Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-06-2011) 29-09-2011, n. 35327

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Ha proposto ricorso per cassazione R.P., per mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 13.10.2010, che in riforma della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale Tribunale il 9.2.2009, per vari fatti di circonvenzione di incapace commessi secondo l’accusa tra il (OMISSIS) in danno di N.C., costituitasi parte civile in giudizio, dichiarò prescritti i reati consumati fino al 5.12.2002 (capi A) e B) della rubrica) escluse le contestate aggravanti e ridusse di conseguenza la pena inflittagli, con la concessione del beneficio della non menzione in aggiunta a quello della sospensione condizionale, confermando nel resto la decisione di primo grado.

2. La Corte di merito rilevava che all’epoca della relazione sentimentale instaurata con l’imputato, la N., che si occupava della gestione di un ristorante tipico milanese (l’Osteria dell’Oppio) era soggetto affetto da disturbi psicofisici, reduce da vari ricoveri ospedalieri e bisognosa di adeguate terapie di sostegno psichiatrico.

2.1 Riteneva che il R., assunto come musicante nell’ambito della attività di intrattenimento offerte dal locale, avesse beneficiato delle continue elargizioni di denaro in suo favore da parte della persona offesa approfittando intenzionalmente della condizione "boderline" della donna, gravata da un pesante vissuto, affetta da depressione maggiore e da una radicata forma di etilismo, e legata all’imputato da un rapporto personale e di totale dipendenza affettiva dai risvolti anomali e patologici.

2.2 L’imputato aveva tentato di proporre una diversa caratterizzazione dei suoi rapporti con la N., attribuendo i loro dissidi finali alla gelosia di quest’ultima, che l’aveva suo dire costretto a nasconderle l’avvio della sua relazione con la donna che avrebbe poi sposato, e negando di avere mai concepito con la persona offesa particolari progetti comuni, ma i giudici di appello confermavano l’ipotesi accusatoria anche sulla base di numerose testimonianze, provenienti da soggetti implicati a vario titolo nella gestione del ristorante ( L., E.) o dal marito della persona offesa P.N., traendo indicazioni di prova a carico dell’imputato anche dalle deposizioni dei testi citati dalla difesa.

3. La difesa rileva, sostanzialmente con unico motivo variamente articolato, la mancanza, e/o manifesta contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione ai motivi di appello.

La lacunosità del costrutto argomentativo della sentenza sarebbe anzitutto rilevabile a proposito della presunta incapacità di intendere e di volere della N. all’epoca dei fatti, di cui l’imputato avrebbe inteso approfittare.

Il R. non sarebbe stato in alcun modo responsabile dell’etilismo della donna, avendola anzi spronata ad assumere le necessarie terapie di contrasto, condotta incompatibile con l’ipotesi accusatoria; i giudici di merito avrebbero valorizzato l’attendibilità dei testimoni solo nella parte delle loro deposizioni "conveniente" all’ipotesi accusatoria, trascurando le dichiarazioni favorevoli all’imputato; e avrebbero trascurato la posizione di interesse dei testi rispetto all’accusa; avrebbero travisato la prova nell’affermare che il R. era a conoscenza del tentativo di suicidio effettuato dalla N. il 31.5.2002, che peraltro era stata senz’altro dimessa dall’ospedale in cui era ricoverata, senza che fosse disposto nei suoi confronti il trattamento sanitario obbligatorio; avrebbe erroneamente valutato la documentazione clinica relativa ai disturbi della persona offesa, e la conoscibilità del suo disagio psichico da parte dell’imputato, non avrebbe risposto alle perplessità avanzate dalla difesa sul contenuto delle relazioni medico-specialistiche che avevano contribuito a formare il convincimento dei giudici di merito; avevano trascurato le numerose contraddizioni della persona offesa, e le sue menzogne sulla propria capacità di gestire autonomamente i propri interessi, occupandosi ad es., della gestione del ristorante in modo molto più autonomo e fattivo di quanto non avesse cercato di lasciare intendere.

Sotto altro profilo, la difesa contesa, ancora, la valutazione dei giudici di appello sulla diminuzione patrimoniale subita dalla N., lamentando che non era stata ammessa una prova diretta a dimostrare la capacità reddituale del R. e la "corrispettività" delle elargizioni della donna a favore dell’imputato, in quanto impegnato a favore del ristorante, in numerose attività "in nero".

Ma la corte di merito avrebbe inoltre trascurato i palesi intenti punitivi della N. nei confronti dell’imputato, colpevole di averla respinta come amante e possibile compagna di vita. Infine, nessuna motivazione sarebbe rinvenibile in sentenza a giustificazione dell’entità della provvisionale concessa alla persona offesa.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Le deduzioni difensive si sviluppano, in sostanza, sull’ampia riproposizione dei motivi di appello, con una diffusa rivisitazione delle risultanze istruttorie, molto più insistita e minuziosa di quanto non risulti dalla sintesi che si è faticosamente cercato di operarne in premessa. Ne risulta una marcata caratterizzazione "di merito" del ricorso, che non riesce invece a cogliere reali vizi logico giuridici nella motivazione della sentenza impugnata, e d’altra parte punta più volte su riferimenti processuali quando vaghi, quando parziali ed incerti, quando addirittura contraddittori rispetto alle tesi difensive. A quest’ultimo riguardo ci si può riferire, ad es. alla deduzione difensiva sulla riferibilità all’imputato dell’iniziativa di convincere la N. ad assumere le necessarie terapie contro l’alcolismo, non essendo nemmeno esplicitata in ricorso la specifica fonte di prova ma formulata solo l’indicazione di isolate pagine processuali, senza dire che l’impulso altruistico dell’imputato dimostrerebbe allora la sua precisa conoscenza della gravità della situazione di dipendenza alcolica della donna, fronteggiabile con una terapia a base di interferone.

Del pari, la mancata conoscenza, da parte dell’imputato, del tentativo di suicidio della N. del 31.5.2002 dovrebbe desumersi dal breve inciso delle dichiarazioni della donna riportato a pag. 5 del ricorso, ovviamente selezionato in funzione delle esigenze difensive, con una tecnica di estrapolazione che impedisce la verifica della corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente ed il contenuto complessivo della dichiarazione (Corte di Cassazione SENT. 32362 19/08/2010 – 26/08/2010 SEZ. F Scuto ed altri, dove la precisazione che il ricorso per cassazione, per difetto di motivazione in ordine alla valutazione di una dichiarazione testimoniale, deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità, dalla integrale produzione dei verbali relativi o dalla integrale trascrizione in ricorso di detta dichiarazione).

2. Per il resto, le deduzioni difensive fanno più volte riferimento all’erroneo presupposto di diritto della necessaria caratterizzazione in senso clinico-patologico dello stato di infermità o di deficienza psichica della persona offesa richiesta dall’art. 643 c.p. come uno degli elementi costituitivi della fattispecie, mentre alla stregua del parametro normativo, come non mancano di sottolineare i giudici di appello (vedi pag. 16 della sentenza) l’incapacità della persona offesa deve essere intesa non in senso assoluto ma con riferimento a tutte le forme anche non morbose di indebolimento intellettuale, di menomazione della capacità di critica e delle funzioni volitive e affettive, che rendano la vittima facilmente suggestionabile e ne diminuiscano la capacità di opporsi ad insinuazioni ed insidie (ex plurimis, Cass. Pen. Sez. 2^, 3458 del 2005; Cass. 18644/2009, ricordata nella sentenza). Il vizio di fondo delle deduzioni difensive è particolarmente evidente, ad es., nell’analisi delle vicende del ricovero della persona offesa a seguito del suo già ricordato tentativo di suicidio, perchè il fatto che in quell’occasione non fosse stato rilevata dai sanitari una condizione di alterazione psichica tale da suggerire un trattamento sanitario obbligatorio, non è per nulla decisivo nelle vantazioni del caso, rispetto al minimum di "incapacità" della vittima della circonvenzione sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 643 c.p..

3. Nella stessa ottica si muovono, in definitiva, anche le censure difensive relative alla valutazione delle relazioni mediche e della documentazione clinica acquisite agli atti, che sottolineano un vissuto della persona offesa implicante comunque, secondo le giuste valutazioni della Corte di merito, in qualunque momento possa essersi manifestato in termini apertamente patologici, radici risalenti nella progressiva affermazione di una situazione di crescente disagio personale, giustamente ritenuto agevolmente rappresentabile all’imputato in relazione a tutte le circostanze del caso concreto.

4. Le valutazioni della Corte di merito sull’attendibilità della varie dichiarazioni testimoniali sono contestate dalla difesa in modo generico e spesso apodittico, alla stregua di un’analisi che fonda in sostanza l’argomentazione critica non su presupposti di fatto certi, ma su indicazioni vaghe e nemmeno decisive (la presunta posizione di interesse rispetto all’accusa dei testi L. ed E.; i rapporti tra il P. e la moglie); o, quanto all’attendibilità della persona offesa, sulla sopravvalutazione del movente della gelosia, che è presente, in sostanza, nell’analisi dei giudici di merito, ma coerentemente svalutato nella sua potenziale portata "negativa" dalla complessiva considerazione di tutte le altre numerose risultanze istruttorie, che depongono oggettivamente nel senso ipotizzato dall’accusa riguardo alle particolari condizioni psichiche della donna, certamente rilevabili prima della fine della sua relazione con l’imputato.

5. Le risultanze istruttorie attentamente analizzate dalla Corte territoriale offrono in conclusione un’ alternativa di giudizio limitata al grado della fragilità psichica della persona offesa, ai suoi eventuali risvolti psico-patologici, a partire comunque da un indiscutibile sostrato di "deficienza" suscettibile di indebolire le sua capacità di reazione ad insidie esterne. Ma sotto questo profilo le censure mosse alla sentenza impugnata, oltre che erronee in diritto (e opinabili in fatto), finiscono per rivelarsi anche "eccentriche" rispetto alle valutazioni dei giudici di appello, nella misura in cui nel ricorso si indugia sulla "capacità di intendere e di volere" della persona offesa come situazione non solo non richiesta dalla norma incriminatrice nei termini "assoluti" postulati dalla difesa, ma per di più riferita alla capacità della N. di gestire convenientemente i propri interessi imprenditoriali.

Quello che i giudici di merito sottolineano, infatti, è l’anomala dipendenza affettiva della donna dall’imputato, il punto di "criticità" delle sue deboli difese psichiche espresso dall’intenso coinvolgimento emotivo derivatole dalla sua anomala relazione con l’imputato, nei termini di una passione incontrollabile e inconfessabile, e in questa prospettiva di indagine poco conta, quindi, che la donna potesse misurarsi vittoriosamente con i propri problemi nell’ordinaria gestione dei suoi affari, implicante, com’è ovvio, una dimensione "sentimentale" del tutto neutra.

6. Il ricorso non coglie nel segno nemmeno quando tenta di insidiare la motivazione della sentenza sotto il profilo della valutazione del pregiudizio patrimoniale subito dalla persona offesa. La Corte di merito non avrebbe infatti ammesso, al riguardo, la prova testimoniale offerta dalla difesa per provare la capacità reddituale dell’imputato e il collegamento tra le numerose elargizioni in denaro effettuate in suo favore dalla N., e le attività lavorative "extra" del R.. Sennonchè, i giudici di appello non incorrono affatto nel vizio logico di escludere la verità dell’assunto per difetto di prova avendo rigettato le specifiche istanze istruttorie della difesa, ma si confrontano piuttosto con le indicazioni di parte confutandole proprio sulla base del loro concreto contenuto (vedi pag. 14 della sentenza, dove il confronto tra i redditi "in nero" addotti dall’imputato e le elargizioni della persona offesa, alla stregua di un apprezzamento di merito adeguatamente sostenuto sul piano logico).

7. Inammissibile, infine, è il motivo sul difetto di motivazione relativo all’entità della provvisionale. Ed invero, in tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l’obbligo di espressa motivazione quando l’importo rientri nell’ambito del danno prevedibile (Corte di Cassazione nr. 49877 dell’11/11/2009, sez. 6 R.C. e Blancaflor; vedi anche Corte di Cassazione nr 34791 del 23/06/2010 , sez. 4, Mazzamurro, secondo cui con il ricorso per cassazione non è comunque deducibile la questione relativa alla pretesa eccessività della somma di denaro liquidata a titolo di provvisionale).

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e de la somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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