Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-02-2012, n. 2334 Legittimazione attiva e passiva

entenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società Funivie Tofana e Marmolada s.p.a. (indicata in prosieguo come Tofana) ed il Consorzio Esercenti Impianti a Fune Cortina, San Vito di Cadore ed Auronzo-Misurina (in prosieguo Consorzio Cortina), del quale la Tofana era un’aderente, con atto notificato il 5 ottobre 2004 citarono in giudizio dinanzi al Tribunale di Bolzano il Federconsorzio Dolomiti Supresky (in prosieguo Federconsorzio Dolomiti). Premesso che il Consorzio Cortina a sua volta aderisce al Federconsorzio Dolomiti, al quale i consorzi del comprensorio hanno delegato il compito di definire la politica tariffaria degli impianti sciistici dell’intera area dolomitica e di distribuirne i proventi, gli attori chiesero al tribunale di dichiarare nulle oppure giuridicamente inesistenti, o altrimenti di annullare, due successive deliberazioni adottate dall’assemblea del predetto Federconsorzio Dolomiti: la prima, datata 20 luglio 2004, perchè il relativo verbale aveva dato atto dell’avvenuta approvazione di un prezzo per le corse delle funivie sul quale, viceversa, l’assemblea aveva deciso di sospendere ogni deliberazione in attesa di un parere tecnico, e la seconda, datata 16 settembre 2004, perchè con essa era stato approvato il mendace verbale dell’assemblea precedente perpetrandosi un eccesso di potere in danno della minoranza.

In corso di causa il Consorzio Cortina manifestò la volontà di rinunciare agli atti del giudizio ed il tribunale dichiarò che il medesimo giudizio era estinto, quanto al rapporto tra l’attore rinunciante ed il convenuto Federconsorzio Dolomiti. Con riguardo invece alla Tofana, che non aveva aderito alla rinuncia, fu dichiarato il difetto di legittimazione ad impugnare le deliberazioni assembleari di un organismo – il menzionato Federconsorzio Dolomiti – di cui la stessa Tofana non era direttamente parte.

Chiamata a pronunciarsi a seguito di gravame, la Corte d’appello di Trento (sezione distaccata di Bolzano), con sentenza depositata il 17 luglio 2009, confermò per intero la decisione di primo grado ribadendo che solo il Consorzio Cortina, e non anche la consorziata società Tofana, era partecipe del Federconsorzio Dolomiti, onde, in una causa promossa per impugnare deliberazioni assembleari del predetto Federconsorzio, la posizione della Tofana risultava assimilabile a quella di un interveniente adesivo, come tale non legittimato nè alla prosecuzione del giudizio al quale la parte adiuvata aveva rinunciato nè a proporre da sola appello avverso la sentenza che quel giudizio aveva definito in primo grado. Aggiunse poi la corte che neppure appariva ravvisabile nella specie la violazione della normativa antimonopolistica, paventata dalla difesa della società appellante, avendo questa liberamente deciso di aderire al Consorzio Cortina, che non è un consorzio obbligatorio.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto congiuntamente ricorso, affidato a quattro motivi, la Marmolada s.p.a. (nuova denominazione della Funivie Tofana e Marmolada s.p.a.) e la Tofana s.p.a., risultante dalla scissione parziale cui frattanto la prima società si è sottoposta.

Il Consorzio Cortina ed il Federconsorzio Dolomiti si sono difesi con separati controricorsi.

Le ricorrenti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. E’ stata eccepita l’inammissibilità del ricorso per tardività della notificazione.

L’eccezione è priva di fondamento.

La sentenza d’appello è stata ritualmente notificata alla parte soccombente in data 14 gennaio 2010. Il termine per impugnarla in cassazione scadeva, dunque, il 15 marzo dello stesso anno, ed in quella data il ricorso risulta essere stato spedito per la notifica in piego raccomandato dal difensore della società ricorrente, a norma della L. n. 53 del 1994.

La circostanza che la ricezione dell’atto sia avvenuta solo tre giorni dopo non determina la tardività della notifica, sotto il profilo della tempestività dell’impugnazione, alla luce di quanto dispone l’art. 149 c.p.c., u.c. (introdotto dalla L. n. 69 del 2009, ed applicabile ratione temporis al presente ricorso). E’ vero che tale norma si riferisce alla notifica effettuata a mezzo del servizio postale dall’ufficiale giudiziario, mentre nel caso in esame vi ha provveduto direttamente il difensore della parte, a ciò abilitato dalla citata L. n. 53 del 1994, ma sussistono indubbiamente tutte le condizioni per un’interpretazione estensiva che valga a ricondurre anche questa particolare fattispecie nell’alveo della disposizione sopra menzionata. La regola secondo la quale, una volta che il plico sia pervenuto al destinatario, la notificazione è efficace per il notificante già nel momento in cui l’atto è consegnato all’ufficiale giudiziario non può non ritenersi applicabile anche alla notificazione eseguita direttamente dal difensore della parte a mezzo del servizio postale, ai sensi della citata L. n. 53 del 1994, con l’unica differenza che alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario va in tal caso sostituita la data di spedizione del piego raccomandato (si vedano già, in tal senso, Cass. 28 febbraio 2011, n. 4919; Cass. 30 luglio 2009, n. 17748; e, con riferimento al processo amministrativo, Cons. Stato 13 aprile 2010, n. 2055). Una diversa lettura, che ponesse a carico del notificante le conseguenze del ritardo nella consegna dell’atto imputabile all’attività di un soggetto terzo – nella specie l’ufficiale postale incaricato di far pervenire l’atto al destinatario – si porrebbe inevitabilmente in contrasto con i principi enunciati dalla Corte costituzionale già nella sentenza n. 477 del 2002. 2. Il primo motivo del ricorso denuncia la violazione degli artt. 1421 e 2606 c.c.. La doglianza si basa sul rilievo che la legittimazione ad impugnare le delibere assembleari di un consorzio con attività esterna è circoscritta ai consorziati (assenti o dissenzienti) unicamente qualora si tratti di delibere annullabili a norma del citato art. 2606. Quando, invece, si sia in presenza di una delibera nulla o inesistente, o quando si voglia far dichiarare l’inefficacia di una delibera che abbia indebitamente disposto di diritti spettanti unicamente ai consorziati, l’azione volta a far accertare tali situazioni compete a chiunque vi abbia interesse, secondo la regola generale vigente per gli atti negoziali. Da parte ricorrente si assume perciò che a torto tale legittimazione è stata negata dalla corte d’appello alla società Tofana sol perchè essa non era direttamente partecipe del Federconsorzio Dolomiti.

3. Il secondo motivo di ricorso, facendo riferimento agli artt. 105 e 306 c.p.c., contesta che la posizione della Tofana nella presente causa sia qualificabile come quella di un interveniente adesivo dipendente e che, di conseguenza, le si possa negare il diritto di far proseguire il giudizio, pur dopo la rinuncia del litisconsorte Consorzio Cortina, e d’impugnare autonomamente dinanzi alla corte d’appello la sentenza di primo grado. Tanto più che, comunque, a parere di parte ricorrente, il potere d’impugnazione andrebbe riconosciuto anche all’interveniente adesivo dipendente.

4. Ad analoghe conclusioni tende anche il terzo motivo di ricorso, che fa leva sugli 1705, 1717 e 1726 c.c., per sostenere che il Federconsorzio Dolomiti opera come submandatario del Consorzio Cortina, a propria volta mandatario dei suoi consorziati; i quali pertanto – e tra essi la Tofana – hanno titolo per esercitare anche direttamente i diritti scaturenti dall’esecuzione del mandato, ivi compreso quello d’impugnare i deliberati del Federconsorzio Dolomiti.

5. Da ultimo, nel denunciare la violazione della L. n. 287 del 1990, art. 2, le ricorrenti insistono nella tesi secondo cui la deliberazione consortile da loro contestata si porrebbe in contrasto con le regole inderogabilmente stabilite dalla normativa antimonopolistica, ed osservano come sia poco pertinente l’argomento con il quale la corte d’appello, facendo unicamente leva sul carattere volontario dell’adesione al consorzio, ha invece disatteso quella tesi.

6. Benchè alcune delle riferite censure pongano in rilievo passaggi giuridicamente discutibili dell’impugnata sentenza, la cui motivazione in diritto dovrà quindi essere almeno in parte corretta, l’esame complessivo del ricorso non conduce al suo accoglimento.

6.1. Giova premettere che il regime delle deliberazioni consortili è disciplinato solo in termini assai generali dall’art. 2606 c.c., il quale si limita a prevedere che, salvo diversa disposizione del contratto, le decisioni riguardanti l’attuazione dell’oggetto del consorzio debbono essere prese a maggioranza dei consorziati (comma 1) ed a stabilire il termine entro il quale tali deliberazioni, se non conformi a quanto disposto dal medesimo articolo o dal contratto, possono essere impugnate davanti all’autorità giudiziaria (comma 2).

E’ peraltro pacifico che la legittimazione a proporre l’impugnazione, nei casi suddetti, spetta solo ai consorziati (assenti o dissenzienti), come si deduce anche dall’art. 223 disp. att. c.c., comma 2.

L’eventualità che tale scarna disciplina, evidentemente suscettibile di essere maggiormente specificata dal contratto consortile, possa essere integrata mediante applicazione analogica delle disposizioni dettate dal codice in tema di società – in particolare quelle riguardanti le società azionarie – non è da escludere in via assoluta, in considerazione dei connotati in qualche misura paradigmatici di quella disciplina rispetto ad ogni altro fenomeno lato sensu associativo, ma non può essere posta come regola generale. Vi osta tanto la differenza di scopo e di struttura che caratterizza i consorzi rispetto agli enti costituiti in forma societaria, quanto il fatto che la legge consente ai consorzi di assumere la veste di società (art. 2615 ter c.c.), così assoggettandosi alla relativa disciplina, il che lascia logicamente intendere che quella medesima disciplina non possa essere applicata quando, invece, la scelta della veste societaria non è stata compiuta.

La complessa ed articolata normativa che presiede all’impugnazione dei deliberati delle società di capitali e delle cooperative per azioni non può quindi essere automaticamente ed integralmente trasposta al settore dell’impugnazione dei deliberati consortili, ove il consorzio non sia costituito in forma di società. Nè, in contrario, vale invocare – come fa la difesa delle controricorrenti – una frase estrapolata dalla motivazione della sentenza emessa da questa corte il 28 dicembre 2004, n. 24052, la quale, deducendo (non già la nullità ma) l’annullabilità della delibera dalla mancata comunicazione ad uno dei partecipanti dell’avviso di convocazione dell’assemblea di un consorzio di urbanizzazione, si è in realtà limitata ad applicare una norma concernente le delibere delle assemblee condominiali; applicazione giustificata però dal fatto che, in quel caso, si trattava di un consorzio atipico di gestione di parti comuni di edifici poste al servizio di proprietà esclusive.

Dall’incidentale rilievo secondo cui quella norma, dettata nella materia condominiale, esprime un principio comune anche alla materia societaria non è lecito trarre la conseguenza che la disciplina prevista per le società azionarie dall’art. 2377 cod. civ., e segg., sia applicabile, tal quale ed in ogni sua singola disposizione, ai deliberati dei consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi costituiti (in forma non societaria) a norma dell’art. 2602 c.c., e segg..

Resta però che, come già accennato, l’art. 2606 c.c., comma 2, detta, per l’impugnazione dei deliberati consortili che non siano conformi al disposto del primo comma o alle previsioni contrattuali, un regime per alcuni versi simile a quello dell’annullabilità dei deliberati di società per azioni, e che, in particolare, la legittimazione all’impugnazione di quei deliberati – come pure già ricordato – è anche qui da ritenersi limitata ai soggetti che siano parte dell’organizzazione consortile, con esclusione degli estranei.

Nulla tuttavia è detto per le ipotesi di più grave patologia dell’atto, che ne determinino la radicale nullità o addirittura l’inesistenza giuridica. Ipotesi con riguardo alle quali occorre dunque far riferimento ai principi generali della materia negoziale, che consentono di far valere la nullità e l’inesistenza (quando questa sia giuridicamente configurabile) in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse. In questo senso si è d’altronde già espressa questa corte, sia pure in epoca non recente, affermando che l’azione diretta all’accertamento negativo dell’esistenza di una delibera dei consorziati non è soggetta alla disciplina dettata dagli artt. 2606 e 2607 c.c., la quale riguarda la diversa ipotesi dell’impugnazione di delibere esistenti, ancorchè viziate (Cass. 17 gennaio 1978, n. 197).

6.2. Muovendo da queste premesse di ordine generale (che la corte d’appello non sembra aver sempre tenuto adeguatamente presenti), appare chiaro che, per stabilire se o in quale misura la società Tofana fosse titolare di un’autonoma legittimazione a far valere dinanzi al giudice gli eventuali vizi delle deliberazioni consortili di cui si tratta, occorre anzitutto indagare sulla natura di quei vizi e sul tipo di patologia dell’atto da essi derivante. Indagine, questa, destinata necessariamente a riflettersi anche sulla contestata qualifica della Tofana quale interveniente adesivo dipendente, rispetto all’azione promossa dal Consorzio Cortina (la cui legittimazione ad impugnare le deliberazioni del Federconsorzio Dolomiti non è dubbia), perchè tale qualifica presuppone appunto che la Tofana non fosse essa stessa autonomamente legittimata a promuovere il giudizio. Non senza peraltro osservare sin d’ora – per sgombere così subito il terreno dal secondo motivo di ricorso – che non vi sono ragioni per discostarsi dal consolidato orientamento secondo il quale i poteri di chi spiega un intervento adesivo dipendente sono limitati all’espletamento di un’attività accessoria e subordinata a quella della parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni unicamente nell’ambito delle domande ed eccezioni proposte da detta parte, con la conseguenza che, se questa pone termine al rapporto processuale, l’interveniente non ha il potere di far proseguire il processo nè ha autonoma facoltà di proporre appello, salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti alla qualificazione dell’intervento (cfr., tra le tante, Cass. 10 marzo 2011, n. 5744;

Cass. 16 febbraio 2009, n. 3734; e Cass. 4 luglio 1994, n. 6309). Nè giova in contrario invocare il disposto del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 15, comma 2 (ora peraltro abrogato), che legittima espressamente all’impugnazione anche il terzo il quale abbia svolto un intervento adesivo dipendente, giacchè nulla consente di affermare che siffatta norma, a fronte di un consolidato diritto vivente di segno opposto, abbia valenza generale e sia perciò applicabile, al di fuori del procedimento cui essa inerisce, anche nei processi ordinari di cognizione disciplinati dal codice di procedura civile.

6.3. Prima di soffermarsi a verificare quale tipo di vizi delle delibere consortili la Tofana abbia fatto valere nella presente causa, è però opportuno occuparsi brevemente della doglianza contenuta nel terzo motivo di ricorso. Con essa, come s’è già accennato, in qualche modo aggirando il tema della legittimazione del non consorziato ad impugnare la delibera consortile, si fa leva sulle regole del mandato per sostenere che la medesima società Tofana, in quanto mandante del Consorzio Cortina, a propria volta mandante del Federconsorzio Dolomiti, troverebbe appunto in tali regole un adeguato titolo di legittimazione ad agire nei confronti del sub mandatario.

Siffatta costruzione giuridica non appare, però, adeguata allo scopo.

Benchè possa ammettersi che un fenomeno consortile come quello in esame realizzi talora finalità in parte coincidenti con quelle di un mandato, essendo il consorzio chiamato ad operare per conto e nell’interesse dei consorziati, e pur non potendo escludersi di conseguenza l’applicabilità in certe situazioni ed a certi fini di alcune regole o principi desumibili dalla disciplina generale del contratto di mandato, resta nondimeno indubbio che il consorzio è una figura caratterizzata da un rilievo organizzativo suo proprio, che si stenterebbe a ridurre entro i termini di un mero mandato collettivo impartito dai consorziati. La disciplina giuridica del consorzio, in particolar modo per quel che concerne l’organizzazione comune ed il funzionamento degli organi, ivi compresa l’assemblea, risponde perciò a regole specifiche, quali quelle dettate dal già citato art. 2606; e si è già sopra rilevato come ed entro quali limiti tali regole escludano la legittimazione dei consorziati e dei terzi a far valere in giudizio le svariate eventuali patologie delle delibere assunte dall’assemblea. Le norme del codice in tema di mandato, di submandato o di sostituzione del mandatario non paiono quindi idonee a fornire elementi utili alla soluzione del problema dibattuto in causa, perchè non valgono a superare l’ostacolo derivante dal fatto che all’organizzazione del Federconsorzio Dolomiti partecipa solo il Consorzio Cortina (ed esso solo aveva titolo per esprimere il voto nell’assemblea le cui deliberazioni sono state impugnate), mentre la società Tofana era sì aderente al Consorzio Cortina ma è rimasta nondimeno sempre estranea al Federconsorzio Dolomiti ed alle decisioni assunte dall’assemblea di quest’ultimo.

6.4. Tornando, allora, al punto cruciale della vertenza, va sottolineato che, come concordemente riportato sia dall’impugnata sentenza sia dal ricorso sia dai controricorsi, la Tofana (unitamente al Consorzio Cortina, che ha poi rinunciato) ha proposto in causa una domanda principale, volta a far dichiarare la nullità o l’inesistenza giuridica della deliberazione assunta il 22 luglio 2004 dall’assemblea generale del Federconsorzio Dolomiti, per l’asserita non corrispondenza al vero di quanto riportato dal relativo verbale, ed una domanda subordinata di annullamento per eccesso (o abuso) di potere da cui sarebbero affette vuoi la medesima delibera vuoi quella confermativa assunta dall’assemblea il 16 settembre 2004.

Non è mai indicato che, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, fosse stata anche dedotta l’eventuale nullità dell’una o dell’altra delle due citate delibere consortili per violazione di norme imperative riguardanti la disciplina della concorrenza.

L’impugnata sentenza dedica a questo tema un assai fugace cenno ed esclude la sussistenza della violazione "paventata dalla difesa dell’odierna appellante" per il solo motivo che l’adesione di quest’ultima al Consorzio Cortina è stata frutto di libera scelta non trattandosi di un consorzio obbligatorio. Nulla si dice, però, circa l’atto defensionale in cui l’anzidetta violazione era stata "paventata". Nel ricorso, a questo riguardo, si fa solo riferimento alle pagg. 24 e 25 dell’atto d’appello. Se ne deve dunque dedurre che la questione è stata sollevata per la prima volta nel giudizio di gravame e che, pertanto, si tratta evidentemente di una domanda nuova, inammissibile a norma dell’art. 345 c.p.c., che la corte d’appello non avrebbe dovuto quindi affatto esaminare nel merito. Di conseguenza, il quarto motivo di ricorso risulta inammissibile.

Analogo rilievo va fatto con riguardo al profilo di doglianza (contenuto nel primo motivo di ricorso) che concerne l’asserita inefficacia delle deliberazioni consortili di cui si discute, in quanto dispositive di diritti individuali degli aderenti al consorzio. Questione, anche questa, che non risulta fosse stata dedotta in causa sin dal primo grado (o che, almeno, le ricorrenti non indicano se ed in quale atto del giudizio di primo grado avessero dedotto).

6.5. Restano, dunque, le domanda di accertamento di nullità o inesistenza della prima deliberazione consortile, perchè non corrispondente a quanto riportato dal verbale, e quella, subordinata, di annullamento di entrambe le deliberazioni perchè la determinazione del prezzo delle corse in funivia sarebbe stata (non già di per sè esulante dalla competenza dell’assemblea dei consorziati, bensì) frutto di un eccesso di potere consumato dalla maggioranza in danno della minoranza degli aderenti al consorzio.

In ordine alla prima di tali domande la legittimazione della Tofana non può essere negata sol perchè detta società non aderisce al Federconsorzio Dolomiti. S’è già detto dianzi che compete infatti a chiunque vi abbia interesse la legittimazione a proporre domande volte a far accertare tanto la radicale nullità quanto l’inesistenza delle delibere consortili. La circostanza, dedotta dalla Tofana, che la prima delle due delibere sopra menzionate non fosse in realtà corrispondente a quanto riportato nel verbale integra non tanto una causa di nullità di detta delibera, il cui contenuto e la cui eventuale contrarietà ad una qualsivoglia norma imperativa non vengono in discussione sotto questo profilo, bensì una ragione d’inesistenza della delibera stessa. Non si tratta – si badì – di un’ipotesi di cosiddetta inesistenza giuridica, sulla cui configurabilità nel campo delle delibere societarie tanto si è discusso (e tuttora in qualche misura si discute, pur dopo la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003), bensì d’inesistenza materiale:

perchè si sostiene, e si vuoi far accertare, che la decisione enunciata nel verbale non fu assunta affatto dall’assemblea dei consorziati, che adottò invece una decisione di contenuto diverso.

Una domanda cosi fatta non può che configurarsi come una domanda di accertamento (negativo, in ordine al contenuto della delibera riportato nel verbale, e positivo quanto al contenuto effettivo della volontà assembleare): dunque una domanda che nessun altro requisito di legittimazione attiva richiede se non quello consistente nell’interesse attuale e concreto di chi la propone; nè, trattandosi di una deliberazione verbalizzata senza ministero di notaio, l’accertamento in questione presuppone una querela di falso.

Ora si può ben riconoscere che, in astratto, la Tofana abbia interesse a far accertare l’esatto contenuto di una delibera destinata ad incidere sulle tariffe che essa può praticare. Ma, come accennato, l’interesse deve essere anche attuale e concreto, e sono proprio i requisiti di attualità e concretezza dell’interesse che, nel presente caso, appaiono carenti: perchè è pacifico che la medesima assemblea del Federconsorzio Dolomiti, il 16 settembre 2004, fu chiamata ad approvare il verbale contestato e lo fece, per ciò stesso confermando anche la deliberazione assunta il precedente 22 luglio nei termini indicati in detto verbale. Nella medesima domanda di parte attrice, infatti, si definisce espressamente la delibera consortile del 16 settembre come "confermativa" di quella del 22 luglio del 2004. Se anche la precedente delibera non avesse stabilito le tariffe della cui entità si discuteva, ma si fosse limitata ad aggiornare la discussione all’esito di un parere tecnico, come le odierne ricorrenti sostengono sia accaduto, resterebbe che poi l’assemblea dei consorziati ha invece proceduto a fissarle quelle tariffe. A nulla quindi gioverebbe accertare un eventuale diverso contenuto della prima di tali delibere, ove non sia per qualche ragione da invalidare anche la seconda.

Ma, come pure si è già sottolineato, la sola ragione d’invalidità dedotta in citazione nei riguardi della seconda delle due riferite delibere consortili attiene ad un preteso vizio di eccesso di potere della maggioranza in danno della minoranza. Una figura, questa, che è stata da tempo elaborata, soprattutto nel settore delle società di capitali, nel cui ambito si è ripetutamente affermato che l’abuso della regola di maggioranza può costituire motivo di annullabilità della delibera assembleare quando il voto determinante del socio di maggioranza sia stato espresso allo scopo di ledere interessi degli altri soci, oppure risulti preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza. A fondamento di tali statuizioni si è soliti invocare il canone generale di buona fede nell’esecuzione del contratto, la cui violazione rende appunto la delibera contraria all’atto costitutivo (o allo statuto) della società (cfr., ex multis, Cass. 11 giugno 2003, n. 9353; Cass. 17 luglio 2007, n. 15950; Cass. 7 novembre 2008, n. 26842). Nulla, sul piano logico, impedisce di applicare il medesimo principio anche alle deliberazioni assunte a maggioranza dall’assemblea di un consorzio che siano frutto di un eccesso di potere in danno della minoranza, ma anche in questo caso la ragione d’invalidità di tali deliberazioni sarà da ricercare nella violazione del principio di esecuzione in buona fede, senza dubbio inerente anche al contenuto del contratto consortile.

Questo però significa che la violazione dedotta non da luogo, come pretendono le ricorrenti, ad una causa di nullità (e, tanto meno, d’inesistenza giuridica) della deliberazione consortile del 16 settembre 2004, bensì ad un vizio riconducibile alla previsione del comma 2 del citato art. 2606, trattandosi, appunto, di una deliberazione non conforme agli obblighi derivanti dal contratto (e lo stesso, ovviamente, è a dirsi per l’eccesso di potere imputato anche alla precedente deliberazione assembleare del 20 luglio). Ma, come già prima ricordato, la legittimazione a far valere un siffatto vizio non compete a chi, come la Tofana, è estranea all’organizzazione del Federconsorzio Dolomiti e non ha partecipato all’assemblea nella quale è stata assunta la deliberazione impugnata.

Il difetto di legittimazione della Tofana a denunciare l’eventuale vizio di eccesso di potere della seconda delle due riferite delibere consortili conduce ad escludere, per le ragioni già sopra chiarite, anche l’interesse all’accertamento dell’esatto contenuto della prima.

7. Da ciò la reiezione del ricorso, con l’enunciazione del seguente principio di diritto: "La domanda diretta a far accertare la non conformità al vero del contenuto della delibera assembleare di un consorzio con attività esterna, quale riportato nel relativo verbale, integra gli estremi di un’azione di accertamento dell’inesistenza materiale di detta deliberazione e può pertanto essere proposta anche da un soggetto estraneo al novero dei consorziati, se a tale accertamento gli abbia un interesse attuale e concreto. Siffatto interesse è però da escludere nel caso in cui una successiva delibera della medesima assemblea consortile abbia confermato la precedente, non essendo il terzo legittimato a far valere, in base al disposto dell’art. 2606 c.c., comma 2, l’eventuale contrarietà della delibera confermativa agli obblighi derivanti dal contratto consortile, ivi compreso l’obbligo di esecuzione secondo buona fede la cui violazione si sia tradotta in un eccesso di potere della maggioranza in danno della minoranza dei consorziati". 8. L’esito del giudizio di legittimità comporta che le società ricorrenti siano condannate, in favore delle controricorrenti, al pagamento delle spese, liquidate, per ciascuna di dette controricorrenti, in complessivi Euro 5.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

P.Q.M.

Le corte rigetta il ricorso e condanna in solido le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che, per ciascuna delle controricorrenti, liquida in complessivi Euro 5.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *