Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-06-2011) 29-09-2011, n. 35520

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa il 27 novembre 2009 dal Tribunale di quella stessa città, ha assolto B.M. dal reato di cui all’art. 570 c.p., comma 1, confermando la sua responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 e, conseguentemente, ha ridotto la pena a due mesi di reclusione ed Euro 200,00 di multa, sostituita ex L. n. 689 del 1981, art. 53 con la multa di Euro 12.200,00, pena condizionalmente sospesa.

Si apprende dalla sentenza che l’imputato avrebbe fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore C., omettendo di corrispondere la somma fissata dal giudice civile con la sentenza di divorzio per il mantenimento della stessa, nel periodo dal gennaio 2004 fino al 21 ottobre 2006, data in cui la figlia è divenuta maggiorenne.

2. – Contro questa decisione hanno presentato ricorso per cassazione sia il difensore di fiducia, che l’imputato, personalmente.

2.1. – Il difensore dell’imputato ha proposto i motivi di seguito indicati.

Con il primo lamenta il rigetto dell’istanza con cui la difesa aveva chiesto di poter prendere visione ed estrarre copia della documentazione d’indagine integrativa svolta dalla procura generale.

Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 570 c.p.p., comma 2, in quanto la Corte d’appello ha ritenuto sussistente lo stato di bisogno della figlia dell’imputato, nonostante questa fosse affidata alla madre, le cui condizioni economiche erano migliori di quelle del coniuge, svolgendo la professione di medico-dentista e avendo percepito nel corso del 2008 circa 150.000, sicchè era nelle condizioni di provvedere ai mezzi di sussistenza sia suoi, che della figlia. La difesa dell’imputato censura la sentenza impugnata là dove ha ritenuto irrilevante la situazione economica del genitore affidatario, sostenendo comunque lo stato di bisogno della minore: si assume che quando il nucleo familiare composto dal genitore affidatario e dal minore disponga ab origine dei necessari mezzi di sussistenza per il minore stesso, non si può fondatamente sostenere che il difetto di corresponsione dell’assegno di mantenimento da parte del coniuge obbligato possa far mancare detti mezzi di sussistenza con rapporto di causalità. In conclusione, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare la mancanza dei mezzi di sussistenza in concreto, anzichè presumerla in relazione alla minore età della figlia.

Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 570 c.p., comma 2 sotto il profilo dell’elemento soggettivo, in quanto l’imputato non avrebbe corrisposto la somma a titolo di mantenimento proprio in considerazione della situazione economica florida in cui si trovava la moglie.

Il giudice di secondo grado, nel ritenere lo stato di bisogno come derivante dalla minore età della figlia ha comunque escluso che in questo caso potesse parlarsi di errore, ritenendo trattarsi di errore di diritto, non rilevante nel caso in esame.

Sotto un diverso profilo la difesa deduce il travisamento delle prove rappresentato dalle dichiarazioni del coniuge affidatario della minore, nonchè da alcune lettere tra cui quella inviata dalla figlia C. al padre, da cui emergerebbe l’assenza dell’elemento soggettivo del reato in questione.

Ancora, sotto un ulteriore profilo si deduce la violazione dell’art. 59 c.p., comma 4.

Si deduce poi l’illogicità della motivazione, in quanto la sentenza conterrebbe una intrinseca contraddizione avendo escluso il dolo nel reato di cui all’art. 570 c.p., comma 1, con riferimento agli obblighi di assistenza morale, mentre ha ritenuto sussistente l’elemento soggettivo in ordine agli obblighi di assistenza materiale, laddove la condotta dell’imputato è sempre stata determinata dal tentativo di assecondare la volontà della figlia, intenzionata a troncare ogni relazione con lui. Sul punto la difesa indica un ulteriore travisamento della prova costituita dalla lettera che B.C. scrisse al padre il (OMISSIS).

Inoltre, si lamenta la violazione dell’art. 530 c.p.p., comma 2c.p.p., in quanto i giudici avrebbero dovuto assolvere l’imputato in assenza della prova sull’elemento soggettivo.

Con l’ultimo e subordinato motivo si denuncia la violazione degli artt. 164 e 133 c.p. avendo i giudici giustificato la mancata revoca della sospensione condizionale della pena con l’assenza di una specifica richiesta in tal senso da parte dell’imputato.

2.2. – Nel suo ricorso l’imputato muove distinte censure relative al trattamento sanzionatorie: lamenta che non sia stato applicato il minimo della pena prevista per il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2; che nella determinazione della pena non si sia tenuto conto dell’assoluzione con formula ampia dal primo reato; che nella sostituzione della pena detentiva i giudici non abbiano considerato la situazione di indebitamento in cui si trovava.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso presentato dal difensore è infondato.

