Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-02-2012, n. 2198 Imprese

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Lo Studio dentistico Foschi – associazione professionale impugna, con due motivi, la decisione della Commissione tributaria centrale n. 753/09, pubblicata il 3.7.2009, con la quale il ricorso proposto dal medesimo avverso la pronuncia del giudice di secondo grado veniva rigettato. Essa osservava che i soci del medesimo operavano in una struttura piuttosto complessa di attrezzature e personale come professionisti dentisti, e che quindi si trattava certamente di attività d’impresa, mentre i costi portati in deduzione non erano inerenti alla medesima, e quindi erano indeducibili.

L’agenzia delle entrate resiste con controricorso, mentre il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1) Col primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di diverse norme di legge, in quanto il giudice di terzo grado non considerava che si trattava di due liberi professionisti che svolgevano l’attività in forma associata col supporto di personale dipendente e di attrezzature, per i quali tuttavia l’elemento predominante era costituito dalle prestazioni professionali rese dai medesimi, dovendosi invece dare rilievo secondario all’apporto dell’organizzazione di cui essi si servivano.

Il motivo è inammissibile, oltre che infondato, in quanto si tratta di valutazione degli elementi istruttori da parte dei giudici di merito, senza che sia possibile prospettarne un vaglio alternativo, come acquisiti dai medesimi, in sede di legittimità.

Infatti al riguardo la giurisprudenza insegna che la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento Nè poi sarebbe configurabile il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione, che si concretizza solamente allorquando non è dato desumere l’"iter" logico-argomentativo condotto alla stregua dei canoni ermeneutici seguiti per addivenire alla formazione del giudizio (V. Cass. sent. 00322 del 13/01/2003). Ciò premesso – "ad abundantiam" – poi si rileva che ai sensi della sentenza della Corte costituzionale 26 marzo 1980, n. 42 (la quale ha precisato i presupposti del tributo di cui al D.P.R. n. 599 del 1973, art. 1), è assoggettabile ad ILOR il reddito derivante da un’attività ritenuta d’impresa, alla stregua di un giudizio di fatto riservato al giudice del merito e non censurabile in cassazione se congruamente motivato (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 25372 del 05/12/2007, n. 12444 del 1991).

2) Col secondo motivo il ricorrente denunzia insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè la CTC non indicava adeguatamente le ragioni, in virtù delle quali riteneva che i costi deducibili fossero carenti di prova circa la loro inerenza.

La censura è inammissibile perchè generica, posto che il ricorrente non ha riportato il tratto del ricorso in terzo grado con cui avrebbe sollevato la questione in ordine alla sussistenza dei costi recuperati a tassazione, e soprattutto circa la loro inerenza all’attività d’impresa, a parte che e ciò viene rilevato solo "ad abundantiam" – la commissione centrale osservava esattamente che la doglianza non era stata suffragata da alcuna prova da parte del contribuente.

Ne deriva che il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila/00), per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *