Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06-07-2011) 29-09-2011, n. 35526 Omissione o rifiuto di atti d’ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. A conferma della decisione del Tribunale, la Corte d’Appello di Lecce ha ritenuto R.S. responsabile di rifiuto di atti di ufficio in quanto, quale medico di guardia presso il reparto di chirurgia generale dell’ospedale pubblico F.V., benchè chiamata dalla infermiere per due volte non si recava alla visita della paziente operata L.C. che presentava perdite emorragiche.

2. Ricorre la R. che in primo luogo contesta la motivazione della pronunzia impugnata laddove afferma che la ricorrente venne chiamata dal personale di servizio per un intervento. Rileva che le due infermiere che tanto hanno dichiarato erano fortemente interessate a sostenere simile tesi, in quanto a loro volta imputabili del reato di omissione. Di qui il carattere necessario di un approfondito giudizio di attendibilità che invece non risulta essere stato fatto, tanto più che dalla deposizione delle donne risultava l’incongruità che la richiesta di intervento era stata fatta per telefono, quando la stanza del medico era situata a soli pochi metri dal letto della paziente. Inoltre era frutto di travisamento della prova affermare che simili telefonate fossero dirette ad ottenere un intervento con rappresentazione di una situazione allarmante e non piuttosto a descrivere un quadro di routine con richiesta di direttive come da protocollo, secondo quanto invece effettivamente detto dalle dichiaranti.

Non vale a superare questo dato, la giurisprudenza che ravvisa il rifiuto di atti d’ufficio anche nel caso che non vi sia un’esplicita richiesta e in presenza di una situazione di urgenza sostanziale.

Infatti (pure a consentire con questa tesi, peraltro contraria al principio di stretta legalità) nel caso in esame tale situazione di urgenza non venne rappresentata e non poteva nemmeno rilevarsi dalla situazione in atto, specie dall’andamento dell’emocromo secondo quanto riferito dal dott. M., le cui affermazioni risultano travisate a pagina 5 della sentenza impugnata.

Non è poi stato correttamente valutato il fatto che la R., dopo aver impartito le istruzioni necessarie, andò a visitare la paziente nelle prime ore del mattino come risulta dalla cartella clinica redatta di suo pugno. In questo modo non sussisteva un rifiuto ma v’era stato un intervento senza ritardo, a seguito di una voluta attesa come prevedeva il protocollo postoperatorio in simili casi. Tale cartella era stata indebitamente ignorata.

Quanto poi al dolo, si sarebbe dovuto considerare che nella specie ci troviamo dinanzi a una valutazione del sanitario il cui eventuale errore non corrisponde alla consapevolezza di trasgredire ai propri doveri, come richiesto invece dall’art. 328 c.p.. Nè tale eventuale errore raggiungeva quel livello macroscopico, in presenza del quale il sanitario non può invocare la sua discrezionalità tecnica. La contraria affermazione della sentenza impugnata si fonda, come si è visto, su una interpretazione delle affermazioni delle infermiere e del consulente contraria al senso di quanto deposto, mentre anche se si ritenesse lo sbaglio nella valutazione del sanitario si sarebbe comunque nel campo dell’errore su legge extrapenale che esclude il dolo.

Motivi della decisione

1. L’inarticolato ricorso della R. inizia con una censura sulla ricostruzione degli avvenimenti della notte tra il (OMISSIS) che deve ritenersi inammissibile.

Infatti, contrariamente a quanto assume, la Corte d’Appello ha sottoposto ad accurato controllo di attendibilità le dichiarazioni delle infermiere P. e V. che assistevano la L. e ha già risposto a tutte le obiezioni che oggi vengono riproposte sull’interesse ad avvalorare una certa versione dei fatti e sulla congruità della stessa.

Il ricorso d’altra parte non confuta le affermazioni della sentenza impugnata (coerenza delle dichiarazioni delle donne e loro riscontro in quelle della paziente e della sorella di costei, dislocazione dei luoghi che rendeva comodo chiamare per telefono il medico di guardia, interpellato di persona una seconda volta perchè visto vicino alla macchinetta del caffè) ma si limita a riproporre in questa Sede le medesime allegazioni già respinte in appello.

2. Mal si riconduce poi a un travisamento del fatto la conclusione che la telefonata prima e il colloquio personale dopo fossero espressamente diretti a far intervenire il medico, laddove la sentenza non dice tanto, ma afferma che la rappresentazione delle condizioni della paziente e dell’andamento delle perdite emorragiche era stata tale da costituire quella urgenza sostanziale che si pone a presupposto di applicabilità dell’art. 328 c.p., comma 1. 3. A questo proposito va respinta la tesi sostenuta dalla ricorrente secondo la quale una simile interpretazione della norma penale sarebbe frutto di un ricorso all’analogia, mentre sarebbe invece necessaria un’esplicita richiesta perchè sia integrato il rifiuto previsto dalla disposizione penale. In conformità a quanto più volte osservato da questa Corte (cfr. p.es. 6, sez. 20 febbraio 1998, Buzzanca) discende invece dalla stessa interpretazione letterale dell’art. 328 c.p., che la sollecitazione esterna, alla quale può seguire il rifiuto, non deve essere necessariamente formulata come ordine o domanda o qualsiasi altro esplicito interpello, ma può concretarsi negli stessi fatti oggettivi posti all’attenzione del soggetto.

4. La ricorrente tuttavia richiama allora la discrezionalità tecnica del sanitario e ascrive a questa il fatto di non aver ritenuto necessario procedere a una visita della paziente. Assume che sotto tale profilo sarebbero state travisate le affermazioni del consulente, il quale mai aveva ravvisato nella specie una situazione di urgenza sostanziale, laddove d’altra parte era stato trascurata la visita fatta dalla R. nelle prime ore del mattino successivo agli eventi.

5. Deve per contro osservarsi che la sentenza non ha detto che il consulente ha espressamente concluso che la situazione concreta imponeva un visita della L., ma ha semplicemente riferito che tale consulente in linea generale aveva reso noto che è dovuta quanto meno una visita del paziente che sia stato sottoposto a intervento di ricanalizzazione, quando il primo sanguinamento non si esaurisca spontaneamente e ad esso ne seguano altri recidivanti.

6. Sgombrato così il campo dal lamentato travisamento, va poi affermato che ai fini dell’applicabilità dell’art. 328 c.p.p., comma 1, il giudice di merito ben può controllare l’esercizio della discrezionalità tecnica da parte del sanitario e concludere che esso trasmoda in arbitrio, se tale esercizio non risulta sorretto da un minimo di ragionevolezza ricavabile dal contesto e dai protocolli medici per esso richiamabili.

In questo senso allora si è legittimamente ritenuto che, se a seguito della prima perdita di sangue era sufficiente prescrivere P. e attendere i risultati di esso come la R. aveva fatto, costituiva invece un rifiuto di atti di ufficio, esulante da ogni preteso esercizio della discrezionalità, il fatto che la ricorrente contrariamente ai protocolli non fosse intervenuta per una visita diretta dopo che le era stato rappresentato che la paziente aveva subito altre tre perdite ripetutesi nell’arco di mezz’ora.

7. Resta perciò irrilevante la visita compiuta la mattina successiva al rifiuto, mentre il dolo del reato è stato correttamente ricavato dal fatto che le infermiere avevano reso edotta la R. delle tre emorragie consecutive successive alla prima, situazione di urgenza cosi evidente da escludere ogni margine discrezionalità. 8. Alla reiezione del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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