Cass. civ. Sez. III, Sent., 16-02-2012, n. 2231 Interpretazione del contratto letterale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.L. conveniva, davanti al tribunale di Torino, C. W. chiedendone la condanna al pagamento della penale prevista, a seguito dell’inadempimento dell’obbligo contrattuale – assunto in sede di conclusione del contratto di trasferimento di azioni e quote del 23.4.2002 – di liberare l’attore dalla garanzia fideiussoria a favore del Banco di Santo Spirito, entro il termine del 30.9.2002.

Il convenuto, costituitosi, contestava il fondamento della domanda, chiedendo, in subordine, la riduzione della penale ad equità.

Il procedimento era regolato dal D.Lgs. n. 5 del 2003 (c.d. rito societario), successivamente abrogato dalla L. n. 69 del 2009.

Il tribunale, con sentenza del 18.10.2007, accoglieva la domanda.

Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’Appello che, con sentenza del 5.11.2009, rigettava l’appello proposto dal C..

Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste con controricorso il B..

Motivi della decisione

Il ricorso è soggetto alla L. 18 giugno 2009, n. 69, trattandosi di provvedimento depositato successivamente al 4 luglio 2009.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Contesta la qualificazione – adottata dalla Corte di merito – dell’obbligazione assunta dal C. sulla base dell’art. 6 del contratto di cessione di azioni, quale obbligazione di risultato.

Il motivo non è fondato.

Il ricorrente, con il motivo proposto, al di là di un supposto vizio motivazionale, in realtà contesta l’individuazione della volontà negoziale come operata dalla Corte di merito.

Sotto questo profilo, deve premettersi che l’individuazione della volontà negoziale – che avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed oggettiva, si risolve in un accertamento di fatto, istituzionalmente riservato al giudice di merito – è censurabile in sede di legittimità soltanto quando le ragioni addotte a sostegno della decisione siano insufficienti o contraddittorie, sia sotto il profilo logico, sia sotto quello giuridico, ma non quando siano diverse da quelle prospettate dalla parte (Cass. 27.5.2010 n. 12992; v. anche Cass. 28.8.2001 n. 11289).

Ciò non ricorre nella specie.

La Corte di merito, infatti, nell’interpretazione della clausola negoziale di cui all’art. 6 del contratto di cessione di quote, ha rispettato correttamente i canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 e segg. chiarendo le ragioni per le quali l’interpretazione condotta sul piano del tenore letterale delle parole nella stessa contenute conduceva alla conclusione che l’obbligazione contenuta nella stessa clausola di cui all’art. 6 dovesse ritenersi di risultato e non di mezzi, come vorrebbe l’attuale ricorrente.

Dopo avere riportato correttamente l’intero contenuto della clausola in oggetto, infatti, la Corte di merito ha rilevato che il riferimento al risultato è chiaramente dedotto nel comma 1 ("procurare la liberazione"), nel comma 2 ("ottenere comunque, entro il 31 dicembre 2002, il risultato") ed infine, nel comma 3, "il quale ricollega il decorso della penale da ritardo non già genericamente, all’inadempimento, e tanto meno alla mancata attivazione dell’obbligato, ma, con tutta evidenza, al mancato conseguimento proprio del risultato (nell’ipotesi in cui la liberatoria non dovesse verificarsi entro il predetto termine…)".

La stessa Corte ha, poi, esaminato le possibili indicazioni per giungere alla qualificazione di mezzi dell’obbligazione dedotta, rilevando, però, che l’unico accenno in tal senso che avrebbe potuto desumersi dall’indicazione "compiere ogni migliore sforzo" contenuto nell’art. 6, comma 2, prima parte era subito "corretto con il dire che il fine è quello di "ottenere comunque…il risultato"; il che toglieva ogni pregio ad una eventuale diversa interpretazione.

Ed ha concluso che "Nel complesso, pare evidente che la lettera della clausola contrattuale indichi, con una serie di elementi significativi concorrenti, la polarizzazione della volontà sul conseguimento del risultato".

Trattasi di interpretazione del contenuto della clausola negoziale, condotta sulla base delle espressioni letterali in essa contenute. A tal fine, è opportuno ribadire che il canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., allorchè, nel comma 1, prescrive all’interprete di indagare sulla comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto; anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi è divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile. Soltanto quando le espressioni letterali del contratto non sono chiare, precise ed univoche, è consentito al giudice ricorrere agli altri elementi interpretativi indicati dall’art. 1362 c.c., e segg., che hanno carattere sussidiario (v. per tutte Cass. 27.5.2010 n. 12992). Nè sotto questo profilo sono rilevanti le censure di illogicità, contraddittorietà ed incompletezza attribuite dall’attuale ricorrente all’argomento letterale adottato dalla Corte di merito che, di fronte alla correttezza e compiutezza dell’esame interpretativo effettuato, non colgono aspetti significativi che possano condurre a diversa conclusione.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il ricorrente contesta la decisione della Corte di merito che ha ritenuto di non applicare, nel caso in esame, il disposto dell’art. 1384 c.c. riducendo, in via equitativa, la penale contrattualmente prevista.

Il motivo non è fondato.

L’apprezzamento sulla eccessività o meno dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, nonchè sulla misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, infatti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 c.c., sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale; indipendentemente, cioè, da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito (v. anche Cass. 16.3.2007 n. 6158; Cass. 18.3.2003 n. 3998).

La Corte di merito ha rilevato la piena congruità e la perfetta rispondenza della penale pattuita al tenore del contratto concluso fra le parti, in particolare con riferimento all’imponente entità complessiva della fideiussione prestata dall’attuale resistente; e di ciò ha fornito corretta e congrua motivazione.

Ha, a tal fine, valutato le argomentazioni portate dal C. al fine di giustificare una riduzione della penale pattuita, rilevando che le supposte attività finalizzate ad ottenere la liberazione del fideiussore, pur essendo state allegate, erano sfornite di supporto probatorio, e, pertanto, irrilevanti al fine di fondare la riduzione della penale richiesta.

In particolare, rileva la Corte di merito sul punto: "Non viene infatti dedotto nulla in ordine al contenuto delle trattative economiche intrattenute con la banca e in particolare a quella tematica, – alla trattazione della quale, pure, la difesa di parte appellata non ha mancato di rivolgere sollecitazioni, – della sostituzione delle garanzie, vale a dire di quella che sarebbe stata l’ovvia e necessaria condotta di chi avesse davvero voluto ottenere dalla banca la liberazione del precedente fideiussore, in modo immediato e quindi indipendentemente dall’esaurirsi dei rischi derivanti dalle operazioni economiche poste in essere dal soggetto garantito (o meglio, come si è visto, dai soggetti garantiti, stante il trasferimento a favore di ITCA PRODUZIONE e di ITCA TOOLS), condotta che non poteva che consistere nell’offerta alla banca di una rispondenza patrimoniale adeguata e totalmente sostitutiva rispetto a quella di cui era titolare il cedente le partecipazioni".

Aggiungendo: "In difetto dell’allegazione di tanto, o di condotte comunque equivalenti, ed in presenza, invece, della sola allegazione di insistite richieste, asserite scusanti per ritardi ad opera della banca e cosi via, resta il dato ineludibile, innanzi posto in evidenza, della perdurante esposizione del cedente quale ancora ricordata, nei suoi imponenti termini quantitativi, con la lettera della banca del 18/06/2002, rispetto alla cui definitiva eliminazione non consta che sia stato conseguito alcun risultato anche solo parzialmente utile nei termini pattuiti".

E concludendo, che il materiale allegato e quello alla base delle prove richieste non era tale da potere dimostrare un parziale adempimento utile per la riduzione della penale. Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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