Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-02-2012, n. 2337 Ammissione al passivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1.- Con decreto depositato il 12.4.2010 e comunicato dalla cancelleria a mezzo fax il 14.4.2010 il Tribunale di Verona ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento di Z. E. quale socio illimitatamente responsabile della s.a.s.

Supermercati ZAGO di Zago Enrico & C, proposta da MPS Gestione Crediti Banca s.p.a. (quale mandataria di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., banca incorporante della Banca Antonveneta s.p.a.), la quale lamentava l’esclusione del privilegio ipotecario del credito di Euro 38.648,70, ammesso in via chirografaria su eccezione di un creditore il quale aveva evidenziato che l’ipoteca era stata iscritta nei sei mesi dall’ammissione della società fallita al concordato preventivo.

Il credito era portato da decreto ingiuntivo emesso nei confronti di Z.E., fideiussore della società Supermercati Zago s.a.s., ammessa al concordato preventivo il 29.5.2008 e successivamente dichiarata fallita (il 12.10.2008), e sui beni del socio era stata iscritta ipoteca giudiziale il 30.1.2008.

Contro il decreto del tribunale la banca opponente, il 28.5.2010, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso la curatela intimata, la quale ha eccepito l’inammissibilità per tardività del ricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria nei termini di cui all’art. 378 c.p.c..

2.1.- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 147 e 67, in riferimento alla L. Faqll., artt. 5 e 160, per avere il Tribunale di Verona, in applicazione del principio della consecuzione delle procedure, fatto retroagire gli effetti del fallimento al momento dell’ammissione della società fallita alla procedura di concordato preventivo, con conseguente revoca dell’ipoteca iscritta oltre i sei mesi antecedenti il fallimento, ma nei sei mesi antecedenti l’ammissione alla predetta procedura.

Deduce che l’entrata in vigore della riforma ha completamente mutato i presupposti della procedura di concordato: lo stato di crisi in luogo dell’insolvenza. Talchè non sarebbe più ammessa la retrodatazione degli effetti del fallimento.

La consecuzione delle procedure sarebbe altresì esclusa in forza della norma di cui alla L. Fall., art. 67, n. 3, lett. e), la quale dispone che non sono revocabili gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo o di un accordo L. Fall., ex art. 182 bis.

Se fosse applicabile la consecuzione tale norma sarebbe inutile perchè si tratterebbe di atti posti in essere "già in stato di insolvenza" (se questa retroagisse) e sarebbe applicabile la L. Fall., art. 44. 2.2.- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. fall., artt. 147 e 67, e successive modificazioni, in relazione alla L. Fall., art. 5 e art. 160, per avere il Tribunale di Verona revocato l’ipoteca iscritta dal ricorrente sui beni di Z.E., senza aver accertato lo stato di insolvenza del debitore, dichiarato fallito solo ed esclusivamente quale socio illimitatamente responsabile della Supermercati Zago F.lli sas.

Solo dalla dichiarazione di fallimento del socio potevano decorrere i termini di cui alla L. Fall., art. 67. 2.3.- Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 96 e 67, anche in relazione all’art. 99 c.p.c. e all’art. 111 Cost. "per avere il giudice delegato revocato in via breve l’ipoteca iscritta dalla ricorrente sui beni della società fallita senza averne i poteri e in palese violazione del principio del contraddittorio".

Deduce che l’eccezione non è stata sollevata dal curatore fallimentare bensì da un "terzo creditore", che l’azione revocatoria è costitutiva e la parte che aveva il potere di promuoverla non l’ha promossa.

3.- Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso sollevata dalla curatela.

L’eccezione è infondata.

Infatti, la Cancelleria del Tribunale – giusta risulta dall’esame diretto degli atti, consentito dalla natura processuale dell’eccezione – ha comunicato, a mezzo fax, il decreto alle parti per estratto e non mediante invio di copia integrale del provvedimento.

Per contro, così come ha già rilevato la dottrina, poichè dal momento della comunicazione decorre il termine di trenta giorni per proporre il ricorso per cassazione, il provvedimento del tribunale, a garanzia del diritto di difesa delle parti, deve essere comunicato in forma integrale e non solamente per estratto.

3.1.- Il primo motivo è infondato perchè questa Corte, con pronuncia alla quale il Collegio intende dare continuità, ha già avuto modo di precisare che "nel caso in cui all’ammissione da parte del tribunale della domanda di concordato preventivo, proposta ai sensi della L. Fall., art. 160 – ratione temporis vigente, secondo il testo successivo alla L. n. 80 del 2005 e al D.Lgs. n. 5 del 2006, ed anteriore al D.Lgs. n. 169 del 2007 -, segua la dichiarazione di fallimento L. fall., ex art. 162, comma 2, per effetto della mancata approvazione dei creditori L. Fall., ex artt. 177-178, trova applicazione il principio della consecutività delle due procedure concorsuali, costituendo la sentenza di fallimento l’atto terminale del procedimento, non assumendo rilievo l’abbandono – in sede normativa – dell’automatismo di tale dichiarazione, per la quale ora sono necessari l’iniziativa di un creditore o del P.M., il positivo accertamento dell’insolvenza e il comune elemento oggettivo. Pertanto quando si verifichi a posteriori (nella specie, con sentenza passata in giudicato) che lo stato di crisi in base al quale era stata chiesta l’ammissione al concordato in realtà coincideva con lo stato di insolvenza, l’efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento va retrodatata alla data della presentazione della predetta domanda" (Sez. 1, Sentenza n. 18437 del 06/08/2010).

In particolare, ha precisato la pronuncia richiamata che "le due procedure debbono essere equiparate, avendo a base la medesima situazione sostanziale, non potendosi dare decisivo rilievo agli aspetti procedurali della iniziativa di un creditore o del pubblico ministero ed al fatto che lo stato di insolvenza deve essere effettivamente accertato, quando la dichiarazione di fallimento si palesa come l’unico sbocco necessario della crisi dell’impresa. La L. Fall., art. 111, comma 2 (introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006) dispone che sono considerati debiti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge.

La norma, come si evince dal dato testuale, considera prededucibili anche debiti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo e si riferisce chiaramente alla ipotesi in cui alla procedura di concordato preventivo sia seguito il fallimento dell’imprenditore.

Con tale disposizione, come giustamente affermato da condivisibile dottrina, si è preso atto legislativamente della continuità delle procedure consecutive, il che impone, essendo tali procedure volte ad affrontare la medesima crisi – ritenuta in un primo momento suscettibile di regolazione attraverso un accordo con i creditori e successivamente risultata tale da condurre alla liquidazione fallimentare di valutare in maniera unitaria determinati aspetti della disciplina fallimentare.

Ne deriva che, qualora, a seguito di una verifica a posteriori venga accertato, con la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, che lo stato di crisi in base al quale ha chiesto la ammissione al concordato preventivo era in realtà uno stato di insolvenza, la efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta a seguito della declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo, deve essere retrodatata alla data di presentazione di tale domanda, atteso che la ritenuta definitività anche della insolvenza che è alla base della procedura minore, come comprovata, ex post, dalla sopravvenienza del fallimento, e, quindi, l’identità del presupposto, porta ad escludere la possibilità di ammettere, in tal caso, l’autonomia delle due procedure.

Alcun rilievo, infine, può essere attribuito alla norma richiamata dalla ricorrente a proposito degli atti e pagamenti non revocabili ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. e), perchè essa – all’evidenza – si riferisce ad atti e pagamenti posti in essere in "esecuzione" di un concordato (o accordo di ristrutturazione), è diretta ad agevolare le soluzioni concordate dell’insolvenza e presuppone la previsione dell’atto nella proposta (nel piano), come tale, implicitamente autorizzato con l’ammissione laddove gli atti non autorizzati neppure L. Fall., ex art. 167, sono inefficaci (Sez. 1, n. 13759/2007) e possono comportare la revoca dell’ammissione alla procedura ( L. Fall., art. 173, comma 3). Non appare congruente, dunque, il richiamo alla L. Fall., art. 44. 3.2.- Il secondo motivo è infondato alla luce del principio giurisprudenziale per il quale nel caso in cui dopo l’ammissione di una società di persone all’amministrazione controllata (ora abrogata) o al concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento della medesima società e dei soci illimitatamente responsabili ai sensi della L. Fall., art. 147, anche per l’esercizio dell’azione revocatoria dell’atto personale del socio illimitatamente responsabile il termine di cui alla L. Fall., art. 61, decorre dal decreto di ammissione della società alla prima procedura concorsuale e non dalla data della sentenza di fallimento del socio, atteso che il carattere meramente consequenziale e dipendente del fallimento del socio rispetto a quello della società comporta che ai fini della dichiarazione di fallimento abbia rilevanza unicamente lo stato d’insolvenza della società, indipendentemente dalla sussistenza o meno dello stato d’insolvenza personale del socio (Sez. 1, Sentenza n. 7157 del 01/08/1994; definito ius receptum da Sez. un., n. 8257 del 2002. Cfr. Cass. nn. 2983, 3614/79; 5025/91; 4240, 7157/94, 189/95; 4347/96).

Tale principio è indubbiamente applicabile anche alla luce della disciplina risultante dalla riforma della legge fallimentare. Nè appare calzante il richiamo – contenuto nella memoria difensiva – alla recente pronuncia di questa Sezione (Sez. 1, Sentenza n. 7273/2010) emessa in fattispecie affatto diversa da quella concreta, che in quella vicenda trattavasi di creditore personale del socio e, inoltre, il socio stesso era stato erroneamente ammesso – unitamente alla società – alla procedura di concordato preventivo.

Per converso, nella concreta fattispecie la banca ricorrente ha chiesto l’ammissione al passivo del fallimento del socio di un credito derivante dalla fideiussione prestata dal socio stesso in favore della società.

Può essere ribadito, dunque, che "vi è nella fattispecie della consecuzione di procedure quel referente normativo -… insussistente, invece, per la sentenza in estensione -che consente, in via eccezionale, la retrodatazione dell’efficacia della sentenza di fallimento. Dovendosi, per di più, escludere nella prima ipotesi – a differenza che nella seconda – che sia arrecato alcun vulnus all’affidamento dei terzi. Ai quali sono invero noti sin dall’inizio – e, cioè, dalla data stessa di apertura della prima procedura – i soggetti potenzialmente soggetti al fallimento, in esito a quella" (cfr. in motivazione, Sez. un., n. 8257 del 2002).

3.3,- Anche il terzo motivo è infondato perchè da tempo questa Corte ha ritenuto che al creditore che abbia proposto impugnazione allo stato passivo è consentito esercitare tutte le azioni volte ad escludere o postergare i crediti ammessi, ivi compresa l’azione revocatoria, dovendosi egli considerare portatore non solo del proprio interesse, ma anche di quello degli altri creditori (Sez. 1, n. 8827/1998; Sez. 1, n. 1392/1979).

Se, dunque, il creditore, proponendo impugnazione, può eccepire la revocabilità del titolo di prelazione del credito ammesso a maggior ragione può contestarne l’ammissione dinanzi al giudice delegato il quale non può non tenere conto dell’eccezione stessa e deve decidere su di essa cosi come disposto dalla L. Fall., art. 95, comma 3, secondo cui il giudice delegato decide sulle domande tenuto conto delle eccezioni del curatore, di quelle rilevabili d’ufficio e di quelle sollevate dagli altri interessati.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

La novità delle questioni sollevate con il ricorso – in relazione alle nuove norme della legge fallimentare giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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