Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-06-2011) 29-09-2011, n. 35337

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Udine giudicava con il rito abbreviato D.B.P. imputato, in concorso con M.R., del reato di ricettazione di un quantitativo considerevole di oggetti provenienti da furto in danno di D.S.R.; fatti accertati in (OMISSIS);

al termine del giudizio l’imputato veniva condannato con sentenza del 21.06.2007 alla pena ritenuta di giustizia;

La corte di appello di Trieste investita del gravame, riformava la decisione di primo grado riqualificando i fatti nel diverso reato di cui all’art. 624 bis c.p. rispetto all’originaria contestazione ex art. 648 c.p.;

la riqualificazione nel diverso reato di furto veniva ritenuta limitatamente ai beni riconosciuti dalla parte offesa D.S. R. mentre, per tutti gli altri oggetti rinvenuti in possesso dell’imputato, indicati ai numeri 6-10-11-12-13-14-42 del capo di imputazione, la Corte di appello confermava la condanna per ricettazione, ritenendo la continuazione tra i reati e confermando la pena inflitta in primo grado;

L’imputato ricorre per cassazione a mezzo del difensore, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e).

1) – il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione di legge, avendo erroneamente ritenuto la ricorrenza del reato di ricettazione per gli oggetti non compresi tra quelli asportati dall’abitazione della D.S.;

– a parere del ricorrente mancava la prova dell’origine delittuosa di tali oggetti sicchè andava pronunciata l’assoluzione dell’imputato in relazione al loro possesso, con relativa restituzione;

– la decisione era da censurare per avere affermato la penale responsabilità sulla scorta dell’illogica considerazione che non si poteva escludere l’origine furtiva dei beni in questione;

-la decisione aveva inoltre travisato la prova laddove aveva ritenuto che dalla relazione dell’agente Z. emergeva che l’imputato aveva fatto intendere la provenienza illecita degli stessi oggetti mentre dalla lettura della relazione di servizio emergeva solamente che il D.B. aveva detto all’agente cosa diversa e cioè: di avere "altro materiale che ci avrebbe potuto interessare";

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorrente muove censure alla sentenza di 2^ grado limitatamente all’affermata responsabilità per il delitto di ricettazione degli oggetti non compresi tra quelli sottratti alla parte offesa D. S.;

fonda, però, il motivo su interpretazioni alternative delle prove già analizzate dalla Corte di appello, richiamando una diversa valutazione dei fatti che risultano vagliati dal giudicante con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non è possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

La sentenza impugnata risulta congruamente motivata in ordine alla penale responsabilità per il delitto di ricettazione, osservando:

– che l’imputato aveva fatto intendere all’agente (sotto copertura) Z. "la provenienza illecita degli oggetti che egli si apprestava a mostrare";

– che, pertanto, quegli oggetti dovevano ritenersi il frutto di una distinta ricettazione commessa da D.B..

Si tratta di una motivazione del tutto congrua ed immune da illogicità evidenti, dovendosi ricordare che, in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre, Cassazione penale sez. 4^ 29 gennaio 2007, n. 12255.

Il ricorrente deduce in proposito il vizio di travisamento della prova, osservando che dalla relazione di servizio non risultava affatto che il D.B. avesse fatto intendere che gli oggetti che andava a mostrare fossero di illecita provenienza in quanto dalla relazione emergeva soltanto che il D.B. aveva affermato di avere "altro materiale che ci avrebbe potuto interessare", senza alcun riferimento all’origine dello stesso.

Non ricorre nella specie il vizio di travisamento della prova, che si ha nel diverso caso in cui si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo (Cassazione penale, sez. 2^ 28 maggio 2008, n. 25883);

in realtà il ricorrente ricorre ad un’interpretazione diversa della stessa relazione già esaminata e valutata dalla Corte di appello, proponendo così una valutazione alternativa inammissibile in questa sede.

Va osservato, per altro, che il D.B. avrebbe dovuto allegare la relazione in oggetto in forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale sicchè, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto. (Cassazione penale, sez. 4^, 26 giugno 2008, n. 37982).

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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