Cass. civ. Sez. III, Sent., 16-02-2012, n. 2210 Deliberazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I S. citarono in giudizio il Comune di Tricarico perchè fosse condannato a pagargli il contributo previsto dalla L. n. 219 del 1981 per la ristrutturazione di un immobile danneggiato dal sisma del 1980.

Il Tribunale di Matera, disapplicata la delibera comunale che aveva revocato l’erogazione del contributo, accolse la domanda.

Impugnata la sentenza da ambedue le parti, la Corte d’appello di Potenza ha parzialmente riformato la prima sentenza, subordinando la condanna del Comune all’adempimento delle condizioni e dei termini di cui alla L. n. 219 del 1981, art. 15 (ossia, all’inizio ed all’esecuzione dei lavori di ristrutturazione dell’immobile danneggiato).

Propongono ricorso per cassazione i S. attraverso cinque motivi. Resiste il Comune, che propone ricorso incidentale attraverso tre motivi.

Motivi della decisione

I ricorsi devono essere riuniti, siccome proposti contro la medesima sentenza.

IL RICORSO DEI S..

Il primo motivo – nel quale i ricorrenti sostengono che il sindaco conferì mandato al difensore con espressa estensione anche al giudizio d’appello e di eventuale esecuzione, benchè la G.M. lo avesse autorizzato a conferire mandato per la sola costituzione nel primo grado – è infondata, siccome la sentenza impugnata, nell’interpretare la deliberazione, fa corretta applicazione del principio in ragione del quale l’autorizzazione della giunta municipale al sindaco di un comune a proporre una domanda o a resistere in giudizio, senza alcuna limitazione al giudizio di primo grado, abilita il sindaco implicitamente anche alla proposizione dell’appello ove il giudizio abbia avuto un esito sfavorevole al Comune, in conformità al principio generale secondo il quale la procura speciale al difensore, rilasciata in primo grado "per il presente giudizio" (o processo, causa, lite etc), senza alcuna indicazione delimitativa, esprime la volontà della parte di estendere il mandato all’appello, quale ulteriore grado in cui si articola il giudizio stesso, cosi superando la presunzione di conferimento solo per detto primo grado, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., u.c. (Cass. n. 12109/06). Altrettanto infondato è il secondo motivo – nel quale si sostiene la nullità della procura per il grado d’appello, avendo nel 2002 il Comune di Tricarico attribuito ai dirigenti il potere di promuovere e resistere alle liti – in quanto (come rileva la sentenza) il processo è stato incardinato (nel 1995) precedentemente all’approvazione di tale deliberazione attraverso un mandato alle liti conferito dal sindaco anche per il giudizio d’appello.

Il terzo motivo sostiene che il giudice d’appello avrebbe dovuto dare per avverate le condizioni d’accesso al contributo in quanto esse erano venute meno a causa dell’illegittimo atto di revoca da parte del Comune. Il quarto motivo sostiene che la condotta posta dal giudice come condizione dell’esigibilità del contributo sarebbe impossibile ed illecita e si risolverebbe nella negazione del diritto al contributo medesimo, del quale i ricorrenti sarebbero stati già titolari.

I motivi terzo e quarto, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

Occorre premettere una serie di principi generali sul tema così come consolidatisi nella giurisprudenza di legittimità, ed, in primo luogo, che quello del quale si discute non costituisce un beneficio pubblico concesso in favore di soggetti che genericamente hanno subito danni al patrimonio in occasione del sisma, bensì, specificamente, un contributo per la ricostruzione di immobili danneggiati, erogato, ai sensi della L. n. 219 del 1981, art. 15, in determinate percentuali, all’inizio dei lavori, ai successivi stati d’avanzamento ed all’ultimazione degli stessi, una volta accertatane la regolare esecuzione. Siffatta normativa è ribadita nel D.Lgs. n. 76 del 1990, nella quale è stata trasfusa la precedente.

Più in particolare, questa Corte (cfr. soprattutto Cass. n. 2515/10 in motivazione) ha individuato, nella specifica disciplina dei contributi dei quali si discute, il principio informatore per il quale essi sono erogati in relazione ad uno specifico permesso edilizio ed, una volta concessi, non costituiscono un credito che possa essere liberamente utilizzato dal privato per opere diverse o (tantomeno) per scopi diversi rispetto alla ricostruzione assentita.

