Cass. civ. Sez. III, Sent., 16-02-2012, n. 2232 Contratti agrari: recesso e risoluzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I fatti di causa rilevanti ai fini della decisione possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Con ricorso depositato il 17 aprile 2003 F.G. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Locri A. M., affittuario di un fondo rustico e annessi fabbricati rurali di sua proprietà, chiedendo la risoluzione del contratto per grave inadempimento della controparte.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, contestò le avverse pretese, proponendo altresì domanda riconvenzionale al fine di ottenere il pagamento dell’indennità di esproprio e il rimborso delle spese sostenute per miglioramenti asseritamente apportati ai terreni.

Il giudice adito, con sentenza del 28 marzo 2006, dichiarò risolto il contratto, ordinando il rilascio del predio e rigettando le spiegate riconvenzionali.

Proposto dal soccombente gravame, la Corte d’appello di Reggio Calabria lo ha respinto in data 20 ottobre 2010.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte M. A., affidando le sue doglianze a sette motivi.

Resiste con controricorso F.G..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Mette conto evidenziare, ai fini di un più agevole esame delle censure formulate dall’impugnante, che, nel motivare il suo convincimento, la Corte territoriale ha precisato che la pronuncia di risoluzione del contratto di affitto era ancorata sia all’inadempimento degli obblighi inerenti alla normale e razionale coltivazione del fondo, sia al mancato pagamento del canone di affitto, profili, peraltro, ciascuno da solo sufficiente a sorreggere la decisione di accoglimento della domanda; che le anomalie riscontrate dal consulente tecnico nella conduzione dell’uliveto – mancata lavorazione del terreno; presenza di maculature sulle foglie di talune piante, dovute a un fungo idoneo a determinare, in mancanza di manutenzione ordinaria, la defogliazione dei rami giovani;

esistenza di un tappeto erboso (cotico), frammisto a erbe infestanti;

segni di una recente potatura scorrettamente eseguita, quanto a tempi e modalità – erano idonee a compromettere in modo significativo la produttività del fondo e integravano, pertanto, inadempimento a uno dei doveri fondamentali gravanti sull’affittuario; che neppure poteva essere posta in discussione la morosità del M., il quale aveva effettuato l’ultimo pagamento nel 1996, versando L. 2.500.000;

che la tesi difensiva del convenuto, secondo cui, non essendo il corrispettivo determinato, non poteva parlarsi di morosità, era pretestuosa, posto che il canone era sicuramente determinabile in base alla legislazione vincolistica vigente all’epoca della instaurazione del rapporto e che, pur calcolando le somme dovute dall’affittuario in base al canone, di Euro 300,00 l’anno, da lui stesso indicato, la morosità non poteva ritenersi insussistente in ragione della somma versata nell’anno 1996, posto che sarebbe stata necessaria la corresponsione di un importo quasi doppio per coprire tutte le annualità non pagate.

3 Di tale decisione si duole dunque il ricorrente nei sette motivi di ricorso. Di questi i primi tre nonchè l’ultimo hanno ad oggetto il positivo apprezzamento del giudice di merito in ordine alla sussistenza della allegata morosità. Nello specifico, con il primo l’impugnante denuncia violazione dell’art. 414 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè nullità della sentenza impugnata, di quella di primo grado e dell’intero procedimento. Assume che l’attore, pur avendo addotto, a sostegno della richiesta di risolvere il contratto, la mancata corresponsione del canone, non ne aveva poi mai specificato l’ammontare. L’omessa determinazione dell’oggetto della domanda, e cioè di un requisito essenziale del ricorso, ne importava secondo l’esponente, l’insanabile nullità, alla stregua di principi ripetutamente enunciati dal Supremo Collegio.

Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta vizi motivazionali, in relazione al fatto controverso e decisivo costituito dall’ammontare dei canoni che l’affittuario non avrebbe corrisposto, così rendendo impossibile la verifica e della sussistenza della dedotta morosità, e della gravità della stessa, a fronte del dato incontestabile costituito dal pagamento, nell’anno 1996, di L. 2.500.000. Con particolare riferimento alla affermazione della Corte territoriale secondo cui, anche considerando un canone annuo pari a Euro 300,00, l’ipotetico credito del concedente sarebbe stato in ogni caso uguale a quasi il doppio di quanto allora versato, evidenzia l’impugnante come, per mero errore materiale, la difesa del convenuto ne avesse indicato l’ammontare in Euro, piuttosto che in L. Aggiunge che l’errore era facilmente riconoscibile, considerato che, all’epoca, l’Euro non era stato ancora introdotto.

