Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 28-06-2011) 29-09-2011, n. 35380

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con provvedimento del 13.1.2011, il Gup presso il Tribunale di Gorizia ha disposto l’archiviazione del procedimento in riferimento alla posizione di T.A. e – ritenuto che in relazione alla posizione di B.L. non potesse essere accolta la richiesta del pubblico ministero – ha fissato l’udienza in camera di consiglio per il giorno 3.3.2011.

Avverso tale pronunzia, B.L. ricorre per cassazione e, chiedendone l’annullamento, deduce che il provvedimento è abnorme, e che il Gip avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità dell’azione penale nei suoi confronti, così come richiesto dal pubblico ministero, essendo l’azione preclusa per il principio del "ne bis in idem".

Con memoria del 23.6.2011, il ricorrente insiste nell’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Le sezioni unite di questa Corte hanno in più occasioni ribadito (v.

Cass. S.U., sent. n. 26/1999, rv. 215094 e sent. n. 17/1997, rv.

209603) che si caratterizza per abnormità non soltanto il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale ma, altresì, quello che, pur essendo in astratto espressione di un legittimo potere, si esplichi, al di là di ogni ragionevole limite, al di fuori dei casi consentiti o delle ipotesi previste; e l’abnormità dell’atto può riguardare tanto il profilo strutturale (quando l’atto si pone al di fuori del sistema normativo) quanto il profilo funzionale (quando, pur non ponendosi al di fuori del sistema, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo).

Con le più recenti sentenze in materia (cfr. S.U. sent. n. 12822/2010 Rv. 246269; S.U. sent. n. 5307/2007, rv. 238239) le sezioni unite hanno ribadito questi principi, considerando ancora che l’assenza di criteri uniformi d’identificazione dei caratteri distintivi del provvedimento abnorme ha contribuito ad una progressiva estensione di tale categoria, rispetto alle tradizionali invalidità dell’atto, nell’intento dichiarato da parte della giurisprudenza di legittimità di rimuovere, con il rimedio del ricorso immediato per Cassazione, situazioni processuali "extra ordinem", altrimenti non eliminabili (per la preclusione derivante dalla tassatività dei mezzi di impugnazione e delle nullità), che conseguono ad atti del giudice geneticamente o funzionalmente anomali, non inquadrabili nei tipici schemi normativi ovvero incompatibili con le linee fondanti del sistema.

Tanto premesso, rileva il Collegio che il giudice per le indagini preliminari, allorchè non ritenga di accogliere la richiesta di archiviazione, o quando – proposta opposizione da parte della persona offesa dal reato – la stessa non sia inammissibile, deve necessariamente fissare l’udienza camerale prevista dall’art. 409 c.p.p., comma 2 e che il provvedimento di fissazione dell’udienza camerale di cui alla norma citata, in forza della tassatività dei mezzi di impugnazione, non è ricorribile per Cassazione. Alla luce dei principi sopra indicati, neppure sotto il profilo dell’abnormità, il provvedimento in questione può essere impugnato, in quanto esso rientra nei poteri tipici del g.i.p. e non determina alcuna irrimediabile stasi processuale.

Il codice di rito, d’altra parte, prevede la ricorribilità dell’ordinanza di archiviazione nei casi di nullità riconducibili all’art. 127 c.p.p., comma 5, ma non prevede alcuna possibilità di impugnazione avverso il provvedimento che l’archiviazione neghi, la qual cosa appare del tutto logica, poichè il provvedimento lascia intatta la facoltà dell’interessato di dispiegare ogni difesa in sede di udienza preliminare e di opporsi in quella sede all’emissione del decreto che dispone il giudizio (cfr. Cass. Sez. 6^, sent. n. 40768/2006 Rv. 235527). Tali considerazioni, a maggior ragione, valgono allorchè non sia stato ancora emesso alcun provvedimento di rigetto dell’archiviazione, ma sia stata fissata – come nella fattispecie, e a seguito di opposizione della parte offesa – la camera di consiglio ai sensi dell’art. 409 c.p.p., comma 2 e art. 410 c.p.p., comma 3, nel corso della quale l’indagato ben potrà svolgere ogni argomentazione a sua difesa.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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