Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-02-2012, n. 2435 Retribuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Si legge nella sentenza della Corte d’Appello di Catania che:

– G.S. esponeva di aver lavorato come insegnante di asilo alle dipendenze di S.G. e B.A., quali titolari della struttura scolastica denominata Associazione Victoria School e lamentava l’insufficienza della retribuzione, ai sensi dell’art. 36 Cost., la mancata percezione di alcune mensilità retributive, a titolo di 13A mensilità e compenso per lavoro straordinario, del TFR alla cessazione del rapporto, ed inoltre, dell’indennità di mancato preavviso, deducendo, al riguardo, l’illegittimità del licenziamento;

– G. chiedeva, pertanto, la condanna dei predetti S. e B., in solido tra loro, al pagamento delle somme indicate in ricorso;

– il primo giudice, nella contumacia dei convenuti, accoglieva in parte la domanda;

– proponevano gravame la lavoratrice, chiedendo la parziale riforma della sentenza impugnata, e S. e B., chiedendone l’integrale riforma.

2. Con sentenza del 26 settembre 2009, la Corte d’Appello di Catania, ritenuta corretta l’instaurazione del giudizio nei confronti di B. e S. che avevano lamentavano l’irritualità della notificazione del ricorso introduttivo, e passivamente legittimati i predetti S. e B., accoglieva la censura della lavoratrice avverso la sentenza del primo giudice che aveva ritenuto l’accettazione della retribuzione insufficiente preclusiva della domanda in giudizio per differenze retributive, e riconosceva le differenze retributive, la 13A mensilità, l’indennità per ferie non godute e il TFR, negando, invece, l’indennità di preavviso per non essere risultata dimostrata l’imputabilità, a S. e B., della cessazione del rapporto di lavoro.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, S. e B. hanno proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., u.c., degli artt. 160 e 161 c.p.c., nonchè degli artt. 2697 e 2727 c.c., degli artt. 115, 116 e 102 c.p.c., della L. n. 890 del 1982, art. 8 (art. 360 c.p.c., n. 3) e omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5), si dolgono che la corte di merito abbia ritenuto rituale la notificazione del ricorso introduttivo, ex art. 139 c.p.c., in difetto della prova, agli atti, della quale sarebbe stata onerata la G., dell’impossibilità di notificare l’atto introduttivo al S., nella sua residenza. Assumono i ricorrenti che la corte di merito abbia ritenuto assorbente la presunzione che, riscontrato dall’ufficiale giudiziario il nome del S. sulla cassetta postale, questi abbia spedito la lettera con le formalità dell’art. 8, invertendo il procedimento deduttivo logico-giuridico, anche con riferimento alla circostanza che, a quell’indirizzo, risultasse residente la figlia minore dei destinatari dell’atto, circostanza che, in difetto di prova in ordine alla convivenza dei coniugi, poteva, al più, dimostrare che il genitore si recasse ivi a visitare la figlia e non già che vi fosse domiciliato. Assumevano, ancora, i ricorrenti di aver tempestivamente lamentato, con l’atto d’appello, i vizi dell’attività dell’ufficiale postale, deducendo, con le note autorizzate in grado di appello, che sia sulla busta per compiuta giacenza, sia sulla cartolina che l’accompagnava, non vi era prova che il predetto ufficiale non avesse potuto consegnare l’atto al destinatario o a persona abilitata a riceverlo in sua vece, nè che avesse accertato che il destinatario non aveva cambiato dimora, residenza o domicilio. Infine, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 102 c.p.c., per non aver i Giudici del gravame considerato che la mancata corretta instaurazione del giudizio nei confronti del S., per la conseguente nullità della sentenza di primo grado, comportava la caducazione dell’instaurazione del contraddittorio nei confronti della B..

5. In sintesi, si lamenta un vizio della notificazione dell’atto introduttivo solo con riferimento a S., deducendo, per B., esclusivamente la conseguente caducazione dell’instaurazione del contraddittorio per effetto della nullità della sentenza di primo grado per il dedotto vizio.

6. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

7. Osserva innanzitutto il Collegio che, alla stregua dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità consolidatosi in tema di notificazione a mezzo posta, l’ufficiale postale, nel caso in cui non abbia potuto consegnare l’atto al destinatario o a persona abilitata a riceverlo in sua vece ( L. n. 890 del 1982, artt. 8 e 9), dopo aver accertato che il destinatario non ha cambiato residenza, dimora o domicilio ma è temporaneamente assente, e che mancano persone abilitate a ricevere il piego in sua vece, deve rilasciare avviso al destinatario del deposito del piego nell’ufficio postale e provvedere, eseguito il deposito, alla compilazione dell’avviso di ricevimento che, con la menzione di tutte le formalità eseguite, del deposito e relativa data, nonchè dei motivi che li hanno determinati, deve essere restituito con il piego al mittente compiuti inutilmente dieci giorni dal deposito, con la conseguenza che, ove l’avviso di ricevimento non contenga precisa menzione delle descritte operazioni e, in particolare, l’attestazione circa la sussistenza dell’uno e dell’altro di tali presupposti di legge indefettibilmente necessari perchè l’atto possa raggiungere il suo scopo, e quindi anche della mancanza o dell’assenza delle persone abilitate a ricevere il piego e in difetto di dimostrazione dell’attività svolta dall’ufficiale postale offerta aliunde dal notificante, la notifica è radicalmente nulla (v., ex multis, Cass., 10998/2011; Cass. 2008/25031).

8. Nella specie, l’avviso di ricevimento in atti reca l’indicazione del deposito dell’atto giudiziario spedito con raccomandata, l’attestazione della temporanea assenza del destinatario e l’avvenuta immissione dell’avviso in cassetta corrispondente dello stabile in indirizzo, con firma dell’agente postale che ha eseguito la consegna ed indicazione della data.

9. L’Ufficiale postale ha, pertanto, constatato l’impossibilità di consegna del plico "per temporanea assenza del destinatario" in luogo che il predetto Ufficiale ha constatato essere effettivamente di pertinenza del S., tanto da rinvenirvi la cassetta di corrispondenza ove ha immesso il relativo avviso.

10. La sentenza della Corte territoriale non è suscettibile di cassazione perchè, nel suo nucleo essenziale, ha dato atto della ritualità della notificazione per compiuta giacenza sul rilievo assorbente della corrispondenza del luogo della notificazione dell’atto (in Via (OMISSIS)) con quello del domicilio di S., dando altresì atto che mai quest’ultimo ha peraltro contestato, in giudizio, l’ubicazione del domicilio come accertata dall’Ufficiale postale.

11. La motivazione della sentenza impugnata va, tuttavia, corretta ed integrata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, nella parte in cui i Giudici del gravame, nell’iter argomentativo, hanno preteso desumere, in via presuntiva, l’operato dell’ufficiale postale ("si può senz’altro ritenere che l’ufficiale giudiziario ha riscontrato che a quell’indirizzo il S. non era affatto sconosciuto, riscontrandone il nome nella cassetta postale…"), anzichè riconnettere direttamente la ritualità del procedimento notificatorio al compimento, da parte dell’ufficiale postale, delle formalità prescritte dalla L. n. 890 del 1982 con menzione, sulla busta contenente l’atto notificando, dei motivi per i quali non è stato eseguito il recapito del piego (assenza temporanea), e alle attestazioni, da parte dell’ufficio depositario, relative alla restituzione del plico alla scadenza del termine di legge (dieci giorni).

12. Quanto agli ulteriori profili di censura, va rilevata l’inammissibile devoluzione a questa Corte di doglianze di violazione di legge con riferimento ad attestazioni dell’ufficiale postale ritenute non sorrette da riscontro probatorio e dichiarata assorbita, in considerazione del rigetto dell’anzidetta doglianza sull’irritualità della notificazione a S., la censura imperniata sulla caducazione del contraddittorio nei confronti della B..

13. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 2730, 2909, 2082, 2555, 38 c.c. in relazione all’art. 1957 c.c., comma 1, degli artt. 2094, e 2697 c.c. degli artt.115 e 166 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3) e omessa, contraddittoria insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. I ricorrenti si dolgono che la Corte di merito abbia statuito sulla condanna in solido di S. e B., senza che la G. avesse svolto specifico motivo di gravame avverso la sentenza di prime cure che aveva condannato l’Associazione Victoria School, in persona dei legali rappresentanti pro-tempore, così violando le norme sul giudicato per non aver l’appellante impugnato la sentenza che condannava comunque l’Associazione, ancorchè in solido con S. e B., in quanto legali rappresentanti, associazione peraltro non evocata nel giudizio di appello. Per il resto, censurano la decisione per aver omesso di pronunciare sulle specifiche censure in ordine alla mancanza di prove di un rapporto contrattuale a qualunque titolo, tanto meno di subordinazione, con la S..

14. Alla stregua delle molteplici censure di violazione di legge siccome devolute dai ricorrenti, va preliminarmente rilevato che l’enunciazione dell’error in procedendo nel quale, come si evince dall’illustrazione del complesso motivo, i ricorrente riterrebbero incorsa la Corte territoriale per aver "accolto la nuova prospettazione della G. senza specifico motivo di appello e condannato puramente e semplicemente S. e B. in proprio", non è sorretta da adeguata censura avverso la sentenza del Giudice del gravame.

15. Invero, il difetto di attività del giudice di secondo grado deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale, ex art. 360 c.p.c., n. 3, o del vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione della disposizione del codice di rito in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello.

16. Inoltre, in ipotesi di denuncia di un error in procedendo, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, cosicchè il ricorrente è tenuto, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale, non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza a quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione da lui prospettata (cfr, ex plurimis, Cass. 21621/2007).

17. Coerentemente, laddove, come nel caso di specie, l’error in procedendo denunciato inerisca alla falsa applicazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, l’autosufficienza del ricorso per cassazione impone che, nel ricorso stesso, siano esattamente riportati sia i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa e stata dedotta in giudizio, sia quelli del ricorso d’appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate.

18. Nella specie, se pur tali oneri sono stati ottemperati, l’inadeguata devoluzione alla Corte di legittimità del difetto di attività del Giudice del gravame rende inammissibile tale profilo della doglianza.

19. Tanto premesso, osserva il Collegio che la statuizione di condanna del primo giudice nei confronti dell’Associazione Victoria School, in persona del legale rappresentante pro-tempore, è passata in giudicato nei confronti della predetta associazione che nè ha interposto appello, nè è stata evocata nel giudizio di gravame proposto dalla lavoratrice e da S. e B..

20. Il vincolo solidale nell’adempimento dell’obbligazione, invocato dai ricorrenti sul presupposto che il giudicato formatosi nei confronti della predetta Associazione abbia, altresì, travolto la statuizione di condanna nei loro confronti, non incide, invero, sull’autonomia e indipendenza dei rapporti sostanziali tra il creditore e ciascun coobbligato (l’Associazione Victoria School, S. e B.).

21. Ed invero la mancata impugnazione da parte di uno dei debitori solidali, soccombenti in un rapporto obbligatorio scindibile, qual è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza solo nei suoi confronti, e ciò ancorchè altri condebitori solidali l’abbiano impugnata e ne abbiano ottenuto l’annullamento o la riforma (ex multis, Cass. 2009/16390; Cass. 1779/2007).

22. Pertanto, non solo il giudicato nei confronti dell’Associazione non ha travolto la statuizione di condanna nei confronti di S. e B., attesa la scindibilità della causa tra coobbligati solidali, ma neanche è consentito ai coobbligati che abbiano proposto il gravame giovarsi del giudicato formatosi inter alios, così come, del resto, l’eventuale riforma della statuizione di condanna nei confronti di S. e B. non infirmerebbe in alcun modo il giudicato nei confronti dell’Associazione.

23. Nè, peraltro, sussiste l’interesse degli attuali ricorrenti a dolersi, in questa sede di legittimità, della non integrità del contraddittorio nel giudizio di gravame.

24. Passando, infine, all’esame dei pretesi vizi di motivazione che, secondo i ricorrenti, inficerebbero la sentenza impugnata, vale rilevare che: -) il difetto di motivazione, nel senso d’insufficienza di essa, può riscontrarsi soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice e quale risulta dalla sentenza stessa emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l’obiettiva deficienza, nel complesso di essa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; -) il vizio di motivazione sussiste unicamente quando le motivazioni del giudice non consentano di ripercorrere l’iter logico da questi seguito o esibiscano al loro interno non insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l’esame di punti decisivi della controversia; -) infine, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.

25. Nella specie, i ricorrenti, si dolgono dell’iter argomentativo con cui la Corte di merito è pervenuta, dapprima, alla conclusione della legittimazione passiva dei ricorrenti, diretta ed esclusiva, e quindi alla sussistenza del vincolo di subordinazione tra i ricorrenti e la G., riproponendo le tesi difensive e le risultanze istruttorie acquisite in giudizio, senza tuttavia offrire e segnalare, al vaglio di questa Corte di legittimità, i passaggi motivazionali dei quali si assume l’inadeguatezza.

26. Risulta così precluso, al Collegio, l’esame dell’insufficienza e illogicità della motivazione della corte territoriale.

27. In definitiva, il ricorso va rigettato. Nulla deve disporsi per le spese non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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