Sicchè, si esclude che il diritto al contributo, riconosciuto in relazione ad una concessione edilizia contestualmente rilasciata, possa sopravvivere alla concessione medesima, possa essere trasferito ad altra concessione o possa entrare in uno stato di quiescenza e rivivere poi con riferimento ad altra concessione. Il diritto del privato al contributo, configurabile come diritto soggettivo tutelabile davanti al giudice ordinario (tra le varie, cfr. Cass. n. 1603/09) ha, dunque, il suo fondamento nell’atto del sindaco che quel contributo riconosce in relazione ad un progetto edilizio, per il quale rilascia contestualmente apposita concessione.

Si è pure precisato (cfr. Cass. 18454/11 in motivazione) che la proprietà dell’immobile da riparare è titolo per l’attribuzione del contributo, che non potrebbe essere erogato nè in tutto, nè in parte in assenza di esso e l’erogazione avviene a favore del proprietario sulla base degli stati di avanzamento ed entro termini stabiliti dalla legge. La relativa disciplina è ispirata all’esigenza di evitare che i contributi pubblici erogati a fini assistenziali divengano oggetto di speculazione privata da parte dei proprietari, non interessati ad utilizzare per sè gli immobili danneggiati. In questo quadro, l’originaria disposizione contenuta nella L. n. 219 del 1981, art. 13, comma 1, non aveva la funzione di sancire la decadenza del beneficiario che vendesse prima del completamento dei lavori, giacchè questa decadenza derivava direttamente dal venir meno dell’attribuzione del titolo. Essa aveva, piuttosto, la funzione di estendere la decadenza dal beneficio all’ipotesi di alienazione dell’immobile nei cinque anni posteriori al completamento dei lavori di riparazione. La L. n. 12 del 1988 ha soppresso la decadenza prevista dall’art. 13 summenzionato, con la conseguenza che, dopo il completamento dei lavori, l’immobile può essere venduto senza aspettare il compimento del termine quinquennale originariamente previsto, ma il tessuto normativo circa il titolo d’attribuzione del contributo e le modalità della sua erogazione non sono stati modificati, sicchè la perdita della proprietà dell’immobile prima del completamento dei lavori continua a comportare la decadenza dal beneficio.

La novella del 1988 consente inoltre il trasferimento del contributo, non ancora erogato in tutto o in parte, all’acquirente dell’immobile nei soli comuni disastrati; ammettendo così una deroga alla summenzionata regola generale, ispirata allo speciale favore per le popolazioni dei comuni più duramente colpiti dal sisma.

In altri termini, la L. n. 219 del 1981, nel prevedere un contributo per la riparazione degli edifici danneggiati dal sisma a favore di coloro che ne fossero proprietario alla data dell’evento naturale e nel disciplinare la sua erogazione in relazione all’effettiva esecuzione dei lavori da parte del beneficiario, assume la qualità di proprietario danneggiato dal sisma a requisito soggettivo per l’erogazione del contributo e non consente che ne beneficino coloro i quali, alienando l’immobile, abbiano perduto la qualità di proprietario, salvo (lo s’è detto) quanto espressamente previsto con esclusivo riguardo ai comuni dichiarati disastrati.

A conclusione del discorso occorre pure ribadire che il D.Lgs. n. 76 del 1990 (nel quale, come s’è detto, è stata trasfusa la precedente normativa in tema di contributi per la ricostruzione e riparazione di unità immobiliari colpite da eventi sismici) prevede una disciplina organica e speciale rispetto alla quale è inapplicabile la disciplina civilistica relativa all’impossibilità della prestazione (artt. 1218 e 1256 cod. civ.); sicchè è preclusa l’indagine sui motivi, i fatti e le omissioni che hanno impedito al beneficiario del contributo il rispetto di termini o oneri per impedire la decadenza dal contributo stesso (Cass. n. 5020/09, in tema di decadenza dal beneficio per il mancato rispetto del termine di inizio o di ultimazione dei lavori, prevista dall’art. 21 del suddetto decreto).

