Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-02-2012, n. 2316 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale di Firenze P. S.E.L. impugnava il licenziamento intimatole dalla Fondazione Museo Stibbert in data 28-5-2007, chiedendo che, in linea di stretta subordinazione, fosse dichiarato: nullo perchè ritorsivo;

nullo perchè in violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7;

illegittimo per mancanza del giustificato motivo soggettivo.

La Fondazione convenuta resisteva e svolgeva domanda riconvenzionale perchè fosse dichiarata la risoluzione del rapporto in virtù di altro licenziamento, successivamente intimato il 6-9-2007, per superamento del periodo di comporto.

La P., a sua volta, in reconventio reconventionis, promuoveva, subordinatamente all’accoglimento della domanda riconvenzionale, domanda di risarcimento danni per violazione dell’art. 2087 c.c..

Con sentenza n. 852 del 2008 il Giudice del lavoro del Tribunale di Firenze escludeva che nella specie si potesse parlare di licenziamento ritorsivo, mancando la prova dell’intento ad hoc. Rigettava la domanda subordinata di nullità per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, considerando congruo il periodo intercorso fra fatto disciplinarmente rilevato e contestazione dell’addebito (circa 40 giorni), e riteneva, invece, la carenza di giustificato motivo soggettivo, per sproporzione fra il fatto stesso (una argomentata e vibrata lettera di protesta) e la sanzione comminata.

Pertanto, in applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 8, disponeva la reintegra o, in mancanza, il risarcimento dei danni commisurato, in considerazione della risalenza nel tempo del rapporto, in sei volte l’ultima retribuzione mensile globale di fatto.

La lavoratrice proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento integrale della domanda introduttiva.

La Fondazione resisteva al gravame e proponeva appello incidentale al fine di sentir accertare la legittimità del licenziamento.

Subordinatamente, poi, all’accoglimento dell’appello principale, la Fondazione, in via incidentale, riproponeva la domanda riconvenzionale (circa la legittimità del secondo licenziamento per superamento del comporto).

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza depositata il 27-2-2009, rigettava entrambi gli appelli.

In sintesi la Corte territoriale rilevava la mancata dimostrazione del carattere ritorsivo del licenziamento e riteneva sproporzionato lo stesso, essendosi comunque trattato di manifestazione del diritto di critica da parte del lavoratore senza contenuto oggettivamente denigratorio e/o diffamatorio.

Per la cassazione di tale sentenza la P. ha proposto ricorso con due motivi.

La Fondazione Museo Stibbert ha resistito con controricorso.

Infine la P. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciando violazione della L. n. 604 del 1966, art. 4, della L. n. 300 del 1970, art. 15 e della L. n. 108 del 1990, art. 3, con riferimento all’art. 2697 c.c., la ricorrente, in sostanza deduce che la Corte di merito ha erroneamente posto a carico della lavoratrice l’onere della prova circa la natura ritorsiva del licenziamento, laddove "per stessa ammissione della parte datoriale, unico motivo della risoluzione del rapporto di lavoro subordinato è stato il contenuto della missiva del 13 marzo 2007".

La ricorrente, inoltre, lamenta che la Corte territoriale contraddittoriamente "ha ritenuto che la condotta tenuta nel caso di specie dalla Fondazione fosse censurabile ed illegittimo il licenziamento", non ritenendo però il licenziamento stesso ritorsivo.

La ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., che va applicato nella fattispecie ratione temporis:

"voglia la Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro chiarire e dichiarare i criteri di applicazione dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova con riferimento alla disciplina in tema di licenziamento ritorsivo di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 4, L. n. 300 del 1970, art. 15 e L. n. 108 del 1990, art. 3".

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando vizio di motivazione, in sostanza lamenta che la Corte di merito, contraddittoriamente, "in un primo momento al fine di escludere la natura ritorsiva del licenziamento (che avrebbe comportato la natura reale richiesta dal lavoratore), ha sostenuto che sarebbe stato onere della stessa ricorrente dare prova della veridicità delle accuse mosse al datore di lavoro, poi invece sostiene che l’onere della prova era a carico del datore di lavoro che non vi avrebbe ottemperato (e da tale considerazione è scaturita la declaratoria di illegittimità del licenziamento)".

La Fondazione, dal canto suo, con il controricorso, eccepisce la carenza di interesse della ricorrente, assumendo che in sostanza è stata "abbandonata completamente l’impugnazione del secondo licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto", non avendo la P. "riproposto in appello nessuna delle domande contenute nella sua reconventio reconventionis di primo grado" riguardanti la illegittimità del secondo licenziamento.

La eccezione è infondata in quanto non avendo il primo giudice preso in esame il secondo licenziamento, in quanto assorbito dalla decisione sul primo, ed avendo la Fondazione riproposto la domanda riconvenzionale soltanto "subordinatamente all’accoglimento dell’appello principale", in sostanza non vi è stata alcuna decisione nel merito riguardo al detto secondo licenziamento, in quanto la Corte d’Appello ha espressamente ritenuto "assorbito" il "secondo capo dell’appello incidentale" a seguito del rigetto dell’appello principale, di guisa che, in definitiva, l’interesse della P. alla affermazione della natura ritorsiva del primo licenziamento, con le relative conseguenze, non è in alcun modo venuto meno.

Così respinta preliminarmente l’eccezione avanzata dalla controricorrente, sul primo motivo osserva il Collegio che il quesito, concentrato nella mera richiesta di "chiarire e dichiarare i criteri di applicazione dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova con riferimento alla disciplina in tema di licenziamento ritorsivo", risulta del tutto generico e privo di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta e al decisum, e come tale inidoneo ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (vigente ratione temporis).

Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito del tutto generico. Del resto è stato anche precisato che "è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire Terrore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie" (v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).

Il secondo motivo, poi, è infondato e va respinto.

Non vi è, infatti, in sostanza, alcuna contraddizione tra la affermazione della mancanza della prova del carattere ritorsivo del licenziamento (che incombe sul lavoratore, v. Cass. 5-8-2010 n. 18283) e la affermazione della sproporzione del licenziamento stesso, ben potendo ritenersi – come nella fattispecie ha affermato la Corte di merito – "che una lettera, destinata a conoscenza interna quand’anche contenga un’elencazione di fatti non provati, possa non essere considerata talmente grave" – in riferimento al contenuto comunque "oggettivamente non denigratorio" di quei fatti – "da comportare il recesso dal rapporto, poichè le esigenze di tutela della struttura gerarchica aziendale ( art. 2086 c.c.) devono essere contemperate con il diritto costituzionale di manifestazione del pensiero ( art. 21 Cost.)" ed in particolare con il diritto di critica, nel quadro della valutazione di tutte le circostanze del caso, così escludendosi, non solo la giusta causa tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, ma anche il notevole inadempimento degli obblighi contrattuali che integra il giustificato motivo soggettivo (in generale su tale valutazione complessiva v. Cass. 10-12-2007 n. 25743 e, in specie, in tema di diritto di critica, v. fra le altre Cass. 22-10-1998 n. 10511, Cass. 24-5-2001 n. 7091, Cass. 14-6-2004 n. 11220, Cass. 10-12-2008 n. 29008).

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore della controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese liquidate in Euro 30,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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