Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-06-2011) 29-09-2011, n. 35517

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza emessa il 17 giugno 2008 dal Tribunale di Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte, ha ritenuto assorbito il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 1 nell’imputazione di cui all’art. 570 c.p., comma 2, confermando la condanna dell’appellante, B.G., alla pena di sei mesi di reclusione ed Euro 300,00 di multa e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, riducendo la provvisionale concessa ad Euro 7.500,00.

I giudici di secondo grado hanno ritenuto provato il reato contestato all’imputato, il quale avrebbe violato gli obblighi di assistenza familiare, omettendo di versare, per il mantenimento dei tre figli minori, la somma di Euro 600,00 mensili stabilita dal giudice civile nel procedimento di separazione dal coniuge, G.M., e corrispondendo nel corso di tre anni solo Euro 2.500,00. 2. – Nell’interesse dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione il suo difensore di fiducia che, con il primo motivo, deduce la nullità della sentenza di primo grado e, conseguentemente di quella d’appello, per violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., avendo i giudici pronunciato la condanna di B.G. in relazione ad una imputazione modificata dal pubblico ministero, quanto alla data di consumazione finale, senza che tale nuova contestazione sia mai stata notificata all’imputato contumace, privo peraltro del difensore di fiducia, che aveva rinunciato al mandato.

Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 570 c.p., comma 2, avendo la Corte territoriale collegato la sussistenza del reato al semplice inadempimento dell’obbligo di versare la somma stabilita dal giudice civile, prescindendo dall’esistenza dello stato di bisogno e senza considerare la prestazione parziale eseguita dall’imputato.

Infine, con l’ultimo motivo il ricorrente lamenta la mancata applicazione dell’art. 81 c.p., avendo i giudici erroneamente ravvisato nel mancato versamento per i tre figli minori un’unica condotta.

Motivi della decisione

3. – Il primo motivo è infondato.

Il ricorrente lamenta che nel corso del giudizio di primo grado il pubblico ministero abbia proceduto alla modifica dell’imputazione, indicando una diversa data di consumazione del reato permanente, nonostante la contumacia dell’imputato: assume cioè che la modifica della contestazione andava trattata come fosse un fatto nuovo, mentre sarebbe stata, di fatto, qualificata e sottoposta alla disciplina relativa al fatto diverso ovvero a quella del reato connesso, ai sensi degli artt. 516 e 517 c.p.p..

Invero, il ricorso trascura del tutto la questione circa la natura "aperta o chiusa" dell’imputazione. Inizialmente, all’imputato il reato è stato contestato "dal giugno 2003 sino alla data odierna", successivamente il pubblico ministero ha specificato il periodo di consumazione del reato permanente con l’indicazione "dal giugno 2003 almeno fino alla data del 14.12.2006": in questo modo si è passati da una imputazione aperta ad una chiusa, ossia da una contestazione che avrebbe potuto comprendere un periodo di permanenza del reato fino alla data della sentenza di primo grado, ad una contestazione chiusa e, nella specie, più limitata nel tempo, in cui la data di consumazione è stata individuata con riferimento all’udienza del 14.12.2006, in cui è stata acquisita la testimonianza di G. M., coniuge dell’imputato, che ha dichiarato che sino a quel giorno non aveva mai ricevuto dal marito l’assegno stabilito dal giudice civile. In altri termini, con la modifica dell’imputazione l’ambito temporale della contestazione è stato ridotto, nel senso che il periodo giugno 2003 – 14 dicembre 2006 è da ritenere ricompreso nell’originaria contestazione aperta. Infatti, con l’indicazione "fino alla data odierna" il giudice può legittimamente prendere in esame fatti avvenuti anche successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio e allo stesso rinvio a giudizio, senza la necessità di contestazioni suppletive perchè l’imputato è comunque chiamato a difendersi anche per la condotta perdurante (così, Sez. 6, 27 settembre 2007, n. 37539, Carcione).

Ne consegue che nel caso in esame la specificazione dell’imputazione operata dal pubblico ministero non può essere considerato come "fatto nuovo", così come assume erroneamente il ricorrente, dovendosi riconoscere che si è trattato di una modifica dell’imputazione ai sensi dell’art. 516 c.p.p. Ed infatti coerentemente il giudice del primo grado ha applicato la disciplina di cui all’art. 520 c.p.p., dal momento che l’imputato era contumace.

2. – Anche il secondo motivo è infondato.

La sentenza ha ritenuto la sussistenza del reato in considerazione del fatto che l’assegno era stato stabilito in favore dei figli minori, il cui stato di bisogno discende dalla impossibilità di questi di avere un proprio reddito; ne discende, secondo una giurisprudenza assolutamente consolidata, che ai fini della configurabilità del delitto cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza ai figli minori ricorre anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro e con l’intervento di altri congiunti, atteso che tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo (Sez. 6, 4 febbraio 2011, n. 8912, K.; Sez. 6, 3 febbraio 2010, n. 14906, B.; Sez. 6, 13 novembre 2008, n. 2736, L.).

Erra il ricorrente nel ritenere che il rigore di questa giurisprudenza porta automaticamente a punire il semplice mancato pagamento dell’importo stabilito nell’assegno di mantenimento, sanzionando penalmente un inadempimento civilistico, in quanto in presenza dell’impossibilità ad adempiere da parte dell’obbligato il reato viene meno. In questo caso, però, all’imputato incombe un onere di allegazione di tale situazione di assoluta impossibilità, onere che nel caso di specie non è stato adempiuto.

4. – Quanto al terzo motivo si ritiene che sia inammissibile, difettando un concreto interesse da parte del ricorrente, dal momento che lamenta la mancata applicazione della continuazione, che però avrebbe comportato un trattamento sanzionatorio più gravoso, comportando un aumento della pena.

5. – In conclusione, l’infondatezza dei motivi proposti comporta il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; inoltre, B.G. deve essere condannato anche alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado del giudizio, che si liquidano in Euro 2.000,00 oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in Euro 2.000,00 oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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