I principi finora enunciati vanno adesso trasferiti nella fattispecie in trattazione.

Va posto subito in evidenza che la sentenza impugnata afferma (cfr. pag. 6) essere incontestato "fra le parti che gli odierni appellati non hanno mai neppure iniziato, nè prima nè durante il presente giudizio, i lavori per i quali era stato loro concesso il buono contributo". Aggiungendo che "ad oggi non risulta che gli appellanti od i loro aventi causa abbiano mai cominciato i lavori, neppure dopo l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. emessa in loro favore il 22.3.2005 dal G.E. del Tribunale di Matera …nè risulta che essi abbiano mai concretamente offerto di cominciarli".

Risulta pure accertato che nel gennaio del 2002 (ossia quando ancora non era giunto a termine il primo grado del giudizio) l’immobile è stato alienato a terzi. La circostanza che i lavori di recupero dell’immobile siano stati poi, di fatto, realizzati da questi ultimi (circostanza meramente enunciata a pagg. 41 e 44 del ricorso dei S.) non è stata oggetto d’accertamento nei giudizi di merito e, per quanto sopra dettagliatamente spiegato, resta del tutto ininfluente rispetto alla pretesa dei ricorrenti. Pretesa che mostra la sua assoluta infondatezza proprio laddove, contraddicendo decisamente i principi finora enunciati, teorizza la completa scissione tra diritto alla percezione del contributo ed esecuzione dei lavori per i quali il contributo stesso è stato concesso. La tesi è che l’amministrazione stessa ha reso impossibile ai sinistrati di adeguare il loro comportamento al precetto normativo;

impossibilità che comporterebbe l’obbligo del Comune di erogare comunque il contributo, benchè nessuna delle condizioni alle quali la sua erogazione è sottoposta si sia verificata e sia venuto a mancare pure l’indispensabile requisito soggettivo (la proprietà dell’immobile) al quale s’è fatto prima riferimento. In altri termini, la parte pretende una pronuncia giudiziale in netto contrasto con i precetti normativi invocati.

E’ facile contraddire che – come s’è visto – alla specifica materia in trattazione non sono applicabili i principi civilistici relativi sia all’impossibilità della prestazione, sia alla condizione e che tutte le altre ragioni addotte (tra cui quella che l’immobile è stato venduto a prezzo basso prima della sentenza del Tribunale proprio in considerazione del fatto che l’immobile era assai disastrato e v’era incertezza intorno all’erogazione del contributo) restano affatto irrilevanti ed influenti rispetto alla pretesa spiegata, costituendo, piuttosto, scelte delle quali la parte subisce le conseguenze.

Quanto, poi, alle sentenze di condanna condizionate, circa la loro efficacia, al verificarsi di un determinato evento futuro ed incerto, alla scadenza di un termine prestabilito o ad una controprestazione specifica, va detto che esse sono ammesse dall’ordinamento, sempre che la circostanza tenuta presente sia tale per cui il suo verificarsi non richieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi in un nuovo giudizio di cognizione. Con dette pronunce, infatti, non viene emessa una condanna da valere per il futuro, ma si accerta l’obbligo attuale di eseguire una certa prestazione ed il condizionamento (parimenti attuale) di tale obbligo al verificarsi di una circostanza il cui avveramento, pur presentandosi differito ed incerto, non richiede, per il suo accertamento, altre indagini che quella se la circostanza stessa si sia o meno verificata (Cass. nn. 11261/03 e 12444/03).

Nel nostro caso, la condizione è sottesa alla stessa legge, nel momento in cui essa impone l’inscindibile nesso contributo/opere.

Quanto al quinto motivo del ricorso (vi si sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza, il debito del Comune avrebbe natura di valore e non di valuta, con conseguente diritto dei creditori alla rivalutazione) esso risulta assorbito dal rigetto dei precedenti motivi ed, in particolare, dall’affermato, diretto collegamento tra l’esecuzione dei lavori e l’erogazione del contributo. In conclusione, il ricorso dei S. deve essere respinto.

