Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-06-2011) 29-09-2011, n. 35335 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Messina giudicava con il rito ordinario.

B.S. imputato di due distinti reati di ricettazione:

-il primo, relativo a circa 300 orologi di provenienza illecita perchè aventi il marchio contraffatto (Rolex, Seyco, Yideli); fatto accertato in (OMISSIS);

– il secondo, relativo all’acquisto, avvenuto in più occasioni, di oggetti vari (abbigliamento, accendini, calcolatrici ed altro) provenienti da delitto perchè aventi il marchio contraffetto; fatto accertato in (OMISSIS);

al termine del giudizio l’imputato veniva condannato con sentenza del 30.09.2004 alla pena ritenuta di giustizia, con la continuazione tra i reati.

La corte di appello di Messina investita del gravame, confermava la decisione impugnata con sentenza del 09.07.2010.

L’imputato ricorre per cassazione:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e).

– il ricorrente censura la decisione impugnata:

1) – per avere omesso di dichiarare la nullità della notifica della sentenza di primo grado perchè, pur in presenza di una dichiarazione di domicilio, era stata notificata ex art. 157 c.p.p., comma 8, anzichè con la procedura di cui all’art. 161 c.p.p., comma 4;

2) – per avere omesso di dichiarare la nullità della sentenza di condanna conseguente alla mancata notifica del verbale di sequestro;

3) – per avere omesso di unificare tutti i reati ascritti nei due capi di imputazione pur trattandosi di fatti similari ed accertati a brevissima distanza di tempo uno dall’altro;

4) – per avere ritenuto la penale responsabilità dell’imputato nonostante la mancanza di una perizia o accertamento tecnico idoneo ad accertare la contraffazione dei marchi degli oggetti sequestrati e senza considerare che l’imputato non era l’unico ad avere la disponibilità dell’abitazione in (OMISSIS) ove era avvenuto il sequestro;

5) – per avere irrogato una pena eccessiva e per omesso di motivare in ordine alla configurabilità dell’ipotesi attenuata ex art. 648 cpv c.p., atteso che i beni, se non originali, erano di valore modesto;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

I motivi proposti sono totalmente infondati.

Quanto al primo motivo occorre ricordare che la notifica della sentenza è funzionale all’impugnazione; nella specie è stato proposto appello avverso la sentenza di primo grado, sicchè nessuna nullità assoluta si è verificata.

Invero, la mancata notifica all’imputato di qualunque provvedimento impugnabile configura una nullità di ordine generale "a regime intermedio" e non assoluta, che resta sanata, per il raggiungimento dello scopo, a norma dell’art. 183 c.p.p., quando i motivi di impugnazione siano stati tempestivamente presentati. (Cass. pen. Sez. 1^, 24.02.2010 n. 10410).

Questo rilievo è assorbente di ogni altra deduzione , ma corre l’obbligo di sottolineare la correttezza della motivazione adottata dalla Corte di appello che ha affermato la regolarità della notifica effettuata ex art. 157 c.p.p., comma 8, atteso che, sebbene l’imputato non fosse presente nel domicilio dichiarato, la notificazione non era divenuta impossibile; invero si è ritenuto che ad integrare l’impossibilità della notificazione non basta l’assenza o un allontanamento temporaneo, ma occorre l’avvenuto trasferimento altrove del domicilio. (Cass. pen. Sez. 1^, 23.09.2010 n. 36235 – Cass. pen. Sez. 5^, 29.10.2009, 48652).

Ugualmente infondato risulta il secondo motivo, atteso che l’omessa notifica del decreto di sequestro preventivo alla persona interessata alla restituzione del bene non è sanzionata con la nullità difettando un’espressa previsione della relativa causa di invalidità ed essendo il diritto di difesa garantito dalla facoltà di proporre richiesta di riesame entro dieci giorni dalla data in cui si è avuta conoscenza dell’atto. (Cass. Pen. Sez. 6^, 08.01.2009 n. 15501).

Anche il terzo motivo è del tutto infondato, atteso che la censura sulla continuazione tra i reati non era stata proposta nei motivi di appello;

in ogni caso, corre l’obbligo di sottolineare che il giudice di primo grado aveva già ritenuta la continuazione tra i reati ascritti all’imputato e che quello di secondo grado ha confermato la sentenza, sicchè la censura è priva di ogni fondamento.

Con gli altri motivi, il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

La sentenza impugnata risulta congruamente motivata in ordine alla penale responsabilità dell’imputato, osservando:

– che l’imputato era stato trovato nel possesso di oggetti con il marchio contraffatto;

– che altri oggetti con il marchio contraffatto erano stati rinvenuti anche nell’abitazione di (OMISSIS) di cui l’imputato aveva la disponibilità;

si tratta di una motivazione del tutto congrua, perchè aderente ai fatti di causa e perchè immune da illogicità evidenti;

per converso, le deduzioni difensive si risolvono in valutazioni – in fatto- fondate, tra l’altro, sulla generica deduzione che anche altri avevano la disponibilità dell’alloggio sito in Pantelleria, circostanza meramente assertiva e priva di qualsivoglia riscontro probatorio;

tali deduzioni difensive devono ritenersi inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Cassazione penale, sez. 4^, 29 gennaio 2007, n. 12255.

Ad eguali conclusioni deve pervenirsi riguardo alla censura , mossa in maniera altrettanto generica, relativamente all’omesso accertamento peritale della contraffazione dei marchi, accertamento non necessario nel caso in cui, come nella fattispecie, l’originalità e l’esistenza del marchio siano notori (Cass. pen. Sez. 2^, 03.06.2010 n. 25073).

Così pure riguardo ai motivi relativi:

– all’attenuante ex art. 648 cpv c.p. che va rapportata non al valore dei beni ricettati ma al fatto nella sua globalità, congruamente ritenuto grave dalla Corte di appello con riferimento alla condotta ed alla personalità dell’imputato (Cass. pen. Sez. 2^, 09.07.2010 n. 28689);

-al trattamento sanzionatorie correttamente motivato con il richiamo dei criteri di cui all’art. 133 c.p. (Cassazione penale, sez. 4^, 08 aprile 2008, n. 25279).

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato , proponendo vantazioni giuridiche totalmente contrarie alla Giurisprudenza di legittimità, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

L’inammissibilità dei motivi proposti in diritto ed in fatto riverbera i suoi effetti anche riguardo al motivo relativo alla dedotta prescrizione del reato, atteso che l’inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione nelle more del giudizio di legittimità. (Cassazione penale. sez. 2^ 21 aprile 2006, n. 19578).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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