Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 28-06-2011) 29-09-2011, n. 35347 Falsità ideologica in atti pubblici commessa da privato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di comunicazione di notizia di reato da parte della Guardia di Finanza di Bari, il P.M. formulava richiesta di decreto penale nei confronti di C.T. in ordine ai reati di cui agli art. 640 c.p., comma 1 e 2 e art. 483 c.p. commessi in (OMISSIS), per aver falsamente attestato nell’autocertificazione presentata su tre ricette in data 16.5.2005 di possedere il reddito relativo al proprio nucleo familiare per l’anno 2004 inferiore al limite di reddito per un importo pari ad Euro 21481,00, e quindi indotto in errore l’ASL/BA procurandosi l’ingiusto profitto consistito nel mancato pagamento dell’importo corrispondente al ticket dovuto in relazione alla prestazione sanitaria richiesta ed effettuata pari ad Euro 55,16. La richiesta perveniva nell’ufficio del Gip presso il Tribunale di Bari in data 15.7.2010; Il Gip non emetteva il richiesto decreto penale e, con sentenza del 4.10.2010, dichiarava non doversi procedere nei confronti della C., in ordine ai reati ascritti, per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione.

Avverso tale pronunzia ricorre per cassazione il procuratore generale, deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), per errata interpretazione della legge penale, rilevando che il reato previsto e punito dall’art. 640 c.p., commi 1 e 2, dovendosi considerare una pena edittale massima di anni cinque di reclusione, non è affatto estinto per prescrizione, sia nel caso di applicazione del disposto dell’art. 157 c.p. novellato dalla L. n. 251 del 2005 (che comporta un termine di prescrizione di anni sei), sia nel caso di applicazione della normativa previgente (che avrebbe comportato un termine di prescrizione di anni dieci).

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza, con restituzione degli atti al Tribunale di Bari per l’ulteriore corso.

Motivi della decisione

Preliminare alla questione dedotta dal ricorrente, circa l’errata applicazione della legge penale in ordine al termine di prescrizione del reato di truffa aggravata, applicabile nella fattispecie, è quella relativa alla qualificazione giuridica dei fatti contestati all’imputata, che la Corte può rilevare d’ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2.

Le Sezioni Unite di questa Corte (v. Sez. U, sent. n. 7537/2010 Rv.

249105), decidendo sulla questione circa la corretta qualificazione giuridica del fatto criminoso, consistente nella falsa attestazione del privato di trovarsi nelle condizioni di reddito per fruire, a termini di legge, delle prestazioni del servizio sanitario pubblico senza il versamento della quota di partecipazione alla spesa sanitaria, hanno affermato che il fatto va ricompresso nello schema descrittivo dell’art. 316 ter cod. pen. – che punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore, perchè in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente -, e che il reato di cui all’art. 316 ter cod. pen. assorbe quello di falso previsto dall’art. 483 cod. pen., in tutti i casi in cui l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscono elementi essenziali per la sua configurazione.

Nella vicenda in esame, i fatti contestati all’imputata (consistenti nella falsa autocertificazione del reddito familiare e nel mancato pagamento dell’importo corrispondente al ticket dovuto in relazione alla prestazione sanitaria richiesta) vanno, quindi, correttamente qualificati ai sensi dell’art. 316 ter cod. pen., ivi assorbito il reato di falso. A ciò consegue la declaratoria di non previsione del fatto come reato, in quanto non risulta superata la soglia di punibilità, ragguagliata al valore di Euro 3.999,96, indicata nel secondo comma della richiamata previsione legislativa.

La sentenza va pertanto annullata senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza, qualificato il fatto ai sensi dell’art. 316 ter c.p., comma 2, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, assorbito in esso il reato di cui all’art. 483 c.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *