Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06-07-2011) 29-09-2011, n. 35523 Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 19/1/2006 il Tribunale di Firenze dichiarava tra gli altri Z.S., C.D. e Zh.Ai. colpevoli i primi due dei reati di immigrazione clandestina aggravata e sequestro di persona a scopo di estorsione ex D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 e art. 630 c.p. e il terzo del solo reato di immigrazione clandestina aggravata e li condannava, concesse a tutti e tre le attenuanti generiche, equivalenti, quanto a Zh.Ai., all’aggravante contestata, il primo alla pena di anni diciassette di reclusione, il secondo alla pena di anni dodici di reclusione oltre alle pene accessorie con esclusione per entrambi dal territorio dello Stato a pena espiata, e il terzo alla pena sospesa di anni due di reclusione e Euro 6.000,00 di multa.

Secondo l’impostazione accusatoria, condivisa da entrambi i giudici di primo e secondo grado, gli imputati erano inseriti in una fiorente attività, operante essenzialmente in (OMISSIS), diretta a consentire, favorire, regolare, gestire – pressochè – professionalmente il flusso migratorio in Italia di persone provenienti dalla Cina Popolare, anche mediante la privazione della libertà personale dei medesimi, sino al pagamento delle somme provvisoriamente concordate al fine del loro definitivo ingresso in Italia. Gli immigrati clandestini erano considerati "merce" o "clienti", guidati, accompagnati da connazionali, attraverso la Repubblica Federale della Russia e poi altri paesi dell’Est europeo e una volta giunti in Italia, gli accompagnatori li consegnavano ad altri connazionali, i quali costituivano la ed, testa di serpente con il compito di condurre i clandestini in un appartamento della zona, dove li tenevano per qualche tempo "sotto stretta sorveglianza".

La custodia cessava e i clandestini liberati solo dopo l’avvenuto pagamento del prezzo, previamente pattuito al fine di stabilirsi in Italia.

Il materiale probatorio a sostegno dell’affermazione della colpevolezza consisteva nell’esito delle intercettazioni telefoniche e ambientali, e dei servizi di o.p.c, posti in essere dagli inquirenti, nel possesso – ingiustificato in capo agli imputati di passaporti falsi, nelle numerose deposizioni dei testimoni e di persone informate sui fatti.

A seguito di gravame degli imputati, la Corte di Appello di Firenze con la sentenza in data 13/3/2009 assolveva Z.S. dal delitto di cui all’art. 630 c.p. e rideterminava con le già concesse attenuanti generiche in anni due mesi otto di reclusione e Euro 12.000,00 di multa la pena per il residuo reato ex L. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1 e 3; concessa a C.D. l’attenuante ex art. 62 c.p., n. 5, rideterminava in anni otto di reclusione oltre le pene accessorie e misura di sicurezza la pena inflitta in ordine ai reati a lui ascritti, confermava nel resto l’impugnata sentenza.

Contro tale decisione ricorrono i tre suddetti imputati a mezzo dei rispettivi difensori e ne chiedono l’annullamento.

La difesa di Z.S. denuncia con il primo motivo il vizio di motivazione in riferimento alla valutazione di punti essenziali del processo; secondo la difesa l’affermazione della colpevolezza si fondava sull’utilizzo da parte dell’imputato del telefono dell’amico C.W. e sulla partecipazione diretta nelle conversazioni concernenti i clandestini gestiti da quest’ultimo, nonchè sul possesso, in assenza di plausibili giustificazioni, di passaporti falsi, e a fronte delle puntuali censure mosse nei motivi di appello, concernenti la mancanza di certezza della sua identificazione, la liceità dei rapporti intercorsi con il concorrente C.W., la riferibilità e la destinazione dei passaporti sequestrati al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la corte di merito era rimasta silente.

Con il secondo motivo denuncia l’erronea applicazione della citata Legge, art. 12, commi 10 e 3 in riferimento all’inquadramento del fatto nella fattispecie punitiva, non essendovi prova alcuna che i passaporti de quibus fossero destinati ai clandestini indicati nei capi di accusa. Con il terzo motivo deduce infine la violazione e erronea applicazione della norma incriminatrice ex art. 12 cit. in riferimento alla corretta qualificazione giuridica del reato contestato come figura autonoma di – reato e non già come circostanza aggravante e sostiene l’errore dei giudici del merito nell’aver ignorato la giurisprudenza di legittimità che qualifica come aggravanti ad effetto speciale e non come autonomo titolo di reato il fatto commesso al fine di lucro ovvero da tre o più persone, con la conseguenza che il giudizio di equivalenza con le concesse generiche comportagli ripristino della sanzione per il reato di favoreggiamento non aggravato e la declaratoria di prescrizione, essendo decorso il termine massimo previsto dalla legge.

Analoghe tra loro sono le censure in difesa di C.D. e Z. A., marito e moglie.

Con il primo motivo, comune ad entrambi, denunciano la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, la non corretta valutazione delle risultanze processuali e la mancata risposta alle doglianze difensive, mosse nei motivi di appello, del quale riportano il tenore letterale.

Con il secondo motivo, comune ad entrambi, lamentano la inutilizzabilità ex art. 271 c.p.p. delle intercettazioni telefoniche sulle utenze nn. (OMISSIS) in riferimento alla diversità della data di inizio delle operazioni, risultante dal verbale rispetto a quello risultante dal decreto autorizzativi del G.I.P., non potendosi ritenere esaustiva la risposta del giudice del gravame, che aveva ritenuto l’errore materiale.

