Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-02-2012, n. 2331 Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I signori C. – proprietari di terreni e sovrastanti edifici colonici siti in (OMISSIS), individuati al foglio 58 p.lle 29, 31, 90, 91, 180, 183 del catasto – si videro occupare il loro terreno con decreto 30.5.1973 de Prefetto di Pescara autorizzante l’Amministrazione Provinciale alla occupazione in vista della costruzione di un complesso ospedaliero psichiatrico (poi attribuito alla USL di Penne) e della nuova viabilità a servizio. I predetti proprietari, quindi, sull’assunto di aver perso la proprietà dei terreni senza alcun decreto di esproprio, convennero il Comune innanzi al Tribunale di Pescara al fine di ottenerne la condanna al pagamento del dovuto per risarcimento danni da occupazione acquisitiva, per indennità di occupazione legittima ed illegittima e per accessori su dette somme. Il Tribunale, con sentenza 2.11.2004 condannò il Comune al pagamento delle somme ritenute spettanti per i titoli richiesti e la Corte di Appello di L’Aquila, innanzi alla quale il Comune aveva proposto appello, con sentenza 10.11.2009 condannò il Comune di Penne a pagare ai signori C. per risarcimento danni da perdita della proprietà Euro 128.465,55, per indennità da occupazione illegittima Euro 83.584,93, per indennità da occupazione legittima Euro 4.926,19, oltre la rivalutazione sui primi due importi e gli interessi al 4% sui ratei annualmente rivalutati dal dovuto al saldo.

In motivazione la Corte di L’Aquila ha affermato: che le aree trasformate irreversibilmente – e con distinte ultimazioni dei lavori (alle date del 30.6.1981, del 31.12.1983 e del 10.4.1991) – erano pari a mq. 12.813; che in presenza della dichiarazione di p.u. ed in assenza di alcun decreto di esproprio, le aree erano state irreversibilmente trasformate all’epoca delle indicate ultimazioni dei lavori, tutte successive allo scadere della occupazione legittima; che, in ordine alla individuazione del soggetto passivamente legittimato, se, sulla base del trasferimento al Comune degli immobili ospedalieri della Provincia e dei relativi rapporti di assistenza sanitaria (L. n. 833 del 1978, art. 66), non poteva gravarsi il Comune anche delle conseguenze degli illeciti antecedenti al trasferimento, nella specie, pur incontestabile l’iniziativa espropriativa della Provincia, con l’entrata in vigore della L. n. 833 del 1978 doveva affermarsi che al Comune facevano capo la promozione e gli effetti della procedura stessa; che dunque essendosi l’irreversibile trasformazione dei terreni realizzata in tre fasi,ma tutte a partire da 30.6.1981, ne discendeva la inerenza al Comune, attributario dei beni e dei rapporti da tempo ben anteriore, della legittimazione passiva rispetto alle domande senza che valesse ad escluderla l’imputazione alle USL della sola proprietà dei beni delle aziende ospedaliere quale disposta dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 5, comma 1; che era infondata l’eccezione di prescrizione essendo intercorsi tra le date della irreversibile trasformazione (30.6.1981) e la data della citazione introduttiva (16.3.1988) numerosi atti internativi; che in ordine al quantum debeatur, sebbene a seguito della sentenza C.C. 349 del 2007 dovevasi ritenere ripristinato nella specie il criterio di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39 (come ribadito dal D.P.R. n. 327 del 2001, novellato art. 55) non per questo appariva condivisibile la sua determinazione alla stregua del valore edificatorio dei terreni, posto che, secondo l’accertamento peritale, il PRG 4.12.1979 ricomprendeva gli stessi in zona di attrezzature sanitarie ed ospedaliere; che esaminando le tre relazioni peritali del 1989, del 1990 e del 1996, e facendo applicazione della giurisprudenza di legittimità, emergeva che anche per le aree che, come quelle in disamina, non fossero destinate alla edificabilità privata, il criterio di stima ai fini del risarcimento del danno non dovesse comunque essere di necessità agricolo ben potendo essere addotta una diversa destinazione dei beni compatibile con la accertata inedificabilità; che nella specie tanto emergeva agli atti sì che appariva congruo riconoscere i valori a mq., per le date di distinta trasformazione dei fondi, e quindi lire 10.000 al giugno 1981, lire 14.000 al dicembre 1983 e lire 20.000 all’aprile 1991, per un totale di Euro 112.970 oltre alla somma di Euro 15.493 per il valore della casa colonica; che andava liquidato il risarcimento per i periodi di occupazione illegittima, ragguagliato al 5% annuo sul valore delle aree alle date di trasformazione sopra indicate e per la somma di Euro 83.584; che dette somme, afferenti crediti risarcitorii, andavano rivalutate annualmente secondo gli indici ISTAT dalle scadenze dei riferiti tre periodi di trasformazione sino alla data della sentenza e le somme rivalutate andavano incrementate degli interessi al saggio medio annuale del 4%;

che in relazione alla domanda dell’indennità di occupazione legittima (per la quale era competente solo la Corte di Appello) essa doveva riconoscersi in ragione degli interessi legali sulle somme corrispondenti alla indennità virtuale di esproprio e per i periodi di legittima occupazione, con un risultato di Euro 4.296,19 con gli interessi legali corrispettivi dallo scadere di ciascuna annualità;

che la porzione di area che emergeva non essere stata utilizzata doveva essere dal Comune restituita.

Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Penne ha proposto ricorso il 22.12.2010 con nove motivi ai quali hanno resistito:

– i signori C.F., + ALTRI OMESSI con controricorso 31.1.2011 contenente ricorso incidentale affidato a motivo unico;

– i signori C.T., D. e V. con controricorso 28.1.2011 contenente ricorso incidentale con due motivi.

Il Comune ha notificato il 7.3.2011 controricorso per difendersi dalle proposte impugnazioni incidentali.

Le tre parti hanno depositato tre memorie finali ed i loro difensori hanno discusso oralmente la causa.

Motivi della decisione

Preso atto della riunione dei ricorsi, avvenuta ai sensi dell’art. 335 c.p.c., il Collegio, all’esito della distinta disamina delle tre impugnazioni ritiene che del ricorso del Comune debbano accogliersi nei termini specificati il secondo ed il terzo motivo, rigettandosi di contro tutte le altre censure, e che identica sorte vada riservata alle due impugnazioni incidentali. Si esaminano e valutano, partitamene, le tre impugnazioni.

Ricorso del Comune di Penne.

Primo motivo: esso denunzia la violazione di legge commessa addebitando ad esso Comune l’illecito nel mentre l’accessione invertita delle aree si era verificata nel secondo semestre del 1979 e pertanto in un momento nel quale era ancora e solo la Provincia di Pescara responsabile dell’intervento realizzatorio dell’opera pubblica – ospedale psichiatrico: ad avviso del Comune, scaduti al 22.5.1976 ed al 4.2.1978 tutti i termini di occupazione temporanea ed all’1.4.1981 anche quelli della dichiarazione di p.u., ed essendosi al 30.6.1979 ultimati i lavori, il Comune, che non poteva sollecitare il decreto di esproprio nè impedire la costruzione delle opere, non poteva essere tenuto responsabile delle conseguenze della accessione invertita verificatasi il 30.6.1979 o alla data del verbale 1.4.1981 con il quale l’A.P. consegnava le aree al Comune; l’accessione invertita nella specie si era verificata ben anteriormente, con il compimento di opere non più reversibili anche se non ultimate nei dettagli e quindi sin dal 1979 nel mentre le opere successivamente compiute erano da ritenersi nè essenziali nè determinanti.

Ritiene il Collegio che nel decidere la esclusiva responsabilità del Comune in ordine al risarcimento danni da irreversibile trasformazione dell’area la Corte di L’Aquila abbia correttamente giudicato. Questa Corte ha infatti affermato che la responsabilità da illecito cagionato dalla occupazione appropriativa di un terreno, disposta per la costruzione di un ospedale psichiatrico avvenuta in epoca anteriore al trasferimento ai Comuni degli immobili di proprietà dei disciolti enti ospedalieri e dei rapporti giuridici ad essi collegati (L. n. 833 del 1978, art. 66), deve essere riferita all’ente che ha prodotto il danno (nella specie, amministrazione provinciale), e non già al Comune subentrato nella titolarità dell’ospedale, a differenza di quanto avviene nell’ipotesi del mancato pagamento dell’indennità di esproprio, nella quale è il Comune ad essere obbligato nei confronti del proprietario del suolo espropriato, trattandosi di obbligazione ex lege assunta dall’ente dante causa per l’esercizio dell’attività sanitaria (Cass. 5498 del 1996 e 5038 del 2005).

In questa prospettiva discriminante è dunque accertare quando vi fu l’irreversibile trasformazione: ebbene la Corte di Appello la ha accertata come avvenuta in data ben posteriore al trasferimento del compendio al Comune ex art. 66 citato (verbale 1.4.1981) e, segnatamente, negli anni 1981 (giugno) -1983-1991, dovendosi a suo avviso, e per gli effetti in discorso, ritenere affatto irrilevante il formale verbale di consegna delle aree in data 1.4.1981. Ne consegue che, se la sentenza è in diritto corretta, la sua messa in discussione può conseguire solo alla invalidazione del suo accertamento in fatto quoad tempus: ma le proposte censure contestano le accertate tre date di irreversibile trasformazione in modo meramente assertivo e fattuale (pagg. da 27 a 29 del ricorso) senza evidenziare alcun vizio logico dell’accertamento recepito dalla Corte ma solo esprimendo dissenso in fatto; esse inoltre ricorrono all’argomento della cessazione di efficacia della dichiarazione di p.u. (di cui al decreto Provv. OO.PP. di L’Aquila n. 7633 del 1972), che avrebbe impedito comunque al Comune di sollecitare la adozione del decreto di esproprio, argomento che, al di là della sua implausibilità, non risulta affrontato dalla Corte di Appello e che neanche si dice che ad essa sia stato ritualmente sottoposto.

Secondo motivo: censura di violazione di legge ed omessa pronunzia la totale disattenzione per i sopra riportati argomenti che il Comune aveva articolato nell’atto di appello e che afferivano la non configurabilità di alcuna responsabilità in capo al Comune per l’indennità dovuta per la occupazione illegittima perpetrata dallo scadere dei bienni di occupazione legittima (scadenze occorse il 22.5.1976 ed il 4.2.1978) e sino all’avveramento della occupazione acquisitiva o comunque della consegna delle aree.

Terzo motivo: censura l’errore commesso nell’avere immotivatamente gravato esso Comune anche dell’obbligazione di pagamento della indennità di occupazione legittima dovuta per il biennio decorrente dalle date di immissione in possesso del 22.5.1974 e del 4.2.1976.

I due motivi, tra loro connessi, si esaminano congiuntamente e se ne afferma la fondatezza. In effetti si deduce di aver inserito le questioni nei motivi di appello, ma, come lamentato, non solo la sentenza non prende specifica posizione sulle questioni poste (il che condurrebbe a ravvisare il vizio di omessa pronunzia), ma espressamente quanto immotivatamente attrae nella soluzione di "addebito" al Comune, come destinatario ex lege degli immobili ospedalieri e quindi anche delle vicende di loro occupazione acquisitiva, non solo l’obbligazione di risarcire il danno indotto da tal modalità di diretta e propria acquisizione per trasformazione quanto anche le obbligazioni correlate alla occupazione temporanea precedente alla acquisizione stessa, vuoi quella "illegittima" (pag.

25) vuoi quella afferente la legittima occupazione dei fondi (pagg.

27 e 28).

E’ invece evidente – proprio alla luce delle corrette premesse esposte dalla Corte di merito – che, prima della cessazione della occupazione legittima, tra il maggio 1976 ed il febbraio 1978 (pag.

15 sentenza CdA) l’obbligazione al pagamento della indennità, essendo insorta e conclusa nell’ambito del legittimo agire amministrativo dell’occupante Provincia, non poteva considerarsi traslata al Comune quale obbligazione per l’esercizio dell’attività sanitaria, essa permanendo in capo al primo Ente quale obbligo assunto nell’esercizio della promossa procedura espropriativa. Ed è altrettanto evidente che neanche l’agire successivo della Provincia, nel periodo e sino al periodo in cui protrasse la illegittima occupazione dei terreni sino alla data – anteriore all’avveramento della loro trasformazione – di consegna delle aree e degli immobili, consegna che ne determinò il trasferimento ex lege in capo al Comune, poteva essere per le sue conseguenze risarcitorie ascritto al Comune. Ha infatti precisato questa Corte nella sopra richiamata sentenza 5498 del 1996 che l’art. 66 più volte citato, allorquando parla di trasferimento dei rapporti giuridici relativi alle attività di assistenza sanitaria, non può che riferirsi – in senso attivo e passivo – alle obbligazioni scaturenti da una responsabilità di tipo contrattuale (ossia nascenti da un contratto o dalla legge) ma non anche ad obbligazioni da fatto illecito. La responsabilità extracontrattuale,pur se il fatto illecito sia stato finalizzato all’esercizio dell’attività sanitaria o consumato nel corso della stessa, non può che essere riferita all’ente che ha prodotto il danno. Per cui, tal trasferimento ex art. 66 non può darsi per l’obbligazione sorta in conseguenza dell’illegittima occupazione di un suolo, quand’anche questa sia stata finalizzata alla costruzione di un ospedale nel cui ambito dovrà svolgersi l’attività sanitaria.

Entrambi i motivi vanno quindi accolti con la conseguente cassazione in parte qua della sentenza che ha posto in capo al Comune – estraneo, per distinte ragioni, alle due distinte obbligazioni (ex lege e da fatto illecito) – la responsabilità per le indennità da occupazione legittima o temporanea ed anche per quella illegittima verificatasi sino all’1.4.1981 (data di consegna delle aree), di contro gravanti esclusivamente in capo all’Amministrazione Provinciale che, legittimamente od illecitamente, ne aveva determinato i presupposti di insorgenza.

Resta quindi ferma la statuizione della incombenza sul Comune della sola obbligazione risarcitoria da illecita occupazione per tutto il periodo corrente tra l’acquisizione del possesso delle aree (1.4,1981) e l’acquisizione della loro proprietà (alle tre distinte date indicate nella sentenza in disamina).

Quarto motivo: esso si duole della attribuzione al Comune anche della responsabilità per il danno da demolizione della casa colonica, trattandosi di vicenda occorsa nel 1977 e quindi durante il periodo nel quale la legittimazione alla conduzione della procedura competeva alla Provincia: il motivo è privo di consistenza non essendo di alcun rilievo la anteriore data della demolizione, posto che la responsabilità del Comune è accertata ed indiscussa per l’illecito acquisitivo delle aree di sedime e dei manufatti sovrastanti ed esso è avvenuto alla data delle accertate ultimazioni.

Quinto motivo: si duole dell’avere la Corte onerato il Comune della restituzione di aree non trasformate: in realtà – ad avviso del ricorrente – tale area non era mai transitata nella disponibilità del Comune: la censura non ha fondamento posto che, una volta affermato che in capo al Comune si trasferirono tutte le aree occupate per la costruzione dell’ospedale e che l’irreversibile trasformazione di esse vide il Comune acquisirne la proprietà e divenire obbligato per il risarcimento, resta evidente l’effetto traslativo del possesso dell’intera area e l’insorgere in capo allo stesso Comune dell’obbligo restitutorio dei citati mq. 1.892 non irreversibilmente trasformati ma nondimeno transitati nella disponibilità del Comune e pertanto da restituirsi ai proprietari (come esattamente affermato dalla sentenza impugnata).

Sesto motivo: si duole del rigetto della eccezione di prescrizione, rigetto dalla Corte fondato sulla disarticolazione della accessione invertita in tre fasi e sulla valorizzazione di specifiche interruttive (pag. 15 sentenza): ribadisce che la prescrizione si era compiuta alla data dell’1.1.1985 (cinque anni dalla ultimazione lavori) con riguardo tanto alla occupazione appropriativa quanto alle indennità di occupazione abusiva e biennale legittima Osserva il Collegio che, con riguardo alla prescrizione del diritto alle "indennità" l’accoglimento dei motivi secondo e terzo (in ragione della estraneità del Comune dalle obbligazioni maturate ante consegna dell’1.4.1981) consente di assorbire in gran parte la questione della prescrizione, nel mentre resterebbe da valutarne la rilevanza limitatamente all’area trasformata nel 1991 e relativamente al periodo corrente tra l’insorgenza della obbligazione (1.4.1981) e l’interruttiva rappresentata dalla citazione introduttiva del giudizio (13.3.1988) durante il quale durò l’occupazione illegittima. Ma la censura formulata nel sesto motivo in disamina appare inammissibile per la sua evidente aspecificità, posto che essa, concentrata solo sulla contestazione del momento della accessione invertita, neanche discute l’accertamento che la sentenza (pag. 15) opera di quattro distinte interruttive e non riferisce specificamente i propri argomenti di dissenso al corso prescrizionale della indennità di occupazione illegittima. Tanto viene fatto nel settimo motivo ed in tal sede verrà esaminata.

Con riguardo, poi, alla decisione di rigettare l’eccezione di prescrizione del credito risarcitorio per l’occupazione acquisitiva sussiste una ragione assorbente, ben diversa da quella delle affermate ed incontestate interruttive, che consente di rigettarla (mutando la motivazione in diritto della sentenza): e ciò alla stregua del principio formulato da questa Corte (Cass. 22407 del 2008, 9620 e 12863 del 2010), nell’ambito della riconsiderazione dell’istituto della occupazione acquisitiva, in un quadro di compatibilita con il disposto di cui all’art. 1 prot. 1 della C.E.D.U., indicata da S.U. 6853 del 2003. Devesi infatti affermare che il termine di prescrizione quinquennale di prescrizione del diritto al relativo risarcimento del danno, se non contrasta con i principi della Convenzione Europea, essendo la prescrizione istituto di generale applicazione a qualsivoglia diritto anche di rango costituzionale, deve essere ritenuto operante in termini di compatibilità con la pregressa situazione di mancanza di norme di diritto interno dotate di adeguate chiarezza, accessibilità e prevedibilità, con particolare riguardo alla natura (di illecito istantaneo ad effetti permanenti) del fatto che lo origina: e pertanto, essa prescrizione non può decorrere da tempo anteriore a quello nel quale l’istituto della occupazione acquisitiva ha avuto "emersione" nell’ordinamento nazionale, vicenda avveratasi solo con la entrata in vigore della L. n. 458 del 1988, art. 3 che l’istituto de quo ha espressamente riconosciuto. Ne discende che nessuna prescrizione poteva avverarsi alla data della citazione introduttiva del primo giudizio, quella del 13.3.1988 essa potendo decorrere solo dall’entrata in vigore dell’art. 3 appena rammentato.

Settimo motivo: esso si duole dell’avere il giudice di appello dato rilievo ad interruttive 10.2.1986 e 25.9.1987 neanche prospettate come documenti fondanti contro-eccezioni e quindi indebitamente valutate d’ufficio. Il motivo è privo di fondamento alla luce di quanto osservato nella disamina del sesto mezzo, in relazione al credito risarcitorio posto che esso non è prescrivibile ante legge 458 del 1988.

Quanto al riferimento della questione delle interruttive alle indennità per occupazione illegittima, esso ha rilevanza solo per il periodo post 1.4.1981 (consegna) e solo per il credito indennitario afferente l’area che venne trasformata nel 1991: solo per essa infatti potrebbesi ipotizzare un periodo astrattamente prescrivibile ante citazione del 13.3.1988, nel mentre nessuna prescrizione potrebbe predicarsi per le indennità afferenti le aree che vennero trasformate ben prima (nel giugno 1981 e nel dicembre 1983). Così limitata la questione si osserva che la censura posta nel motivo in disamina non è ammissibile, posto che la Corte di Appello ha esaminato le lettere 11.2.1986, 26.9.1987, le ha ricondotte alla iniziativa defensionale della parte interessata, ne ha ravvisato certo valore intimatorio e quindi ammissibilità ed idoneità processuale alla interruzione. Le censure appaiono tentativi di ridiscutere la valutazione in tali termini operata.

Ottavo motivo: si lamenta la scelta da parte della Corte di una soluzione "intermedia" nella liquidazione del quantum, in violazione dell’obbligo di ricorrere al criterio di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16. Il motivo è inconsistente posto che la liquidazione secondo valore venale dell’area non edificabile trasformata è avvenuta avendo riguardo alla evidente inapplicabilità del V.A.M. in ragione del carattere illecito della acquisizione (si rammentano S.U. 19551 del 2003 e Cass. 1041 del 2006) e sostanzialmente precorrendo i parametri oggi applicabili. E’ infatti noto che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 181 del 10.06.2011 pubblicata sulla G.U. n. 26 del 15.6.2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 4 convertito nella L. n. 359 del 1992 in combinato disposto con la L. n. 865 del 1971, art. 15, comma 1, secondo periodo e art. 16, commi 5 e 6 nel testo sostituito dalla L. n. 10 del 1977, per contrasto con l’art. 42 Cost., comma 3 e art. 117 Cost.. La Corte di merito, con valutazioni non fatte segno ad alcuna censura ammissibile, ha quindi accertato il valore venale effettivo del terreno occupato e trasformato e tali valutazioni restano immuni da censure.

Nono motivo: Esso contesta l’erronea liquidazione, sulla rivalutazione annuale, degli interessi al 4% e degli interessi legali quale indennità di occupazione illegittima sino alla sentenza di secondo grado. Nel mentre la seconda censura resta assorbita nell’accoglimento dei motivi secondo e terzo, la prima censura, nella parte in cui si duole del computo degli interessi sulla rivalutazione annuale del capitale per risarcimento da occupazione acquisitiva è inconsistente posto che il computo degli interessi è correttamente correlato alla data di rtdeterminazione del quantum (la sentenza d’appello) e che la scelta del saggio medio del 4% della percentuale annuale degli interessi sul capitale sottoposto a rivalutazione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 5671 del 2010).

Ricorso incidentale C.F. + 10.

Motivo unico: con esso ci si duole del mancato riconoscimento ai terreni della natura edificatoria, posto che il vincolo di PRG delineava vocazione di edilizia sanitaria-ospedaliera non collegata alla sua realizzazione pubblica; ad avviso dei ricorrenti non si sarebbe dovuto far capo ad alcun criterio "intermedio" dato che la possibile edificabilità sanitaria privata era compatibile con la vocazione generale e rendeva edificabile il terreno.

Il motivo è palesemente errato: la proposta di ricondurre la destinazione delle aree, data dallo strumento urbanistico ad edilizia scolastica o di istruzione o a edilizia sanitaria, ad una scelta di edificabilità "speciale", in quanto ed a condizione che la sua realizzazione sia o possa essere privata, appare priva di margini di condivisibilità, alla stregua del costante indirizzo di questa Corte (Cass. n. 19938 del 2011 – n. 12862 del 2010 – n. 15616 del 2007 e n. 23028 del 2004) al quale il Collegio intende dare pienamente continuità: si deve infatti ancora una volta ribadire che la vocazione edificatoria delle aree è correlata solo alla destinazione privata – residenziale, industriale, commerciale – degli insediamenti che su di esse abbiano ad essere realizzati, nel mentre la destinazione pubblica dell’insediamento, e segnatamente quella indirizzata alla realizzazione di edifici scolastici, rende irrilevanti od assorbe le modalità della sua realizzazione, quand’anche gli interventi siano effettuati da privati e la gestione sia assicurata da enti od imprese private. In concreto poi la valutazione è stata corretta e come dianzi notato in piena anticipazione del criterio di cui a C.C. 181 del 2011 e si è dato ampio spazio alla concreta valorizzazione intermedia rappresentata dalle aree.

Il ricorso incidentale deve quindi essere rigettato.

Ricorso incidentale C.T. + 2.

Primo motivo: esso censura la disapplicazione del criterio del valore di mercato integrativo di quello del valore agricolo, con l’avere attestato la propria scelta sul valore minimo indicato dal CTU. La censura non ha fondamento, posto che, da un canto, mira a rivalutare in sede di legittimità il rapporto cognitivo-selettivo tra decisione del giudice ed accertamenti dei CTU e che, dall’altro canto, le valutazioni recepite appaiono affatto in linea con l’esigenza di applicare un criterio di valore di mercato coerente con il novum apportato oggi da C.C. 181 del 2011 (vd. Cass. 19938 del 2011) Secondo motivo: si duole della omessa considerazione in dispositivo dei nomi dei comproprietari D. e C.V. (e l’impugnazione è solo da costoro proposta): ritiene il Collegio che, tra le opzioni possibili della indubitabile svista occorsa nella sentenza, quella afferente un errore materiale, la cui correzione è sottratta alla cognizione di questa Corte ma rimessa al giudice del rinvio, è affatto rispondente alla realtà. Ed infatti, la sentenza da atto in intestazione che C.T. era appellante incidentale nel mentre D. e V. erano appellati e tanto ribadisce a pag. 30 nella premessa di dispositivo, sì che nessuna omissione di pronunzia è da ravvisarsi in ordine alle posizioni sostanziali dei due appellati; ma poi, incorrendo in una pura e semplice omissione materiale, dimentica in sede di dispositivo (ove andavano determinati i soggetti creditori in base al decisum che sostituiva quello di primo grado) di indicare tra i creditori delle somme indicate anche D. e C.V..

In questi termini anche l’esaminato ricorso incidentale va respinto.

Spetterà al giudice del rinvio, individuato nella stessa Corte di L’Aquila in diversa composizione, regolare anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Provvedendo sui ricorsi riuniti, accoglie per quanto di ragione il secondo e terzo motivo del ricorso principale del quale rigetta o dichiara inammissibili gli altri motivi; rigetta i ricorsi incidentali; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di L’Aquila in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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