Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-02-2012, n. 2239

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto ingiuntivo del 18-11-2004 il Tribunale di Trento, Sezione Distaccata di Cles, intimava a P.V. il pagamento della somma di Euro 8.267,66 in favore della Tassullo s.p.a., quale corrispettivo di forniture di materiale edile.

Il P. proponeva opposizione avverso tale decreto, eccependo in via pregiudiziale l’incompetenza per territorio del giudice adito e, nel merito, il non corretto adempimento della controparte, per essere le res vendute affette da vizi (scarsità di sabbia presente nella miscela per gli intonaci, che in parte rendeva inutilizzabile il composto e in parte difficoltoso e più oneroso l’utilizzo) che, prontamente denunciati all’agente Pertica, giustificavano, ai sensi dell’art. 1460 e.e, il suo rifiuto ad eseguire la prestazione di pagamento.

Con sentenza in data 25-5-2006 il Tribunale adito, ritenendo fondata l’eccezione d’inesatto adempimento, revocava il decreto ingiuntivo opposto, rilevando che la società Tassullo, benchè onerata della prova in ordine alla corretta fornitura, non aveva fornito alcun elemento probatorio al riguardo.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale la Tassullo s.p.a. e appello incidentale subordinato il P..

Con sentenza depositata il 30-5-2007 la Corte di Appello di Trento rigettava il gravame, ribadendo che il debitore il quale, a fronte dell’azione di adempimento contrattuale proposta dalla controparte, eccepisca, ai sensi dell’art. 1460 c.c., la non corretta prestazione dell’altra parte, cui abbia denunciato i vizi riscontrati, non è onerato della prova relativa all’effettiva esistenza dei difetti presenti nella res.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Tassullo s.p.a., sulla base di quattro motivi, l’ultimo dei quali articolato in quattro censure.

Il P. resiste con controricorso.

La ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c. ed ha presentato istanza di persistenza dell’interesse alla trattazione, ai sensi della L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 26.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 2697, 1460, 1490 e 1492 c.c., sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, grava sull’acquirente il quale eccepisca l’esistenza di vizi della cosa venduta l’onere di provare l’esistenza di tali difetti.

Il motivo è infondato.

Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento; ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione) (tra le tante v. Cass. Sez. Un. 30-10-2001 n. 13533; Sez. 2, 20-1-2010 n. 936; Sez. 1, 15-7-2011 n. 15659). Nelle stesse decisioni, è stato puntualizzato che anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento, perchè l’eccezione si fonda sull’allegazione dell’inadempimento di un’obbligazione, al quale il debitore di quest’ultima dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall’esatto adempimento.

Alla luce degli enunciati principi, dai quali non vi è ragione di discostarsi, correttamente la Corte di Appello ha ritenuto che, a fronte dell’eccezione di inesatto adempimento, sollevata dall’acquirente in ragione dell’asserita sussistenza di vizi della res tempestivamente denunciati, sarebbe stato onere della venditrice dare prova della insussistenza di tali difetti.

Non hanno pregio, invero, le deduzioni svolte dalla Tassullo s.p.a. per sostenere che la regola probatoria indicata dalla richiamata giurisprudenza può trovare applicazione nelle sole ipotesi di inadempimento totale, e non anche in quelle di adempimento inesatto.

La diversa consistenza dell’inadempimento totale e dell’inadempimento inesatto, infatti, non può giustificare un diverso regime probatorio: in entrambi i casi la pretesa del creditore si fonda sulla allegazione di un inadempimento alla quale il debitore dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall’esatto adempimento.

Non giovano, in particolare, alla ricorrente i rilievi concernenti la difficoltà per il venditore che, avendo eseguito la sua prestazione, si è spogliato della disponibilità dei beni, di dimostrare la insussistenza dei vizi denunciati dalla controparte: secondo quanto accertato in punto di fatto dalla Corte di Appello e non contestato dalla ricorrente, infatti, nella specie il P. non si è limitato d allegare il vizio del composto per l’intonaco vendutogli, ma ha posto la venditrice nelle condizioni materiali di verificare la fondatezza delle sue doglianze, trasmettendo un campione del prodotto alla Tassullo, la quale, peraltro, non ha comunicato l’esito delle indagini.

2) Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2697 e 2698 c.c., per non avere la Corte di Appello tenuto conto dell’inversione dell’onere della prova derivante dal comportamento processuale del P., il quale, nell’articolare nel corso del giudizio di primo grado mezzi di prova intesi a dimostrare la sussistenza dei vizi denunciati, ha inequivocabilmente rinunciato ai vantaggi della distribuzione dell’onere della prova.

