Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-02-2012, n. 2314 Condotta antisindacale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La SATA, Società automobilistica Tecnologie avanzate spa, chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Potenza, pubblicata il 29 marzo 2006. La controversia sorse con ricorso del sindacato SLAI COBAS, Sindacato lavoratori autoorganizzati intercategoriali. Il Tribunale, in accoglimento del ricorso, con decreto ai sensi dell’art. 28 st. lav., dichiarò antisindacale il comportamento della SATA e le ordinò di operare le trattenute dei contributi sindacali dando seguito alle cessioni di credito operate dai lavoratori in favore del sindacato ricorrente. La società propose opposizione, che venne respinta dal Tribunale. La SATA propose quindi l’appello rigettato dalla Corte d’appello di Potenza con la sentenza su indicata.

2. La SATA ricorre per cassazione, articolando quattro motivi di ricorso, sui quali ritorna con una memoria per l’udienza. Il sindacato non ha svolto attività difensiva.

3. Con il primo motivo la società denunzia violazione dell’art. 28 st. lav. e vizio di omessa, insufficiente contraddittoria motivazione. Il motivo concerne la legittimazione attiva dello SLAI COBAS e specificamente il suo carattere nazionale. Si assume che i giudici di merito avrebbero errato nel riconoscere carattere nazionale al sindacato ricorrente perchè la sua attività "non si era tradotta nella stipulazione di accordi a livello nazionale e cioè nel raggiungimento di quel minimo obiettivo che dovrebbe esprimere l’effettività dell’azione sindacale di tutela e rappresentanza degli interessi collettivi". 4. La tesi della società contrasta con l’orientamento di questa Corte. Da ultimo, con la sentenza 29 luglio 2011, n. 16787, è stata cassata una sentenza che per riconoscere il carattere nazionale di un sindacato si era appunto spinta a ritenere necessaria la sottoscrizione di contratti collettivi di livello nazionale. Nella motivazione, facendo il punto sulla giurisprudenza, si è sottolineato che in questo modo si introduce un criterio selettivo più forte di quello indicato dalla norma dello statuto, perchè un’associazione sindacale può avere carattere nazionale anche se non ha firmato contratti collettivi nazionali. Si è altresì evidenziato che non deve confondersi la legittimazione ai fini dell’art. 28, con i requisiti richiesti dall’art. 19 della medesima legge per la costituzione di rappresentanze sindacali titolari dei diritti di cui al titolo terzo: l’art. 19, a questo specifico fine, richiede la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali (o anche provinciali o aziendali, purchè applicati in azienda); l’art. 28 non prevede analogo requisito, implicante il consenso della controparte datoriale, ma richiede esclusivamente che l’associazione sia nazionale. Il carattere nazionale non può desumersi da dati meramente formali e quindi non è sufficiente un’articolazione nazionale prevista dallo statuto associativo, ma è necessaria anche una effettiva attività diffusa a tale livello. Azione non significa però, necessariamente, stipulazione di contratti collettivi di livello nazionale. Se contratti di questo tipo sono stati sottoscritti, ciò sarà un indice importante del carattere nazionale dell’attività sindacale, ma è possibile che presentino questo requisito anche associazioni che abbiano svolto attività su tutto, o quanto meno ampia parte, del territorio nazionale, anche se non abbiano sottoscritto contratti collettivi nazionali.

5. Questo per quanto attiene ai principi di diritto. Quanto alla valutazione nel merito essa è di competenza della Corte d’appello, che ha motivato adeguatamente sul punto. Il ricorso propone una diversa valutazione del quadro probatorio e in particolare documentale, che non è ammissibile in sede di legittimità se non nei limiti del vizio di motivazione. Vizio che viene denunziato nel ricorso, ma in modo generico, assumendo, contraddittoriamente, che la motivazione è stata omessa e che al tempo stesso è insufficiente e contraddittoria. Senza peraltro indicare, come invece impone l’art. 360 c.p.c., n. 5, il fatto, controverso e decisivo sul quale tale vizio incide e senza spiegare il perchè della insufficienza e contraddittorietà. 6. Secondo, terzo e quarto motivo riguardano la qualificazione giuridica dell’atto con il quale i lavoratori hanno invitato l’azienda a trattenere una piccola somma del salario, destinandola al sindacato come quota associativa, e le sue conseguenze giuridiche.

7. Con il secondo motivo si denunzia violazione di legge e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la Corte di merito qualificato tale atto come cessione di credito e non come delegazione di pagamento, con la conseguente necessità del consenso del datore di lavoro delegato.

8. Con il terzo motivo la società denunzia violazione falsa applicazione degli artt. 26 e 28 st. lav., nonchè omessa, insufficiente contraddittoria motivazione, in quanto, essendo la fonte legale del diritto venuta meno per l’abrogazione dei commi 2 e 3, art. 26, L. n. 300 del 1970 a seguito del referendum, non dovrebbe esservi alcun inadempimento datoriale sanzionabile ex art. 28. 9. Con il quarto ed ultimo motivo si denunzia violazione delle disposizioni di legge che hanno modificato il D.P.R. n. 180 del 1950, art. 1, degli artt. 11 e 12 preleggi e dell’art. 1260 c.c., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

10. La posizione della Cassazione sul problema dei contributi sindacali è consolidata quanto alle questioni poste con il secondo ed il terzo motivo (Cfr., in particolare, Cass., sezioni unite, 21 dicembre 2005, n. 28269; Cass., 7 agosto 2008, n. 21368; Cass., 20 aprile 201 , n. 9049).

11. Sono stati affermati i seguenti principi di diritto.

12.1) Il referendum del 1995, abrogativo dell’art. 26 st. lav., comma 2, e il susseguente D.P.R. n. 313 del 1995, non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, ma è soltanto venuto meno il relativo obbligo. I lavoratori, pertanto, possono richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato cui aderiscono (S.U. 28269/2005).

13.2) Tale atto deve essere qualificato cessione del credito (art. 1260 c.c., e segg.) (S.U. 28269/2005).

14.3) In conseguenza di detta qualificazione, non necessita, in via generale, del consenso del debitore (cfr. art. 1260 c.c.) (S.U. 28269/2005).

15.4). Non osta il carattere parziale e futuro del credito ceduto: la cessione può riguardare solo una parte del credito ed avere ad oggetto crediti futuri (S.U. 28269/2005, nonchè Cass. 10 settembre 2009, n. 19501).

16.5) Qualora il datore di lavoro sostenga che la cessione comporti in concreto, a suo carico, una modificazione eccessivamente gravosa dell’obbligazione, implicante un onere insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale e perciò inammissibile, ha l’onere di provare, ai sensi dell’art. 1218 c.c., che la gravosità della prestazione è tale da giustificare il suo inadempimento (S.U. 28269/2005).

17.6) L’eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità e l’efficacia del negozio di cessione del credito, ma può giustificare l’inadempimento del debitore ceduto, finchè il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi (S.U. 28269/2005).

18.7) Non si può ritenere provata l’insostenibilità dell’onere in ragione, esclusivamente, dell’elevato numero di dipendenti dell’azienda, ma dovrà operarsi una valutazione di proporzionalità tra la gravosita dell’onere e l’entità della organizzazione aziendale, tenendo conto che un’impresa con un elevato numero di dipendenti di norma avrà una struttura amministrativa corrispondente alla sua dimensione (Cass. 20 aprile 2011, n. 9049).

19.8) Il datore di lavoro che in presenza di un atto di cessione del credito relativo alle quote sindacali, rifiuti senza giustificazione di effettuare il versamento, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività (S.U. 28269/2005).

20. Tutti questi principi di diritto, come si è detto, sono consolidati e in questa controversia non vengono prospettati argomenti nuovi.

21. Costituisce invece questione nuova quella relativa alle conseguenze sulla materia di alcuni recenti interventi legislativi:

la L. 31 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 137; il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni nella L. 14 maggio 2005, n. 80 e la L. 23 dicembre 2005, n. 266. 22. Le sezioni unite del 2005 citarono i primi due interventi (il terzo è successivo alla decisione), ma precisarono che i problemi di interpretazione di tali modifiche non potevano essere affrontati in quella sede perchè la nuova disciplina non era applicabile ratione temporis al caso esaminato.

23. Al contrario, la nuova normativa è sicuramente applicabile in questa controversia e quindi il problema deve essere affrontato.

24. La questione è la seguente. Il "Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e le cessioni degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni" (D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180), è stato modificato ed integrato dai tre interventi legislativi prima richiamati.

25. L’art. 1 prevedeva, e prevede tuttora, la insequestrabilità, impignorabilita1 e incedibilità di stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti corrisposti ai propri dipendenti dalle amministrazioni pubbliche. Con la legislazione recente su richiamata tali limitazioni sono state estese alle retribuzioni corrisposte dalle aziende private.

26. A sua volta, l’art. 5, pone dei limiti alla possibilità per i dipendenti pubblici di "contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote di stipendio o del salario fino ad un quinto dell’ammontare". Gli artt. 15 e 53, individuano gli istituti autorizzati, in via esclusiva, a concedere prestiti ai dipendenti pubblici. Anche queste limitazioni sono state estese ai dipendenti di imprese private.

27. L’art. 52 stabilisce che i dipendenti pubblici (e ora anche i dipendenti di privati) "possono fare cessioni di quote di stipendio in misura non superiore ad un quinto" e per periodi massimi di cinque o dieci anni a condizione che siano provvisti di stipendio fisso e continuativo (ulteriori modifiche della disposizione introdotte dalla recente legislazione non rilevano ai fini della questione in esame).

28. La tesi della società ricorrente è che i lavoratori dipendenti (dopo le recenti modifiche, anche quelli di aziende private) non potrebbero cedere una parte della loro retribuzione alle associazioni sindacali a titolo di quote associative, perchè la cessione sarebbe consentita solo in favore degli istituti di credito indicati negli artt. 15 e 53 del D.Lgs. su richiamato.

29. La tesi fa dire alla legge qualcosa in più e di diverso da ciò che essa stabilisce effettivamente. Infatti, la limitazione concernente gli istituti di credito riguarda solo le cessioni di credito retributivo col legate alla erogazione di prestiti (cfr. il combinato disposto degli artt. 5, 15 e 53 del T.U.).

30. Sono perfettamente comprensibili le ragioni di tale scelta legislativa, volta a garantire che il soggetto erogatore del prestito e correlativamente beneficiario della cessione di quote della retribuzione per la restituzione del capitale maggiorato degli interessi, presenti caratteristiche tali da assicurarne serietà ed affidabilità e che il lavoratore sia tutelato contro prestiti erogati da soggetti che non offrano adeguate garanzie.

31. Al contrario, l’art. 52 riguarda tutte le cessioni del credito del lavoratori dipendenti, anche quelle non collegate alla erogazione di un prestito. La norma prevede una serie di condizioni e restrizioni, ma non contiene limitazioni del novero dei cessionari.

Queste ultime, specifiche limitazioni sono circoscritte alle sole cessioni in qualsiasi modo collegate a concessioni di prestiti e riguardano soggetti che, al tempo stesso, sono erogatori di credito e cessionari. Tali specifiche limitazioni non riguardano cessioni del tutto slegate dalla concessione di crediti, come sono quelle in favore delle associazioni sindacali per il pagamento delle quote associative.

32. Sarebbe stato molto strano, del resto, che il legislatore, al fine di garantire il lavoratore cedente, gli impedisse di destinare una parte (in genere molto contenuta, e comunque soggetta ai limiti incisivi fissati dall’art. 52) della sua retribuzione al sindacato cui aderisce, cosi trasformando una legislazione antiusura volta a tutelare il lavoratore, in una forma di restrizione irragionevole della sua autonomia e della sua libertà sindacale.

33. Il legislatore non ha previsto questo, ma ha introdotto limitazioni calibrate in funzione degli interessi da tutelare e differenziate in relazione alla diversità delle situazioni, fissando limiti per tutte le cessioni e prevedendo limiti specifici per le cessioni in qualsiasi modo connesse alla erogazione di un prestito.

L’interprete non può estendere queste limitazioni oltre l’ambito segnato dalla lettera e dalla finalità dell’intervento legislativo.

34. Il ricorso, pertanto, non è fondato e deve essere respinto.

Nulla sulle spese poichè l’associazione sindacale non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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