IL RICORSO INCIDENTALE DEL COMUNE. Attraverso il primo motivo del ricorso incidentale l’Ente denunzia la violazione della L. n. 219 del 1981, art. 13 (secondo cui "In caso di alienazione di unità immobiliari aventi titolo ai benefici disposti dalla presente legge e ricadenti nei comuni disastrati il diritto ai contributi spettante al dante causa si trasferisce all’acquirente") e sostiene che, essendosi il diritto al contributo trasferito agli acquirenti (s’è detto che l’immobile in questione è stato venduto a terzi nel corso del primo giudizio di merito), gli attuali ricorrenti non avrebbero più interesse ad agire, con conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione da loro proposto. Il secondo motivo censura, sotto il profilo del vizio della motivazione, quel passo della sentenza in cui (per respingere l’eccezione del Comune) s’afferma che "ex art. 111 c.p.c. l’alienazione del diritto dedotto in lite non incide sulla legittimazione della parte originaria, ma consente soltanto l’eventuale intervento in causa dell’acquirente e, in tal caso, la possibile estromissione dell’alienante". Anche questa censura (come meglio esplicitato nell’annesso quesito) è diretta a sostenere la "…carenza assoluta di legittimazione dei ricorrenti nel presente giudizio che comporta l’inammissibilità del ricorso principale".

I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

E’ pur vero che l’ultima, menzionata affermazione della sentenza è errata e va corretta, in quanto nella specie risulta trasferito il diritto di proprietà sull’immobile danneggiato ma non il diritto dedotto in lite, che consiste, appunto, nel diritto alla percezione del contributo. Sicchè, del tutto a sproposito risulta il riferimento all’art. 111 c.p.c..

Tuttavia, si deve osservare che entrambi i motivi neppure discutono del diritto dei S. a percepire il contributo e se, in particolare, l’alienazione dell’immobile glielo abbia fatto (o meno) perdere, piuttosto insistono sulla "assoluta carenza di legittimazione" dei S. stessi a proporre il ricorso per cassazione.

L’ambito in cui è ricondotto il giudizio di legittimità comporta, dunque, che occorre prescindere dai principi generali sopra affermati sull’argomento e concentrare l’attenzione sulla disposizione contenuta dall’invocato art. 13, il cui testo originario stabiliva, al comma 1, che "il proprietario o il titolare di un diritto reale di godimento che, avendo beneficiato dei contributi di cui ai precedenti artt. 9 e 10, aliena il suo diritto sull’immobile ricostruito o riparato o acquistato prima di cinque anni dalla data di ultimazione dei lavori o dall’atto di acquisto è dichiarato decaduto dalle provvidenze accordate ed è tenuto al rimborso dei contributi riscossi maggiorati degli interessi legali".

Il testo al quale fa riferimento il ricorso del Comune è quello risultante dalla modifica introdotta dal D.L. n. 474 del 1988, art. 20 bis, convertito in L. n. 12 del 1988.

Si è visto sopra che la novella portata dalla L. n. 12 del 1988 consente il trasferimento del contributo, non ancora erogato in tutto o in parte, all’acquirente dell’immobile nei soli comuni disastrati;

ammettendo così una deroga alla regola generale (di intrasferibilità del contributo), ispirata allo speciale favore per le popolazioni dei comuni più duramente colpiti dal sisma. Eppure, il Comune di Tricarico non compare nell’elenco dei Comuni disastrati di cui al D.M. 30 aprile 1982, nè in quello integrativo del 14 settembre 1983 (circostanza questa trascurata sia dalla sentenza, sia dai ricorsi), con la conseguenza che esso deve essere considerato come un Comune danneggiato, per il quale vale il principio di stretta corrispondenza proprietà/contributo.

Ne consegue l’infondatezza del ricorso del Comune, che sostiene l’inammissibilità del ricorso dei S. a causa del loro sopravvenuto difetto d’interesse conseguito all’alienazione del cespite.

Il terzo motivo del Comune è infondato, in quanto l’intera compensazione tra le parti delle spese dei giudizi di merito è stata congruamente e logicamente motivata dalla sentenza impugnata.

La complessità della vicenda consiglia l’intera compensazione tra le parti anche delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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