Cass. civ. Sez. III, Sent., 16-02-2012, n. 2212

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

All’esito del giudizio di rinvio disposto da Cass. n. 12961 del 2005, con sentenza del 19/8/2008 la Corte d’Appello di Palermo respingeva il gravame interposto dai sigg.ri O.L., L. e B.S. nei confronti della pronunzia Trib. Termini Imerese 22/6/1999 di rigetto della domanda di riscatto agrario dai medesimi formulata relativamente a fondo rustico sito in (OMISSIS), venduto dal sig. F.F. al sig. A.D..

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’ O. e i B. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi il F. e l’ A., il quale ultimo spiega altresì ricorso incidentale sulla base di unico motivo.

Motivi della decisione

Con il 1 motivo i ricorrenti in via principale denunziano insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si dolgono che, dopo aver affermato che la prova della simulazione può essere data dal terzo estraneo alla simulazione anche per presunzioni, la corte di merito abbia nella specie preteso la prova diretta.

Con il 2 motivo denunziano omessa motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamentano che, dopo avere affermato incombere al F. l’onere di provare che "il prezzo ricevuto era proprio quello pattuito", la corte di merito non tiene conto del relativo mancato assolvimento da parte del medesimo.

Con il 3 motivo denunziano contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si dolgono che la corte di merito non abbia valorizzato gli elementi indiziari deponenti per la sua qualifica come coltivatore diretto.

Con il 4 motivo denunziano insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamentano che, nel considerare contraddittorie le risultanze della prova testimoniale, la corte di merito abbia valorizzato alla stessa stregua di quelle dirette anche le dichiarazioni dei testi L. e T., che erano invero "de relato actoris".

Con il 5 motivo denunziano omessa e insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamentano non essere state dalla corte di merito adeguatamente valorizzate alcune emergenze processuali (atti notarili, visure ipotecarie, dichiarazioni testimoniali).

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito e la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", i sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Va altresì in particolare ribadito che il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto base della decisione (in particolare cfr. Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il, profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dagli odierni ricorrenti.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come i medesimi facciano richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all’"atto di citazione notificato il 3/5.6.1989", alla "compravendita tra l’ A. acquirente ed il F. venditore", alla "mezzadria" e all’"affitto", all’"atto di trasferimento Notar Leoluca Crescimanno del 27.10.1988", alla comparsa di costituzione dei convenuti, alla prova testimoniale, all’interrogatorio formale, alla C.T.U., ai "documenti e gli atti di cui al fascicolo", alla sentenza di primo grado, all’atto di appello, alle "visure ipotecarie prodotte a seguito della sentenza di rinvio della cassazione", agli "atti notarili", ai "documenti di causa", alla "perizia di C.T.U.") limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non pongono questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Va d’altro canto sottolineato, (anche) a completamento di quanto già più sopra indicato, che il vizio di motivazione non può essere invero utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre in particolare un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice (v. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

Secondo risalente orientamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo.

In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (v. Cass., 9/3/2011, n. 5586).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Quanto al 1, al 2 e in parte al 3 motivo, va altresì in particolare posto in rilievo che i ricorrenti, pur formalmente rubricando i medesimi in termini di vizio di motivazione, formulano in realtà inammissibilmente censure di violazione di norma di diritto, e in particolare della regola sull’onere della prova ex art. 2697 c.c., laddove si dolgono che la corte di merito non abbia tratto i corretti corollari dalla operata distinzione tra prova diretta ed indiretta nonchè dall’asserito mancato assolvimento dell’onere della prova incombente sulla controparte (in ordine alla differenza tra denunzia di violazione della norma sull’onere della prova e denunzia di non corretta valutazione dei mezzi di prova v. Cass., 28/11/2007, n. 24755; Cass., 20/6/2006, n. 14267; Cass., 12/2/2004, n. 2707).

Va ulteriormente – anche con riferimento al 4 e al 5 motivo – in ogni caso ribadito che, giusta orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, e l’osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non richiedono che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’"iter" argomentativo seguito (v. Cass., 27/7/2006, n. 17145).

La valutazione delle prove, e con essa il controllo sulla loro attendibilità e concludenza, e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, sono rimesse al giudice del merito e sono sindacabili in cassazione solo sotto il profilo della adeguata e congrua motivazione che sostiene la scelta nell’attribuire valore probatorio ad un elemento emergente dall’istruttoria piuttosto che ad un altro. In particolare, ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata è sufficiente che il giudice, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata. In tema di valutazione delle prove, difatti, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia delle prove stesse, nel senso che (fuori dai casi di prova legale) esse, anche se a carattere indiziario, sono tutte liberamente valutabili dal giudice di merito per essere poste a fondamento del suo convincimento (v.

Cass., 18/4/2007, n. 9245; Cass., 28/6/2006, n. 14972).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v.

Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso principale.

Con unico motivo il ricorrente in via incidentale denunzia violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che, pur essendo stata ad essa rimessa la relativa decisione da parte della Corte Suprema di Cassazione, la corte di merito abbia "mancato" di condannare i soccombenti al pagamento delle spese.

Il ricorso è inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, non recando il prescritto quesito di diritto.

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto e il momento di sintesi possano, e a fortiori debbano, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresì carente di autosufficienza.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del F., seguono la soccombenza.

Attesa la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra i ricorrenti in via principale e l’ A..

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile l’incidentale. Condanna i ricorrenti in via principale al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione in favore del F., che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra i ricorrenti in via principale e l’ A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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