T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 24-10-2011, n. 8171

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

RILEVATO che il presente giudizio può essere definito nel merito ai sensi degli articoli 60 e 74 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, previo accertamento della completezza del contraddittorio e dell’istruttoria;

ATTESO che il ricorso appare manifestamente infondato;

CONSIDERATO che con esso il ricorrente impugna il provvedimento in epigrafe indicato con il quale l’Ambasciata d’Italia in Kiev ha respinto la richiesta di visto per lavoro autonomo inoltrata dall’interessato in quanto "l’attività da intraprendere non può essere considerata ai sensi di quanto disposto dal DPCM 20 aprile 2010 di "interesse per l’economia nazionale"";

RILEVATO che avverso tale diniego l’interessato propone le seguenti doglianze:

1. violazione e falsa applicazione degli articoli 26 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, 39, comma 4 del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394; eccesso di potere per errore dei presupposti, difetto di motivazione e di istruttoria; illogicità manifesta: in sostanza lamenta che la normazione citata nella rubrica del motivo consente al cittadino straniero che ha documentato la sussistenza di tutte le condizioni all’uopo previste dalla legge (disponibilità di adeguate risorse finanziarie e di idonea sistemazione abitativa; conseguimento di tutte le autorizzazioni per l’esercizio della programmata attività commerciale), come avviene nel suo caso, di ottenere il visto di ingresso denegato; inoltre nel suo caso il diniego è tanto più illegittimo se si considera che egli si è procurato sia la dichiarazione della Camera di Commercio di Cuneo la dichiarazione della insussistenza di motivi ostativi all’esercizio dell’attività di import export di prodotti non alimentari, sia il nulla osta della Questura di Cuneo, secondo quanto stabilito dall’art. 39 del d.P.R. n. 394/1999; sostiene pure che il DPCM del 2010 inserisce un criterio quello dell’imprenditore che "svolge attività di interesse per l’economia italiana" che non è previsto dalla legislazione primaria; il diniego è anche contrario all’accordo tra la Repubblica italiana e quella Ucraina sulla reciproca protezione degli investimenti sottoscritto a Roma in data 2 maggio 1995;

2. violazione falsa applicazione dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241;

AVUTO riguardo alla compiuta relazione prodotta dall’Amministrazione a seguito della disposta istruttoria;

RILEVATO che la censura principalmente proposta non appare condivisibile, dal momento che l’Ambasciata d’Italia in Kiev nella relazione ha, in particolare, specificato che, poiché l’ingresso sul territorio nazionale per motivi di lavoro autonomo avviene per quote stabilite con apposito DPCM e nel caso è quello del 20 aprile 2010 il quale lo consente nei limiti del contingente solo ad "imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia italiana", la valutazione dell’interesse per l’economia italiana è affidata alla Rappresentanza diplomatico consolare che nel caso in specie relativo ad una non meglio specificata attività di import export,(nell’intervista il ricorrente ha dichiarato di volersi dedicare "all’acquisto in Italia di abbigliamento all’ingrosso da rivendere poi in Ucraina") non l’ha ritenuto sussistente;

CONSIDERATO che nel prosieguo la relazione dell’amministrazione pone pure in risalto che:

1. "nell’anno precedente la richiesta di visto (2009) lo straniero ha prodotto con la propria attività di "vendita all’ingrosso di abbigliamento in Ucraina" un "volume di incassi" di 139.130 grivne pari a poco più di Euro 12.000;

2. che il ricorrente non risulta avere mai ottenuto né richiesto in precedenza visti per l’Italia; dall’esame del passaporto egli è risultato titolare di 2 visti polacchi ed uno della Repubblica Ceca, tutti utilizzati in maniera non conforme a quanto previsto dagli Accordi di Schengen;

3. nessuna documentazione commerciale, a riprova dell’inesistenza di qualunque vincolo o legame con imprese italiane è stata presentata"

con la conseguenza che non appare condivisibile neppure il dedotto eccesso di potere per difetto di istruttoria;

CONSIDERATO che anche l’aspetto della censura con il quale parte ricorrente fa valere che nessuna norma primaria prevede il criterio restrittivo dell’"imprenditore che svolge attività di interesse per l’economia italiana" non ha fondamento, dovendosi rilevare che il decreto flussi annuale, che per quanto ne interessa è quello adottato con DPCM del 20 aprile 2010, fa esplicito riferimento "all’art. 3 del testo unico sull’immigrazione, come modificato dall’art. 10ter del decretolegge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2010, n. 25, il quale dispone che la determinazione annuale delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato avviene con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base dei criteri generali per la definizione dei flussi d’ingresso individuati nel documento programmatico triennale," e che "in caso di mancata pubblicazione del decreto di programmazione annuale, il Presidente del Consiglio dei Ministri può provvedere in via transitoria, con proprio decreto, entro il 30 novembre, nel limite delle quote stabilite nell’ultimo decreto emanato", come è avvenuto nel caso in esame, in cui pertanto la copertura normativa del DPCM in esame appare assicurata dal citato articolo 3 del Testo Unico dell’Immigrazione;

RILEVATO che anche la censura di violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 non appare condivisibile nella considerazione che nei provvedimenti a carattere vincolato, come sono riconosciuti i visti di ingresso, la mancanza del preavviso di provvedimento negativo produce le stesse conseguenza della mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, e cioè che alla stregua dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241 il giudice non può più adottare l’annullamento del provvedimento vincolato per vizi formali, laddove l’Amministrazione dimostri in giudizio che il suo contenuto dispositivo avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, mentre, per le superiori considerazioni tale prova appare abbondantemente raggiunta, con la ridetta relazione dell’Ambasciata d’Italia in Kiev;

CONSIDERATO che, pertanto il provvedimento va trovato scevro dalle dedotte censure e che, di conseguenza il ricorso va pertanto respinto;

CONSIDERATO che le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente O.A. al pagamento di Euro 750,00 per spese di giudizio ed onorari a favore del Ministero degli Affari Esteri.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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