Con il terzo motivo C.D. lamenta l’inosservanza e erronea applicazione della norma incriminatrice ex art. 630 c.p., in riferimento all’inquadramento della fattispecie nell’ipotesi del sequestro di persona a scopo di estorsione e all’omessa derubricazione nella fattispecie dell’art. 605 c.p., osservando che l’organizzazione criminale che pattuisce un compenso per agevolare l’immigrazione clandestina non si prefigge lo scopo di lucrare un profitto illecito, quale prezzo della liberazione proprio in virtù dell’accordo con la vittima stessa. Con il terzo motivo la Za.

A. propone la medesima questione posta dalla difesa di Z. S. in riferimento alla qualificazione del fatto come ipotesi autonoma di reato e non come circostanza aggravante del favoreggiamento e invoca la declaratoria di prescrizione del reato.

Il quarto motivo, comune ad entrambi, introduce il tema del vizio di motivazione in riferimento alla conferma del giudizio di colpevolezza.

Il reato di immigrazione clandestina aggravata, contestato a tutti e tre gli imputati è prescritto.

Ed invero, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza di questa Corte, che il collegio condivide, le ipotesi previste dalla L. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 3, nel testo antecedente le modifiche introdotte dal D.L. n. 241 del 2004, conv. con modif. con L. n. 271 del 2004 e successivamente dalla L. 15 luglio 2009, n. 94 non configurano ipotesi autonome di reato, ma circostanze aggravanti ad effetto speciale, con la conseguenza che il giudizio di equivalenza con le attenuanti generiche comportava il ripristino della sanzione prevista per il reato di favoreggiamento non aggravato (Cass. Sez. 1, 21/10-17/11/04 n.44644 Rv.230187; 13/10-29/10/2009 n.41566 Rv.245044).

Ne deriva che trattandosi di fatti, commessi sino al (OMISSIS), epoca in cui la L. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1 prevedeva la pena della reclusione fino a tre anni, la concessione delle attenuanti generiche ha comportato il ripristino della sanzione prevista per il reato non aggravato, con la conseguenza che, dovendosi applicare il nuovo regime di cui all’art. 157 c.p., come modificato dalla L. n. 251 del 2005, vigente al momento della sentenza di primo grado, alla data della sentenza di secondo grado era già maturata la prescrizione del reato, intervenuta nel (OMISSIS) (anni sette e mesi sei).

Nè sarebbe possibile una formula di proscioglimento più favorevole ai sensi dell’art. 129 c.p.p., come auspicato dalle rispettive difese, essendo le censure sul punto generiche o comunque non consentite, profilandosi esse come doglianze non consentite, volte, come esse appaiono, ad introdurre come "thema decidendum" una rivisitazione del "meritum causae", preclusa come tale in sede di scrutinio di legittimità.

Residua per il ricorrente C.D. il solo reato di sequestro di persona continuato, le cui censure difensive appaiono destituite di fondamento.

Ed invero l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni delle due utenze telefoniche summenzionate si profila generica, laddove non specifica quale sia stato il contenuto di esse, e quale il contributo reso alle indagini, sulle quali i giudici del merito hanno poi fondato il convincimento della colpevolezza, senza dire peraltro, che sulla stessa eccezione, si è già pronunciato il giudice del gravame, quando da un lato ha richiamato l’errore nella indicazione nel verbale della data di inizio delle operazioni, che certamente non poteva attestare quanto avvenuto il giorno precedente, e dall’altro ha evidenziato come, trattandosi di proroga delle intercettazioni, soccorreva il disposto dell’art. 267 c.p.p., comma 3, a mente del quale l’inutilizzabilità è configurabile solo nel caso in cui venga superato il termine massimo di quindici giorni, che nella fattispecie non risultava superato alla stregua del raffronto tra i relativi verbali delle operazioni.

La censura concernente la qualificazione giuridica del fatto, che aveva dato luogo alla contestazione del reato ex art. 630 c.p., pone in discussione senza addurre apprezzabili motivi in diritto il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, a mente del quale integra il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione la condotta, consistente nella privazione della libertà della vittima di muoversi secondo la propria autonoma scelta, finalizzata a conseguire, come prezzo della liberazione una prestazione patrimoniale, pretesa anche in esecuzione di una precedente intesa illecitamente intercorsa tra l’autore del fatto e la vittima (ex plurimis Cass.Sez. 1, 11/2-26/4/2010 n.16177 Rv.247230, fattispecie nella quale cittadini extracomunitari erano stati tenuti segregati e controllati a vista fino a quando non fosse stato pagato il compenso concordato da essi o dai loro prossimi congiunti).

Le residue censure tendono a sottoporre al giudizio di legittimità, mediante la riproposizione delle doglianze formulate nei motivi di appello, aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio a fronte di un apparato argomentativo della sentenza impugnata, di cui in precedenza si è fatto cenno, che da puntualmente e adeguatamente conto delle ragioni della conferma del giudizio di colpevolezza, enunciando analiticamente gli elementi e le circostanze di fatto convergenti e rilevanti a tal fine, di guisa che la motivazione non appare sindacabile in questa sede.

La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio limitatamente al reato ex D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, contestato a tutti e tre gli imputati, perchè estinto per prescrizione, con rinvio nei confronti del solo C.D. ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze, la quale procederà alla rideterminazione della pena in ordine al residuo di cui agli artt. 81 e 630 c.p., dal quale provvedere a scorporare il quantum relativo al reato ex art. 12 cit..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata:

– nei confronti di Z.S. e Zh.Ai. perchè il reato è estinto per prescrizione;

– nei confronti di C.D. limitatamente al reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, perchè estinto per prescrizione e rinvia per la determinazione della pena a titolo di continuazione ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze:

– rigetta nel resto il ricorso di C.D..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *