Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-02-2012, n. 2330 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.M.G. con citazione del 19.1.1996 convenne innanzi al Tribunale di Lecce il Comune di Matino precisando che il Comune, dopo aver dichiarato la p.u. della edificazione di una scuola materna su terreni di lei proprietà e di proprietà di D.V. D.M.F. (cedente dei diritti controversi ad essa esponente) e dopo averne disposto la occupazione di urgenza, non aveva provveduto all’esproprio ma sol realizzato l’opera (pur avendo annullato la delibera di occupazione sull’assunto di essere proprietario dell’area per impegno dei proprietari alla cessione gratuita. Ne chiese quindi la condanna al risarcimento dei danni, al pagamento delle indennità di occupazione e degli accessori.

Costituitosi il Comune, che eccepì il difetto di giurisdizione del G.O. e dedusse la infondatezza della domanda per essere le aree già di proprietà del Comune, il Tribunale con sentenza 20.6.2005 – disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione per l’avvenuta occupazione di aree private e disapplicata la delibera di annullamento di detta occupazione – accolse la domanda condannando al pagamento di indicate somme per risarcimento dei danni, per indennità di occupazione, per interessi e rivalutazione. La sentenza venne appellata dal Comune di Matino in via principale e, in via incidentale, da P.M.G. e la Corte di Appello di Lecce, costituitisi anche P.V. e D.V.M. F., con sentenza 15.5.2010 respinse gli appelli proposti e compensò le spese. Nella motivazione della pronunzia, la Corte territoriale, per quel che occupa in questa sede, ha: 1) concordato con l’opinione del Tribunale per la quale l’atto d’obbligo assunto dalla proprietà in vista di una futura cessione gratuita delle aree non aveva alcun effetto reale, dovendosi attendere, ancor prima della previsione della convenzione di lottizzazione di cui alla L. n. 765 del 1967, la stipula di un atto formale ad effetti traslativi (nella specie mancata e in luogo della quale il Comune ben avrebbe potuto proporre azione ex art. 2932 c.c.); 2) escluso potesse ipotizzarsi alcun difetto di giurisdizione del G.O., avendo il Tribunale correttamente disapplicato la delibera di annullamento della occupazione di urgenza (adottata in relazione ad una pretesa proprietà anteatta del Comune) posto che sussisteva un illecita acquisizione della proprietà, trasformata senza esproprio, e non già una proprietà del Comune già acquisita per cessione, e che permaneva pertanto il diritto al risarcimento dei danni oggetto della domanda; affermato quindi che tal vicenda era stata oggetto di domanda del 1996 e quindi certamente conoscibile ratione temporis dal G.O.;

3) affermato che le aree dovevano ritenersi certamente edificabili alla stregua di quanto accertato dal CTU, essendo emerso che esse ricadevano in zona F, certamente destinata alla edificazione a fini pubblici (uffici – scuole – edifici religiosi – edifici sportivi) ma per la quale le N.T.A. avevano previsto anche una edificazione da parte dei proprietari secondo indici di modesta entità, in coerenza con la ricaduta della zona nell’area già identificata dal PdF in B1;

4) rilevato la tardività della eccezione di non applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, sollevata solo in sede di conclusioni in primo grado e senza allegare quale valore fosse stato dichiarato nella denunzia ICI. Per la cassazione di tale decisione il Comune ha proposto ricorso affidato a quattro motivi con atto del 22.10.2010, illustrato in memoria, resistito da controricorso di P.M.G. del 30.11.2010. D.V. M.F. e P.V. non hanno svolto difese.

Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che, infondate le censure contenute nei primi tre motivi, meritino invece condivisione quelle esposte nel quarto mezzo.

Primo motivo: con esso si censura, in modo non sempre comprensibile, la pretesa disattenzione della sentenza per le ragioni della difesa.

Il motivo devesi ritenere inammissibile, posto che esso assomma violazioni addebitate ma non specificate ed illustrate e non si confronta con la scrupolosa esposizione dei motivi di appello (pag. 4 sentenza), premessa per la loro trattazione, ma preferisce addebitare una globale disattenzione per la "..impostazione difensiva della Amministrazione" della quale non si coglie il rilievo impugnatorio.

Secondo motivo: se è chiaro che, in premessa, si denunzia la sentenza per non aver declinato la giurisdizione in favore del G.A., dalla lettura del motivo si desume che tal censura – dispiegata senza neanche farsi carico di identificare la domanda (la cui cognizione spetterebbe al G.A.) – finisce per affermare che la avvenuta disapplicazione non si sarebbe potuta adottare trattandosi di "materia" riservata alla cognizione del G.A. (e non perchè….sarebbe stato chiesto il sindacato sull’esercizio di una potestà-attività amministrativa sottratto all’esame da parte del G.O.). Ed allora, se appare chiaro che la effettiva doglianza dispiegata dal Comune sia quella che si appunta sulla indebita disapplicazione da parte del G.O. della Delib. n. 422 del 1995, emerge che la censura stessa si appunta sul merito dell’esercizio della giurisdizione del G.O., essendo ben noto che non attengono alla esistenza della potestas judicandi ma solo alle modalità del suo esercizio le questioni efferenti la correttezza del potere di disapplicare provvedimenti da parte del G.O. (S.U. 17976 del 2003, 6409 del 2010 e 13639 del 2011). Quanto al merito della censura, una volta ricondotta all’alveo della comuni violazioni di legge, essa appare priva di fondamento, avendo il giudice correttamente rilevato la irrilevanza – sul piano dell’accertamento del diritto al risarcimento danni da irreversibile trasformazione dell’area, occupata e non fatta segno ad esproprio – dell’esercizio dello jus poenitendi del Comune, essendosi maturata medio tempore una situazione incompatibile con i presupposti dello stesso (la proprietà dell’area non essendo certo transitata al Comune per effetto di una anteriore cessione volontaria ma solo a cagione di una irreversibile trasformazione del fondo all’esito della occupazione originariamente autorizzata).

Terzo motivo: con esso l’Ente si duole dell’omesso esame delle proprie eccezioni di prescrizione e di usucapione: la prima doglianza è inammissibile per novità. Nel mentre la Corte di merito ha diligentemente ricordato che il Tribunale aveva disatteso l’eccezione rammentando che, avveratasi la trasformazione allo scadere del periodo di occupazione legittima (14.12.1995) la citazione immediata (19.1.1996) aveva interrotto tempestivamente il corso prescrizionale, nulla il motivo dice sul fatto che tale eccezione sia stata riproposta in appello ed in quale atto. La Corte di merito la ignora.

La conseguenza è pertanto la inammissibilità della censura.

Contesta poi il motivo – in modo ancor meno comprensibile – l’affermazione della sentenza afferente la necessità di un atto traslativo al Comune (per escludere la produzione della vicenda di irreversibile trasformazione) dato che, ad avviso dell’Ente, di tal atto non vi sarebbe stato bisogno essendo stato dimostrato ex actis il prodursi dell’usucapione. E si duole del fatto che tali circostanze non siano esaminate dalla CdA. La doglianza è anch’essa inammissibile posto che si riduce ad una generica contestazione di omesso esame senza addurre e riprodurre in piena autosufficienza lo specifico motivo di appello afferente la disattesa usucapione, solo con tal deduzione potendo la questione essere da questa Corte esaminata.

Quarto motivo: Il motivo, oltre a censurare, ma solo in rubrica, la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16 (censura comunque priva di interesse alla luce della sopravvenuta rimozione della norma, per effetto di Corte Cost. 322 del 2011), si duole della violazione di legge commessa affermando che l’area che nel PdF era classificata in F fosse, sol perchè consentita una alternativa e minoritaria realizzazione privata, edificabile.

La censura coglie nel segno. Va invero rammentato l’indirizzo di questa Corte (tra le ultime Cass. 6873 del 2011 e 404 del 2010) per il quale l’inserimento dell’area in zona F da parte di uno strumento urbanistico di secondo livello da un canto è inquadrabile in atto di esercizio della zonizzazione del territorio e dall’altro canto, e correlativamente, determina che i suoli inclusi vengano ad assumere carattere non edificabile, senza che la previsione di limitati interventi consentiti alla iniziativa privata – vincolati ad utilizzazione strumentale a quella pubblica – sia idonea a mutare di segno la natura della previsione. In questa prospettiva, da questa Corte ut supra precisata, appare certamente errata la desunzione, da parte della sentenza in disamina, di natura di area edificabile dalla circostanza acclarata dalla CTU per la quale nel quadro della destinazione ad edilizia pubblica (scolastica-religiosa-culturale- sportiva-amministrativa) la previsione di una edificabilità privata per personale di sorveglianza sarebbe indice della compresenza di natura edificabile. Altrettanto errato è poi, come censurato, l’ulteriore passaggio della sentenza, quello per il quale le N.T.A. (norme tecniche di attuazione) avrebbero integrato o precisato il PdF del Comune di Matino affermando essere in ogni caso consentita da parte dei privati l’edificazione secondo l’indice di 0.01. Emerge al proposito l’assoluta carenza di indagine della Corte di merito sul dato accertato (con dubbia precisione) dal CTU, posto che, se lo strumento di terzo livello (le N.T.A.) non ha alcuna idoneità a derogare le previsioni del P.d.F., strumento di rango superiore, è ben possibile che le predette norme attuative integrino od esplicitino quanto desumibile dalla previsione del P.d.F. all’atto di ricondurre in zona F l’area, riconduzione dalla quale discende una "presunzione" di inedificabilità privata: si intende che la stessa previsione del PdF potrebbe consentire una reale se pur limitata edificabilità privata (residenziale, industriale, commerciale) ma sempre che tal pur minoritaria previsione sia chiaramente desumibile dallo strumento e ben fermo restando che nulla ha a che vedere con tale ipotesi di compresenza delle due tipologie di edificabilità il fatto che la finalità della edilizia pubblica autorizzata con il PdF sia raggiunta attraverso la edificazione e/ la successiva gestione da parte di privati. E’ pertanto a tale indagine, ed in applicazione dell’appena formulato principio di diritto, che dovrà attendere il giudice del rinvio al quale, cassata la sentenza, è rimessa la trattazione ed anche, conclusivamente, la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta i primi tre motivi del ricorso ed accoglie il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese di legittimità, alla Corte di Appello di Lecce in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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