevano sostenuto che la stradella del cui rilascio si controverteva, fosse diversa da quella posseduta da essi P. cum animo domini, non disconoscendo dunque la titolarità della stessa in capo ai ricorrenti e, anzi riconoscendola nei limiti stabiliti dai confini catastali. Concludono riaffermando di aver fornito la prova della situazione legittimante l’intrapresa azione di revindica, avendo dimostrato di esser proprietari, sin da una donazione del 1966, dello stradello in questione, per un periodo dunque utilmente valutabile per la usucapione abbreviata.

2/a – Il motivo è inammissibile quanto al dedotto vizio di motivazione, in quanto non si rinviene una censura strutturata specificamente a sindacare il procedimento logico esposto in sentenza ma solo le basi normative di riferimento – sollevando dunque il vizio di falsa applicazione della norma di riferimento.

2/b – Quanto al vizio illustrato nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lo stesso non può dirsi sussistente in quanto la Corte distrettuale ha convincentemente delibato i dati di causa – vale a dire le linee difensive delle parti allora convenute S. – pervenendo alla conclusione che dalla loro impostazione nasceva una contestazione del titolo dei P., (nei limiti in cui le pretese di costoro si estendevano alla parte di stradella esorbitante dal tracciato della medesima, corrente sul proprio terreno, secondo quanto emergente dai dati catastali) tale da impedire l’applicazione della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, se il convenuto in revindica opponga un titolo di acquisto che non contrasti l’appartenenza del bene rivendicato alle controparti ed al loro dante causa, l’onere della prova in ordine alla precedente titolarità del diritto può dirsi assolto: questa conclusione è stata sottoposta a critica, da un lato, dando una diversa lettura degli atti difensivi delle parti dei quali non si è riportato l’esatto contenuto – esponendosi a specifica contestazione nel controricorso – in violazione del principio di autosufficienza; dall’altro assumendo una linea difensiva nuova rispetto a quella che risulta dalla sentenza di primo grado, laddove si è venuta a sostenere l’usucapione abbreviata (vedi fol 8 del ricorso).

3- Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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