3.1. – Quanto al primo motivo la sentenza impugnata ha già chiarito che la documentazione di cui la difesa aveva chiesto di potere visionare ed estrarre copie non era costituita da "indagini integrative", ma da "informazioni" non rilevanti ai fini del processo, sicchè la doglianza della difesa, rappresentata nel ricorso, appare del tutto inconferente.

3.2. – La questione principale posta dal difensore dell’imputato è quella contenuta nel secondo motivo, in cui contesta la configurabilità del reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 per la mancanza dello stato di bisogno della figlia minore, il cui mantenimento era assicurato dal genitore affidatario.

La giurisprudenza di questa Corte è assolutamente costante nel ritenere che l’obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore grava su entrambi i coniugi e permane quali che siano le vicissitudini del rapporto coniugale. Pertanto, l’eventuale scioglimento del vincolo matrimoniale, incidendo solo sullo status coniugale, non modifica la tutela penale in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare dei figli minori.

Questa precisazione appare rilevante nella presente fattispecie, in cui risulta contestato il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 con riferimento alla condotta inottemperante dell’imputato rispetto a quanto stabilito dalla sentenza di divorzio emessa dal giudice civile in data 18.12.1989, che poneva a suo carico il pagamento mensile di L. 850.000, rivalutabili annualmente, per il mantenimento della minore, oltre al pagamento delle spese mediche non mutuabili.

Infatti, non è stato contestato il reato previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies, che punisce la mancata corresponsione ai figli affidati al coniuge divorziato dell’assegno di mantenimento, ma quello di cui citato art. 570 c.p., che punisce la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza ai figli minori: si tratta di due norme incriminatrici che tutelano interessi giuridici differenti, in quanto con la citata Legge, art. 12 sexies viene tutelato il semplice inadempimento dell’obbligo previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 6, che prescinde dalla condizione di bisogno; mentre l’altra norma è posta a tutela dell’interesse a non fare mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti minori (in questo senso, Sez. 6, 18 novembre 2008, n. 6575, G.).

Di conseguenza, se la mancata corresponsione da parte dell’obbligato dell’assegno fissato dal giudice civile in favore del figlio minore priva questi dei mezzi di sussistenza, correttamente la condotta inadempiente viene qualificata nell’ambito dell’art. 570 c.p., comma 2, n. 2.

Ed è quanto è stato fatto nel presente processo, in cui i giudici hanno ritenuto che l’imputato non abbia assicurato i mezzi di sussistenza alla figlia minore.

La sentenza si richiama alla giurisprudenza di legittimità che ha sempre ritenuto che nel caso del figlio minore lo stato di bisogno è in re ipsa, non avendo questi alcuna autonomia e capacità reddituale, specificando, inoltre, che l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli grava su entrambi i genitori, per cui il reato è configurabile anche quando al mantenimento vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro (oppure attraverso l’aiuto di terzi), in quanto tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo (tra le tante, Sez. 6, 4 febbraio 2011, n. 8912, K.; Sez. 6, 3 febbraio 2010, n. 14906, B.; Sez. 6, 13 novembre 2008, n. 2736, L.).

La ragione di una giurisprudenza così rigorosa risiede nel fatto che nei processi di separazione e di divorzio il giudice deve regolamentare i doveri dei genitori nei confronti dei figli, ribadendo quanto previsto dall’art. 148 c.c., secondo cui entrambi i genitori sono chiamati ad adempiere l’obbligazione di mantenere i figli in proporzione alle rispettive sostanze e capacità economiche, sicchè l’inadempimento rispetto al pagamento dell’assegno così stabilito, finisce necessariamente per incidere sui mezzi di sussistenza del figlio minore, perchè viene meno quell’equilibrio alla contribuzione posto a carico di ciascun genitore da parte del giudice civile con cui si assicura il mantenimento ai discendenti.

3.3. – Infondato è anche il terzo motivo.

3.3.1. – Innanzitutto, il reato in questione è a dolo generico, non essendo quindi necessario per la sua realizzazione che la condotta omissiva venga posta in essere con l’intenzione e la volontà di far mancare i mezzi di sussistenza alla persona bisognosa (Sez. 6, 22 dicembre 2010, n. 785, S.). Ma soprattutto, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, in particolare nella forma dell’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, non si può invocare l’errore di fatto, nè l’ignoranza della legge penale sotto il profilo della sua inevitabilità, poichè l’obbligo sanzionato deriva da inderogabili principi di solidarietà, ben radicati nella coscienza della collettività, prima ancora che nell’ordinamento.

Deve ritenersi che, in maniera coerente con tali premesse, la sentenza impugnata abbia ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo, respingendo le deduzioni dell’imputato, volte a rappresentare una sorta di mancanza di consapevolezza sullo stato di bisogno in cui poteva trovarsi la minore per effetto della sua omissione, anche in considerazione della professione di avvocato svolta in passato dal B.. Il convincimento del genitore inadempiente di non essere tenuto, per la ritenuta carenza di un effettivo stato di bisogno da parte del minore, alla corresponsione dell’assegno alimentare fissato dal giudice civile, lungi dal comportare l’esclusione dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, si traduce nell’ignoranza non scusabile della legge penale e non può invocarsi, pertanto, al fine di escludere la configurabilità del reato medesimo (così, Sez. 2, 5 maggio 1994, n. 7640, PM in proc. Bonavita).

3.3.2. – Riguardo al denunciato travisamento deve rilevarsi la sua irrilevanza ai fini della sussistenza del reato, che non sarebbe comunque venuto meno anche tenuto conto delle prove non esaminate, in quanto l’imputato era comunque tenuto ad occuparsi della figlia attraverso il versamento dell’assegno stabilito in sede civile.

3.3.3. – Per le ragioni sopra evidenziate deve anche escludersi che nel caso in esame possa farsi applicazione della invocata scriminante putativa di cui all’art. 59 c.p..

Secondo il ricorrente la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 59 c.p., comma 4 per non avere valutato "la reale importanza della frase pronunciata dalla figlia quindicenne" nel corso del litigio con il padre, in cui gli manifestò l’intenzione di troncare ogni rapporto.

Deve osservarsi che l’art. 59 c.p., comma 4 può trovare applicazione solo in presenza di una situazione obiettiva che possa ragionevolmente indurre in errore il soggetto circa l’esistenza delle condizioni fattuali corrispondenti alla configurazione della scriminante: nella specie, appare difficile immaginare che l’imputato possa essere stato indotto in errore da una frase di questo tipo, detta dalla figlia minorenne. In ogni caso, l’obbligo di provvedere al suo mantenimento non poteva venire meno in presenza di atteggiamenti conflittuali da parte della figlia, nemmeno sotto il profilo della causa di giustificazione putativa.

3.3.4. – Inoltre, l’esclusione dell’elemento soggettivo in ordine al reato di cui all’art. 570 c.p., comma 1, non influisce sulla logicità della motivazione che ha condotto a confermare la responsabilità dell’imputato in relazione all’altro reato; peraltro, neppure sotto questo profilo rileva il travisamento della prova in relazione al contenuto della lettera scritta dalla minore al padre.

3.3.5. – Inconferente è infine la doglianza relativa alla mancata applicazione dell’art. 530 c.p.p., comma 2, riferita all’affermazione della sentenza che ha ritenuto che non vi fosse la prova della ripresa dei pagamenti successivamente alla denuncia: il senso di quella affermazione, da valutare nel contesto in cui è calata, è quello di escludere che l’imputato abbia ripreso a corrispondere l’assegno stabilito dal giudice civile, sicchè non si vede come tale circostanza avrebbe potuto o dovuto giustificare una assoluzione.

3.4. – Manifestamente infondato è l’ultimo motivo contenuto nel ricorso.

Premesso che il ricorrente non ha mosso alcuna doglianza in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena, si rileva che la L. 24 novembre 1981, n. 689 non ha dettato norme particolari sui rapporti tra sanzioni sostitutive e sospensione condizionale della pena e che dalla disposizione della citata Legge, art. 57. comma 3, la quale stabilisce che i criteri di ragguaglio tra pena detentiva e sanzione sostitutiva si applicano "anche nei casi in cui è concessa la sospensione condizionale della pena", emerge la volontà del legislatore di lasciare immutati i criteri di concessione (o di diniego) della sospensione condizionale, anche in caso di applicazione di sanzioni sostitutive, criteri che rimangono quelli fissati nell’art. 164 c.p. Sicchè, a prescindere dalla motivazione con cui la Corte territoriale ha confermato il beneficio, deve ritenersi che comunque vi sia stata una valutazione favorevole al mantenimento della sospensione condizionale della pena, che ha preso in esame anche la volontà dell’interessato.

4. – Riguardo al ricorso presentato personalmente dall’imputato, si osserva quanto segue.

Il primi due motivi sono inammissibili perchè censurano la valutazione in fatto con cui il giudice ha determinato la pena;

peraltro, nella quantificazione della pena la Corte territoriale ha tenuto necessariamente conto dell’assoluzione per il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 1, riducendo la sanzione complessiva e, inoltre, procedendo alla sostituzione della pena detentiva ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 53.

Con l’altro motivo il ricorrente contesta l’affermazione sulle "floride condizioni economiche dell’imputato" con cui la sentenza giustifica la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 53, ma si tratta di censura che attiene a fatti non rilevabili in sede di legittimità e che attengono al merito.

5. – In conclusione, all’infondatezza dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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