Con il terzo motivo l’impugnante prospetta la violazione degli artt. 2697, 1571 e 1615 cod. civ., nonchè della L. n. 203 del 1982, art. 5. Deduce che la determinazione del corrispettivo è un elemento costitutivo del diritto del locatore e deve essere da lui provato, allorchè agisca lamentandone il mancato pagamento, laddove, nella fattispecie, nessuna prova al riguardo era stata fornita dal F..

In tale contesto ogni apprezzamento sulla gravità della asserita morosità, alla luce, in particolare, del disposto della L. n. 203 del 1982, art. 5 era praticamente impossibile.

Con il settimo lamenta contraddittorietà della motivazione, avendo il decidente considerato l’affittuario inadempiente nel pagamento, senza considerare l’ammontare della somma dallo stesso pagata nel 1996, nonchè gli esborsi documentati per acquisto di attrezzi e per l’esecuzione di lavori straordinari che sarebbero stati di pertinenza del proprietario.

4 Ritiene il collegio che tutte le esposte censure siano, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate. Esse ruotano intorno al dato di fondo della mancata indicazione del canone che il conduttore non ebbe a versare, dato prospettato sia come vizio inficiante la stessa validità della domanda, carente in un profilo essenziale; sia come lacuna che renderebbe impossibile la verifica dell’allegato inadempimento.

Ora, è ben vero che la novità della questione prospettata sotto il primo profilo, e cioè quello della inemendabile lacunosità dell’editio actionis, mai trattata nella sentenza impugnata, ove l’omessa specificazione del canone rimasto impagato viene in rilievo esclusivamente come elemento di valutazione in ordine alla sussistenza dell’inadempimento del conduttore, non è tuttavia idonea a determinare l’inammissibilità della censura, in virtù del principio per cui le carenze dell’editio actionis sono rilevabili d’ufficio dal giudice e non sono sanate dalla costituzione in giudizio della controparte, non valendo questa a colmare le lacune della citazione che compromettano lo scopo di consentire al convenuto di difendersi e al giudice di emettere una pronuncia di merito, sulla quale dovrà formarsi il giudicato sostanziale (Cass. civ. 23 agosto 2011, n. 17495). Quella novità vale tuttavia a disvelare l’assoluta pretestuosità delle critiche formulate dall’impugnante. Questi, come innanzi esplicitato, si era nei motivi di appello doluto, oltre che della mancata concessione del termine di grazia per sanare la morosità, della impossibilità di ravvisare un inadempimento, in mancanza di una previa pattuizione della misura del corrispettivo. E a tali argomentazioni la Corte d’appello ha puntualmente risposto evidenziando che il canone, ancorchè non determinato, era però sicuramente determinabile.

Nella incontroversa persistenza del contratto di affitto in forza del quale il M. deteneva il fondo – non essendo mai stata neanche prospettata l’instaurazione di un rapporto di comodato – il positivo apprezzamento del fondamento della domanda di risoluzione del giudice di merito poggia, in realtà, sul rilievo che la distratta gestione dei propri interessi da parte del concedente, non giustificava il comportamento inadempiente dell’affittuario, il quale, per la lealtà che deve connotare lo svolgimento dei patti negoziali, specialmente se di durata, avrebbe dovuto in ogni caso assolvere al proprio obbligo di pagare il corrispettivo. E tale ratio decidendi, per vero ineccepibile sul piano logico e giuridico, non è stata, in definitiva, affatto censurata.

4.1 Neppure giova all’impugnante il preteso errore materiale in cui egli sarebbe incorso, quantificando in lire, piuttosto che in Euro, l’ammontare della somma, in tesi, annualmente dovuta, con conseguente idoneità dell’importo pagato sette anni prima dell’inizio della causa ad estinguere tutte le obbligazioni successive: a prescindere dalla novità della prospettazione, il suo apprezzamento, ai fini del giudizio sulla sussistenza e sulla gravità della morosità, involge una rivalutazione dei fatti, preclusa in sede di legittimità. 4.2 Assolutamente privi di autosufficienza sono poi i rilievi svolti nell’ultimo mezzo, ove sembra adombrarsi una sorta di compensazione tra il debito dell’affittuario e pretesi crediti dallo stesso vantati per esborsi che sarebbero stati di competenza del concedente. Ma tale problematica è del tutto estranea alla sentenza impugnata. Ne deriva che il ricorrente, al fine di evitare la preclusione dell’inammissibilità per novità della questione, avrebbe dovuto allegare che essa era già compresa nel thema decidendum del giudizio di appello, indicando altresì l’atto con il quale era stata inserita nel dibattito processuale, in modo da consentire alla Corte di controllare de visu la veridicità dell’asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440).

5 Il quarto mezzo ha ad oggetto la positiva valutazione dell’inadempimento dell’affittuario agli obblighi, su di lui gravanti, inerenti alla razionale coltivazione del fondo. Con esso il ricorrente sostiene invero che la motivazione relativa alla pretese irregolarità nella conduzione del terreno e, ancor più, alla gravità di tale inadempienza, sarebbe contraddittoria, posto che contraddittoria e inappagante, in punto di pretesa mancanza di lavorazioni recenti, di lunghezza dei rovi, di maculature presenti sulle foglie di alcune piante, di tagli effettuati con la potatura, sarebbe la consulenza tecnica d’ufficio.

6 Ritiene il collegio che tali critiche siano volte a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa in sede di legittimità. Ciò di cui si duole l’impugnante è infatti il negativo apprezzamento della sua attività di conduzione del fondo, a tal fine venendo qui a confutare l’opinione dell’ausiliario e l’adesione a essa prestata dal decidente. Ma le argomentazioni svolte dal giudice di merito per giustificare la scelta decisoria adottata non presentano alcun contrasto disarticolante con il contesto fattuale di riferimento, sono esenti da fratture sul piano logico, complete ed esaustive, avendo la Corte anche confrontato gli esiti degli accertamenti dell’esperto con le circostanze riferite dai testimoni. Ne consegue che il giudizio formulato sul punto dal giudice di merito, in quanto congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità. 7 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione, i successivi due motivi di ricorso.

Con il quinto l’impugnante prospetta vizi motivazionali perchè la Corte d’appello, dopo avere affermato che la pronuncia di risoluzione era ancorata sia al mancato pagamento dei canoni, sia all’inadempimento delle obbligazioni, gravanti sul conduttore, in ordine alla normale e razionale coltivazione del fondo, profili ciascuno autonomamente idoneo a giustificarla, li aveva poi di fatto valutati cumulativamente.

Con il sesto deduce violazione della L. n. 203 del 1982, art. 5, commi 2 e 4, nonchè contraddittorietà della motivazione in relazione alla medesima questione, evidenziando che delle due inadempienze contestate l’una – l’asserita morosità – era inammissibile, l’altra – la pretesa, irregolare coltivazione del fondo – era infondata.

8 Anche tali critiche non colgono nel segno.

Il giudice di merito ha chiarito che ciascuno degli inadempimenti contestati al conduttore era da solo sufficiente a sorreggere la pronuncia di risoluzione del rapporto non solo in astratto, ma anche in concreto. E in tale prospettiva ha adeguatamente motivato in ordine alla loro gravità, autonomamente e singolarmente, pesandoli, piuttosto che contandoli.

La correttezza di siffatto percorso decisionale non può essere messa in discussione, considerato, da un lato, che l’apprezzamento del decidente è stato parametrato sul principio per cui, in tema di contratti agrari, non un qualsiasi inadempimento dell’affittuario determina la risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico, ma solo quello che presenti carattere di gravità in relazione al pagamento del canone, alla normale e razionale coltivazione del fondo, nonchè alla conservazione e manutenzione dello stesso;

dall’altro, che il medesimo apprezzamento è stato formulato tenendo conto delle condizioni alle quali, secondo il diritto vivente, siffatte patologie dello svolgimento del rapporto raggiungono il livello di guardia richiesto per la rottura del vincolo negoziale. Ne deriva che la valutazione della Corte d’appello, in quanto adottata sulla base di criteri metodologici giuridicamente corretti e in quanto adeguatamente motivata è, perciò stesso, incensurabile in sede di legittimità (confr. Cass. civ. 26 giugno 2007, n. 14755) .

In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato. Il ricorrente rifonderà alla controparte vittoriosa le spese del giudizio, liquidate nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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