Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-06-2011) 29-09-2011, n. 35301 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 29 aprile 2010, il Tribunale di Frosinone, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero, ha disposto il sequestro preventivo per equivalente sui beni della società Tadworth Italia fino alla concorrenza di Euro 2.900.697,00 in relazione al reato previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11.

A sostegno della conclusione, i Giudici hanno evidenziato, in fatto, che gli amministratori della società, dopo essere venuti a conoscenza delle pretese erariali, hanno effettuato una serie di cessioni immobiliari che integrano una obiettiva menomazione del patrimonio dell’ente con finalità elusiva delle garanzie del debito tributario. In diritto, il Tribunale ha rilevato che il reato si perfeziona con il compimento di atti di disposizioni idonei a mettere in pericolo l’assolvimento dell’obbligo tributario indipendentemente dalla circostanza che il debito scaturisca da condotte qualificabili reato. Il vincolo reale non è stato effettuato, come richiesto dal Pubblico Ministero, sugli immobili venduti perchè appartenenti a soggetti estranei al reato per i quali necessiterebbe dimostrare la natura simulata degli atti di alienazione.

Per l’annullamento della ordinanza, ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica rilevando:

– che vi erano già agli atti elementi sufficienti per concludere che le vendite erano simulate (effettuate a società fittizie collegabili agli indagati ed in mancanza del totale pagamento del prezzo);

– che il Giudice – senza attendere l’accertamento civile sulla natura dei contratti – avrebbero dovuto qualificare le alienazioni come simulate e procedere al sequestro direttamente sui beni venduti.

Anche l’indagata P.L. ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e rilevando:

– che le ipotesi accusatorie circa occultamenti di profitti trasferiti all’estero non sono sorrette da gravità indiziaria: pertanto, mancano i reati presupposti dai quali dipende il debito tributario che giustifica l’applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11;

– che non è dimostrata la natura simulata a fraudolenta degli atti della società;

– che la pretesa evasione fiscale risale ad epoca antecedente alla possibilità di applicazione del sequestro per equivalente nei reati fiscali;

– che non è provato il periculum in mora.

Relativamente al ricorso del Pubblico Ministero, si osserva come il Tribunale abbia messo a fuoco che gli amministratori della società, dopo essere venuti a conoscenza delle pretese fiscali, abbiano compiuto una serie di cessioni immobiliari che sono sintomatiche di una finalità elusiva del pagamento del debito erariale. Il Tribunale, stante il limite cognitivo del giudizio incidentale e la impossibilità di svolgere investigazioni, non era nelle condizioni di pervenire alla conclusione, sia pure incidentalmente, sulla simulazione dei contratti di vendita e conseguente nullità dei relativi trasferimenti; il Tribunale non era in grado di valutare se fosse una simulazione oggettiva o soggettiva sotto la forma di interposizione fittizia di persone.

Allo stato delle investigazioni (pur suscettibili di ulteriori sviluppi), le società acquirenti hanno la qualifica di soggetti estranei al reato per cui non merita censure la conclusione dei Giudici sulla non applicabilità della misura ai beni oggetto di vendita. Per quanto concerne il ricorso dell’indagata, si rileva che la critica alla motivazione del gravato provvedimento in merito alla finalità elusiva delle vendite non è puntuale.

Il Tribunale ha avuto cura di indicare una serie di elementi e di argomenti che logicamente concatenati sono sintomatici dello scopo illecito che era sotteso alla vendite immobiliari con esclusione di ogni altra ipotesi alternativa; la motivazione sul tema è congrua, completa, corretta e, pertanto, insindacabile in questa sede. La censura sulla insufficienza argomentativa dei reati fiscali diversi da quello previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 non coglie nel segno perchè il primo Giudice ha evidenziato la possibilità di una complessa attività di riciclaggio mentre il Tribunale ha rilevato che gli espedienti contabili sono seri indizi della provenienza illecita dei capitali e di evasione della imposte; tanto è sufficiente per reputare non arbitraria la pretesa fiscale sottesa alla fattispecie del ricordato art. 11. L’evasione tributaria si è snodata dal 2001 al 2008 ed il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è stato commesso nello anno 2009, quindi, in epoca nella quale era possibile la confisca per equivalente per i reati fiscali.

Relativamente alla residua censura, è appena il caso di rilevare come le esigenze di cautela non siano richieste nel sequestro prodromico alla confisca – art. 321 c.p.p., comma 2 – che è una ipotesi autonoma rispetto a quella regolata dal comma 1 della norma e prescinde dalle condizioni ivi previste.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna P.L. al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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