T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., 24-10-2011, n. 8144 Ordinanze Silenzio della Pubblica Amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Premette la società ricorrente, assegnataria di frequenze televisive in tecnica digitale, che pendono diversi ricorsi, mentre altri sono definiti, aventi ad oggetto una medesima vicenda che prende le mosse dalla concessione di impianto sito in Rocca di Papa in capo alla società C.D., già R.L., in relazione al quale il Direttore del III Reparto di CIRCOSTEL (oggi Ispettorato Territoriale del Lazio) adottò l’ordinanza n. 107/91 di disattivazione, in quanto non funzionante nel periodo 18/8/1990 – 18/4/1991, ma operativo solo dal 135/1991, ed interferente con le trasmissioni televisive della prima rete della RAI.

Ritenendo che, nonostante il lungo lasso di tempo trascorso, e i numerosi ricorsi pendenti o definiti, detta ordinanza esplichi perdurante efficacia, la società I. S.r.l. impugna, con il ricorso in epigrafe, il silenzio rigetto formatosi sulle istanze dalla medesima presentate nelle date del 5 gennaio 2010, 30 novembre e 3 dicembre 2010 e 22 dicembre 2010, tendenti ad ottenere l’esecuzione coattiva dell’ordinanza n. 107/91 ovvero, l’esplicitazione dei motivi per cui non possa essere eseguita, nonché la verifica della legittimità concessoria del canale H (oggi E6 digitale) esercito dalla società C.D. S.p.a., alla luce dei pareri espressi in merito dall’Avvocatura Generale dello Stato in merito nel 2009 e 2010.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato in difesa dell’intimato Ministero dello sviluppo economico, senza, peraltro presentare difese scritte.

Si è costituita in giudizio, altresì, la società controinteressata che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e, comunque, l’infondatezza dello stesso nel merito.

Alla camera di consiglio del 6 ottobre 2010 la causa é stata trattenuta in decisione.

Deve essere esaminata con priorità l’eccezione sollevata dalla controinteressata.

In virtù del combinato disposto degli artt. 31 e 117 del c.p.a., (che riproduce, nella sostanza, l’art. 2, l. n. 241 del 1990, come novellato dagli artt. 2, l. n. 15 del 2005 e 3, d.l. n. 35 del 2005, convertito con modificazioni in l. n. 80 del 2005), decorsi i termini di conclusione del procedimento, il ricorso avverso il silenzio può essere proposto anche senza necessità di ulteriore diffida all’Amministrazione inadempiente fin tanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.

Pertanto, ai sensi delle più recenti disposizioni normative, per l’introduzione del giudizio teso a far valere il silenzio – inadempimento dell’Amministrazione si richiede che sia stata previamente presentata un’istanza su cui l’Amministrazione abbia l’obbligo di provvedere esplicitamente entro un termine determinato, che tale termine sia inutilmente decorso in assenza di un provvedimento espresso e che l’istanza non sia stata presentata in data anteriore all’anno dalla presentazione del ricorso.

Tanto chiarito, osserva il Collegio che la prima delle istanze – in data 5 gennaio 2010 – su cui pure lamenta la società ricorrente la formazione del silenzio, attiene propriamente alla diffida ad eseguire l’ordinanza n. 107/91, mentre le successive istanze – rispettivamente, del 30.1103.12.2010 e 22.12.2010 – hanno per oggetto la richiesta di compatibilizzazione dell’impianto di pertinenza della medesima con quello esercito dalla controinteressata, ma anche in tali occasioni la deducente ribadisce come sia ancora attuale l’interesse alla esecuzione dell’ordinanza di disattivazione di cui sopra a supporto delle nuove richieste ivi formulate.

La società controinteressata peraltro, eccepisce l’irricevibilità del ricorso, perché non proposto entro l’anno dallo spirare del termine per la conclusione del procedimento.

Ritiene il Collegio che nella specie, a prescindere dalla sussistenza di un termine specifico per la conclusione del procedimento, ovvero se vada fatto riferimento a quello generale di trenta giorni, fissato dall’art. 2 della legge 7.8.1990 n. 241, e dunque da quale data debba decorrere il termine di un anno previsto dall’art. 31 del c.p.a., non può ritenersi che la ricorrente sia decaduta dall’azione, in quanto allo stesso termine non può essere attribuita una valenza decadenziale, costituendo, piuttosto, una mera presunzione legale assoluta, avente ad oggetto la persistenza dell’interesse ad agire in giudizio per il rilascio del provvedimento richiesto, nonostante il decorso di un notevole lasso di tempo dalla data di scadenza del termine previsto dalla legge per la conclusione del procedimento.

Infatti, mentre nei casi di decadenza l’inerzia del titolare della situazione giuridica soggettiva è sanzionata dal legislatore con la perdita della situazione giuridica soggettiva stessa, nella fattispecie in esame l’inerzia dell’interessato non preclude, per espressa previsione di legge, la possibilità di proporre nuovamente l’istanza laddove ne ricorrano i presupposti.

Come sopra evidenziato, la parte ricorrente, dopo la diffida del gennaio 2010, ha rinnovato, con le successive istanze del novembre e del dicembre 2010, la richiesta di una pronuncia dell’Amministrazione anche in ordine all’ordinanza del 1991, sia pure nell’ambito di un procedimento diverso, ma, sostanzialmente, confermando il proprio interesse a conoscere delle sorti anche di quello più risalente, sicché deve ritenersi persistente l’interesse della ricorrente ad agire contro il comportamento omissivo dell ~Amministrazione, e, sotto tale profilo, l’ammissibilità dell’azione proposta dalla società ricorrente.

Il ricorso, peraltro, è inammissibile sotto un diverso profilo.

In apice, deve essere precisato che l’interesse della ricorrente va propriamente circoscritto al silenzio formatosi in merito alla sola richiesta di esecuzione dell’ordinanza di disattivazione dell’impianto della controinteressata, dovendosi dare atto che l’Amministrazione si è pronunciata espressamente in ordine al pure sollecitato procedimento di compatibilizzazione (cfr., sul punto, la documentazione versata in atti dalla società controinteressata).

Con riferimento, dunque, all’ordinanza n. 107/91 è pacifico che questa è stata, a suo tempo, impugnata dalla società controinteressata sia innanzi al Tar Lazio, che respinse l’istanza cautelare, sia innanzi al Pretore di Frascati, che invece accordò il provvedimento cautelare.

Peraltro, il ricorso pendente innanzi al Tar è stato definito con la sentenza n. 3888/2009 che ne ha dichiarato l’improcedibilità sulla scorta delle intervenute autorizzazioni ministeriali alla modifica dell’intero sistema radiante di C.D., e della definitiva convalida dell’autorizzazione a trasmettere in favore di quest’ultima, una volta appurata l’avvenuta soluzione di ogni e qualsiasi problematica interferenziale con la pubblica concessionaria – ragione da cui era scaturita l’ordinanza di disattivazione dell’impianto di canale Dieci – senza che tali determinazioni abbiano formato oggetto di contestazioni e gravami.

L’obiter dictum contenuto nella sentenza di cui si tratta è dirimente, atteso che la declaratoria di improcedibilità si radica sul consolidamento della posizione giuridica della titolare di frequenze televisive, cui la ricorrente si contrappone, per mezzo dell’adozione di successivi provvedimenti incompatibili con il contenuto dell’ordinanza del 1991, i cui presupposti risultano, pertanto, superati da successivi eventi (cessazione dei problemi interferenziali con la pubblica concessionaria).

Rileva il Collegio che la società ricorrente, che, invece, ritiene che l’ordinanza di disattivazione sia ancora formalmente in vigore, e che su di essa l’Amministrazione debba, pertanto, prendere una posizione esplicita, nell’attivare il rimedio contro il silenzio, intende, più in radice, sollecitare un riesame, ora per allora, dell’intera vicenda, e, dunque, anche della validità dei provvedimenti adottati successivamente all’ordinanza di cui è richiesta l’esecuzione coattiva.