Il motivo è inammissibile, proponendo una questione nuova, che non risulta dedotta in appello e che, richiedendo accertamenti di fatto, non può essere prospettata per la prima volta nel giudizio di legittimità.

Si rammenta, al riguardo, che l’inversione dell’onere della prova, in mancanza di apposito patto ex art. 2698 c.c., può risultare anche dal comportamento processuale della parte, ma, affinchè ciò si verifichi, non è sufficiente che la parte sulla quale non gravata dall’onere deduca od anche offra la prova, occorrendo, invece, la inequivoca manifestazione della volontà della parte medesima di rinunciare ai benefici ed ai vantaggi che le derivano dal principio che regola la distribuzione dell’onere stesso e di subire le conseguenze dell’eventuale fallimento della prova dedotta od offerta (Cass. 10-12-2002 n. 17573; Cass. 21-2-2003 n. 2653; Cass. 7-7-2005 n. 14306; Cass. 11-6-2010 n. 14066).

Orbene, appare evidente che la valutazione circa la sussistenza, nel P., della inequivoca volontà di rinunciare, attraverso la richiesta di ammissione di mezzi istruttori, ai vantaggi derivanti dall’applicazione dei principi sull’onere della prova, implica la necessità di indagini di fatto alle quali non può procedersi in questa sede.

3) Con il terzo motivo viene denunciata l’omessa motivazione in ordine all’inversione dell’onere della prova determinata dal comportamento processuale dell’opponente.

Il motivo è infondato, non essendo il giudice di appello tenuto a motivare su una questione che non era stata specificamente dedotta dall’appellante.

4) Con il quarto motivo, articolato in quattro censure, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1490, 1492 e 1494 c.c., dell’art. 1668 c.c., dell’art. 100 c.p.c., dell’art. 2909 c.c..

In primo luogo, sostiene che l’acquirente, per paralizzare la domanda di pagamento del prezzo proposta dalla controparte, non poteva limitarsi ad eccepire l’esistenza di vizi della cosa venduta, ma avrebbe dovuto esperire le azioni ex art. 1492 c.c.. Deduce, inoltre, che le norme che disciplinano la garanzia per vizi, in materia di vendita, non permettono l’azione di esatto adempimento e, conseguentemente, l’eccezione di inesatto adempimento per vizi della cosa venduta. Eccepisce altresì l’improponibilità dell’eccezione di inesatto adempimento per carenza d’interesse, non avendo il P. dedotto di aver subito la lesione del suo diritto. Rileva, infine, che l’affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui alle parti non resterebbero precluse "altre iniziative per pervenire alla definizione dei loro rapporti", non tiene conto del fatto che il passaggio in giudicato della pronuncia di rigetto della domanda di adempimento proposta dalla Tassullo s.p.a. rende improponibile una nuova azione contro il P. per ottenere la condanna al corrispettivo della merce venduta.

Le prime due censure sono infondate, alla luce del principio, più volte affermato dalla giurisprudenza, secondo cui la parte evocata in giudizio per il pagamento della merce ad essa venduta, può non solo chiedere la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, ma anche limitarsi ad eccepire – nell’ambito dell’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 1460 c.c., al fine di ottenere il rigetto della pretesa avversaria -, l’inadempimento o l’imperfetto adempimento della parte venditrice, in qualunque delle configurazioni che quest’ultimo può assumere, in esse compreso, quindi, il fatto che la cosa consegnata in esecuzione del contratto risulti affetta da vizi o da mancanza di qualità essenziali (Cass. 6-8-1997 n. 7228;

Cass. 1-7-2002 n. 9517; Cass. 4-11-2009 n. 23345).

Le disposizioni speciali dettate in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, pertanto, non derogano al principio generale inadimplenti non est adimplendum, sancito in relazione ai contratti a prestazioni corrispettive dall’art. 1460 c.c.; sicchè, per paralizzare la domanda di pagamento proposta dal venditore, al compratore è sufficiente eccepire, ai sensi della citata norma di legge, l’inesatto adempimento della controparte, anche con riferimento a vizi della cosa oggetto del contratto.

Priva di pregio si rivela anche la terza doglianza, non potendosi dubitare dell’interesse del P. a proporre l’eccezione di inesatto adempimento, al fine di paralizzare la domanda di pagamento avanzata dal debitore.

L’ultima censura è inammissibile, investendo un’affermazione, contenuta in sentenza, che non ha spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa e che, pertanto, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (v. Cass. Sez. Un. 20-2-2007 n. 3840: Cass. 5-6-2007 n. 13068; Cass. 19-2-2009 n. 4053; Cass. 9-4-2009 n. 8676).

5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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