Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-02-2012, n. 2359 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- T.G., premesso che i confinanti G. M. e M.L.M. avevano costruito in violazione della servitù costituta sui fondi delle parti dalle rispettive danti causa e, comunque, a distanza inferiore a quella di legge, li conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Novara per sentirli condannare alla demolizione di tali opere.

Si costituivano i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e, in subordine, che venisse emessa condanna al risarcimento per equivalente.

Con sentenza del 28 gennaio 2003 il Tribunale ritenuta la violazione del diritto di servitù inaedificandi, accoglieva la domanda risarcitoria, respingendo quella di ripristino.

Con sentenza dep. il 26 luglio 2005 la Corte di appello di Torino, in riforma della decisione impugnata dall’attrice e con appello incidentale dalla convenuta, ordinava la demolizione della porzione del fabbricato indicata nella planimetria redatta dal consulente con il colore giallo, essendo stata realizzata in violazione di quanto pattuito con il rogito costitutivo della servitù; escludeva, invece, l’illegittimità delle altre costruzioni. Secondo i Giudici il manufatto de quo non rispettava la distanza di metri otto dal confine e, superando l’altezza di metri 2,50, era illegittimo secondo quanto previsto dall’atto divisionale opponibile ai convenuti, perchè regolarmente trascritto: pertanto, la costruzione andava demolita integralmente e non soltanto per la sola parte eccedente l’altezza di metri 2,50. 2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione M.G. e M.L.M. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso l’intimata, depositando memoria illustrativa e l’istanza di trattazione prevista dalla L. n. 183 del 2011, art. 26 come modificato dal D.L. n. 212 del 2011, art. 14, comma 1.

Motivi della decisione

1.1.- Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., censura la decisione gravata che senza alcuna motivazione aveva accolto il secondo motivo di gravame disattendendo la interpretazione che il Tribunale aveva dato della disposizione di cui al rogito Viola dell’11-10-1946. La sentenza non avrebbe dovuto limitarsi al senso letterale delle parole ma ricercare la comune intenzione delle parti: da uno approfondito esame dell’atto emergeva che lo scopo delle parti era stato quello di consentire nella fascia di terreno ivi indicata la realizzazione di costruzioni fino a 2,50 metri di altezza; soltanto quelle eccedenti tale altezza potevano essere considerate illegittime ed esclusivamente le parti superiori a tale limite andavano demolite.

1.2.- Il motivo è infondato.

Pur se abbiano fatto riferimento al vizio di motivazione, i ricorrenti sostanzialmente censurano l’interpretazione della clausola contrattuale con la quale era stata prevista la servitù inaedificandi, peraltro riconoscendo che l’interpretazione data dai Giudici di appello era conforme al senso letterale delle espressioni.

In effetti, con il motivo si deduce che la lettera del testo non sarebbe corrispondente a quella che sarebbe stata la effettiva intenzione delle parti, ma tale doglianza di risolve in una mera asserzione, priva di alcun riscontro, posto che non sono indicate le clausole o le espressioni dai quali si sarebbe dovuti pervenire a una ricostruzione della volontà pattizia nel senso prospettato dai ricorrenti e che sarebbe difforme da quello risultante dal tenore letterale delle parole; tanto meno sono precisate le regole ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate.

Orbene, l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare – in relazione al contenuto del testo contrattuale – l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, che altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione: la deduzione deve essere, altresì, accompagnata dalla trascrizione integrale del testo contrattuale in modo da consentire alla Corte di Cassazione, che non ha diretto accesso agli atti, di verificare la sussistenza della denunciata violazione decisività.

Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati: occorre ricordare che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra. (Cass. 7500/2007; 24539/2009).

2.1.- Il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e segg., artt. 183 e 345 cod. proc. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza laddove, in riforma della decisione di primo grado, aveva ordinato la demolizione e non il risarcimento per equivalente secondo quanto previsto dalla norma citata.

2.2.- Il motivo va disatteso.

L’art. 2058 c.c., comma 2, che prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anzichè la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest’ultima, non trova applicazione nelle azioni intese a far valere un diritto reale la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come quella diretta ad ottenere la riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso (Cass. 11744/2003; 2398/2009).

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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