Secondo l’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, che il Collegio ritiene di fare proprio, non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile ab extra l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell’atto amministrativo mediante l’istituto del silenziorifiuto e lo strumento di tutela offerto dall’art. 21 bis, l. 7 agosto 1990 n. 241. (cfr., da ultimo Consiglio Stato, sez. V, 01 marzo 2010, n. 1156)

Né si può pervenire a diversa conclusione ove sia richiesto l’intervento in via di autotutela nei confronti di atti di cui si affermi il carattere vincolato o dovuto in presenza di individuati presupposti di legge; anche in tale ipotesi non muta, infatti, la natura della potestà esercitata, che introduce un procedimento di riesame di legittimità che ha a monte natura ampiamente discrezionale, indipendentemente dalla natura giuridica – vincolata o meno – del provvedimento preso in considerazione. (Consiglio Stato, Sez. VI, 16 dicembre 2008, n. 6234)

Deve essere, al riguardo, osservato che il riesame di legittimità del provvedimento amministrativo ai fini del suo annullamento in via di autotutela implica l’esercizio di una potestà discrezionale rimessa alla più ampia valutazione di merito dell’Amministrazione.

La stessa novella introdotta dall’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 ribadisce che il provvedimento illegittimo "può essere annullato d’ufficio sussistendo le ragioni di interesse pubblico", con scelta quindi che, ancorché in presenza di vizi afferenti alla validità dell’atto, resta subordinata ad una preventiva valutazione di opportunità dell’Amministrazione.

Deve essere aggiunto, a quanto sopra osservato, che l’esclusione della possibilità di fare ricorso alla procedura del silenzio rifiuto allo scopo di provocare il ricorso dell’amministrazione all’autotutela trova il proprio fondamento nell’esigenza di evitare, attraverso di essa, il superamento della regola della necessaria impugnazione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza.

Ed invero, come sopra accennato, i provvedimenti di autotutela, sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale della pubblica amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione di cui essa sola è titolare e che non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile, neppure in presenza di un indirizzo giurisprudenziale sfavorevole ad analoghi provvedimenti adottati dalla stessa amministrazione nei riguardi di altri soggetti (e da questi tempestivamente impugnati), salvo l’obbligo generale di buona amministrazione che, tuttavia, non si concreta nel dovere giuridico di rispondere alla richiesta del privato, se non in presenza di procedimenti per i quali sussista l’obbligo di conclusione con provvedimento espresso (C.d.S., Sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7136).

Ciò, d’altra parte, non può ritenersi contrastante con le esigenze di diritto sostanziale, perché la certezza delle situazioni giuridiche definite è essa stessa un bene irrinunciabile posto a tutela dei cittadini (C.d.S., Sez. IV, 1° aprile 1992, n. 201) e non può essere elusa mediante l’impugnazione del silenzio – rifiuto formatosi su un’istanza diretta a sollecitare l’adozione di provvedimenti di annullamento o di modifica di precedenti determinazioni, non impugnate nei termini e nelle forme di rito (C.G.A., 27 giugno 1978, n. 120).

Con riguardo al caso che ne occupa, l’Amministrazione ha da tempo ritenuto che gli eventi per come si sono svolti, anche in conseguenza dei contenziosi attivati dalle parti interessate, hanno finito per determinare una situazione di fatto incompatibile con l’ordinanza di disattivazione, e, dunque, alcun obbligo può ritenersi sussistere in merito ad un eventuale ribaltamento di tale situazione a mezzo di una istanza di riesame, né tale strumento può condurre ad una inammissibile, oltre che tardiva, messa in discussione degli atti successivamente adottati.

Non può, pertanto, trovare ingresso l’azione proposta con il ricorso in esame, siccome, in realtà, tendente alla rimozione dal mondo giuridico di provvedimenti i cui effetti si sono ormai consolidati, imponendosi, per l’effetto, la declaratoria di inammissibilità.

Sussistono, peraltro, motivi per compensare le spese del giudizio, in ragione del comportamento della resistente Amministrazione, che non ha spiegato scritti difensivi.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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