T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 24-10-2011, n. 1459 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente impugna la d.i.a. del 15. 10. 2008 e la relativa variante in corso d’opera del 6. 8. 2009 presentate dalle controinteressate G. e F., proprietarie di un immobile antistante quello del ricorrente, la cui (asserita) sopraelevazione – ottenuta mediante il recupero di un sottotetto e la realizzazione di un nuovo tetto a quattro falde anziché a due assentiti dalla d.i.a. impugnata – toglierebbe al ricorrente la vista della vallata.

Nel ricorso è esposto un unico motivo, sia pure composito, in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione degli artt. 63 e 64 l.r. 12/05, in quanto: 1) sarebbe stato violato il rapporto massimo di copertura previsto dallo strumento di piano; 2) sarebbe stata violata l’altezza massima prevista dallo strumenti di piano; 3) sarebbe stata violata la prescrizione di piano che escludeva la possibilità di realizzare più di due piani nella zona in esame (l’edificio ne aveva già due, e quindi non ne poteva realizzare altri).

Nel ricorso era formulata altresì istanza di condanna all’abbattimento delle opere abusive e (nei confronti delle sole controinteressate, e non del Comune) istanza di risarcimento del danno subito, che la difesa si riservava di quantificare in corso di giudizio.

Si costituivano in giudizio le controinteressate G. e F., che deducevano l’inammissibilità del ricorso (per essere stato impugnato non un provvedimento, ma un atto di privato), e comunque l’infondatezza dei relativi motivi.

Nessuno si costituiva per il Comune di Piazza Brembana.

Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza del 17. 12. 2009, n. 797 il Tribunale respingeva l’istanza, rilevando che la costruzione era stata ormai realizzata e che le questioni poste potevano a quel punto essere affrontate nel merito.

Con ordinanza nel merito del 21. 3. 2011 n. 451 il Tribunale disponeva istruttoria affidando verificazione al responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Bergamo, che il 23. 6. 2011 depositava la relazione.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 12. 10. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

I. Sull’eccezione di inammissibilità del ricorso presentata dai controinteressati (sarebbe stata impugnata una d.i.a., che è atto di un privato, e non della pubblica amministrazione), va detto preliminarmente che alla fattispecie non è applicabile ratione temporis il recentissimo art. 19, co. 6 ter, l. 241/90 che vieta l’impugnazione diretta della d.i.a..

In ordine alla situazione normativa vigente alla data in cui fu proposto il ricorso, va detto che, in mancanza di norme espresse, era ancora molto discusso in giurisprudenza quale fosse lo strumento tecnico che doveva azionare il terzo confinante che si ritenesse leso dall’attività edilizia svolta in d.i.a.. La questione è stata risolta dalla recente Adunanza plenaria 29 luglio 2011, n. 15, che ha ritenuto che dal sistema fosse ricavabile sia la possibilità di poter proporre azione costituiva di annullamento del provvedimento inibitorio implicito di segno negativo (oltre che una neoistituita azione di condanna all’emanazione di tale provvedimento inibitorio), sia la possibilità di proporre azione di accertamento negativo dell’esistenza dei presupposti legittimanti l’edificazione.

La frammentazione giurisprudenziale esistente all’epoca della proposizione del ricorso ha indotto la parte a proporre sì azione costitutiva di annullamento, ma contro la stessa d.i.a., e non contro il provvedimento inibitorio implicito di segno negativo (come vorrebbe la Adunanza plenaria 15/11). La tesi del ricorrente era peraltro ammessa nella giurisprudenza antecedente l’adunanza plenaria.

L’art. 32, co. 2, c.p.a. dispone comunque che "il giudice qualifica l’azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali. Sussistendone i presupposti il giudice può sempre disporre la conversione delle azioni".

Nel caso in esame, sussistono gli estremi per disporre la conversione dell’azione costitutiva di annullamento nell’azione di accertamento negativo, posto che essa contiene al suo interno l’accertamento negativo, cui aggiunge un quid pluris costituito dalla domanda costitutiva di annullamento della d.i.a..

L’eccezione di inammissibilità, pertanto, deve essere respinta.

II. Nel merito, il ricorrente sostiene che con l’attività edilizia svolta dai controinteressati:

1) sarebbe stato violato il rapporto massimo di copertura previsto dallo strumento di piano;

2) sarebbe stata violata l’altezza massima prevista dallo strumenti di piano;

3) sarebbe stata violata la prescrizione di piano che escludeva la possibilità di realizzare più di due piani nella zona in esame (l’edificio ne aveva già due, e quindi non ne poteva realizzare altri).

In realtà, nella regione Lombardia il recupero dei sottotetti è ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale vigenti ed adottati (ad eccezione del reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali secondo quanto disposto dal comma 3; art. 64, co. 2, l.r. 12/05) purché nei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico (art. 64, co. 1, l.r. 12/05).

Ne consegue che non rileva né che sia stato violato il rapporto di copertura (che è derogabile dall’intervento di ristrutturazione di un sottotetto), né che sia stato violato il numero di piani urbanisticamente ammissibili (che è derogabile anch’esso dall’intervento di ristrutturazione di un sottotetto).L’edificazione dei sottotetti può andare, infatti, in deroga agli strumenti di piano.

E’ rilevante invece la censura sull’altezza massima di zona, in quanto l’altezza massima di zona non può essere superata neanche dalla ristrutturazione dei sottotetti realizzata in forza della norma di favore dell’art. 64 l.r. 12/05, in quanto tale norma impone comunque il rispetto dei limiti di altezza massima di zona.

Sulla questione dell’altezza massima occorre pertanto concentrarsi, e ad essa viene dedicato il paragrafo successivo.

III. In punto di rispetto dell’altezza massima di zona, va detto che già prima del recupero del sottotetto oggetto di censura l’edificio delle controinteressate superava i limiti di altezza massima di zona, fatto possibile in quanto la sua edificazione originaria era piuttosto risalente. L’altezza massima di piano era m. 7.50; l’altezza dell’edificio prima dell’intervento era già m. 9.95.

In questo contesto il recupero del sottotetto poteva essere considerato ammissibile soltanto a condizione che l’intervento non alzasse neanche di un centimetro l’altezza massima dell’edificio, perché anche un centimetro in più era già oltre i limiti massimi di altezza della zona urbanistica in cui è collocato l’edificio.

Ed, infatti, coerentemente a tale assunto, le controinteressate hanno sostenuto, sia nel procedimento davanti al Comune che nel corso del giudizio, che non vi è stata alcuna sopraelevazione dell’edificio, che avrebbe mantenuto le stesse identiche altezze.

Il punto era contestato in giudizio. Per accertarlo, il Tribunale ha disposto istruttoria tecnica tramite verificazione per accertare se il recupero del sottotetto abbia comportato innalzamenti dell’altezza massima del fabbricato.

Il verificatore ha concluso che:

– l’altezza fisica non è mutata;

– per effetto però della circostanza che attraverso l’intervento è stato reso abitabile il sottotetto, peraltro, è cambiato il criterio di misurazione dell’altezza previsto dalle norme di piano;

– l’art. 14 delle n.t.a. del p.r.g., prevede infatti che l’altezza sia misurata tra il piano di spiccato e la quota più alta fra le seguenti: 1) intradosso della gronda alla radice esterna del tetto; 2) intradosso del solaio di copertura dell’ultimo piano abitabile";

– il verificatore riferisce che, prima dell’intervento edilizio oggetto di giudizio, la radice di gronda era più alta rispetto al solaio dell’ultimo piano abitabile, e quindi in base all’art. 14 l’altezza dell’edificio andava calcolata con riferimento alla radice di gronda;

– ma dopo l’intervento che ha reso abitabile il sottotetto, l’intradosso del solaio di copertura dell’ultimo piano abitabile è divenuto più alto della radice di gronda, e quindi in base all’art. 14 è con riferimento a tale intradosso del solaio che va adesso calcolata l’altezza dell’edificio; – considerando questi criteri normativi di calcolo dell’altezza, il verificatore conclude che l’altezza massima sarebbe stata rialzata di circa m. 1.15 (da m. 9.95 a m. 11.10).

Queste considerazioni sono decisive e vengono fatte proprie dal Tribunale, perché condotte in base a ragionamento correttamente sviluppato sul piano logicogiuridico.

Non si può attribuire rilievo invece:

– alle osservazioni dello stesso verificatore che ritiene che "interpretando un pò lo spirito della legge regionale, potrebbero forse esserci le condizioni per non far scattare l’obbligo di una nuova misurazione dell’altezza massima dell’edificio", posto che – prima di preoccuparsi dello spirito della legge (che è sempre suscettibile di essere frainteso) -, ci si deve occupare della lettera della norma che prevede chiaramente che sia rispettata l’altezza massima di zona;

– alle osservazioni sviluppate dalla difesa delle controinteressate nella memoria conclusiva, in cui si sostiene che non andrebbe cambiato il metodo di calcolo dell’altezza, attribuendo rilievo anche al piano sottotetto, perché la l.r. 12/05 prevede che il recupero dei sottotetti non costituisca aumento del numero di piani,

– questa obiezione non coglie nel segno perché in quanto ciò che si censura all’intervento edilizio delle controinteressate non è che sia stato aumento il numero di piani (si è detto che in ricorso vi era una contestazione del ricorrente sul punto, ma è stata superata senza neanche disporre istruttoria proprio perché la normativa sui sottotetti può andare in deroga al numero dei piani), ma che sia stata aumentata l’altezza, e l’altezza va comunque calcolata in base alle norme di piano, che nel caso in esame attribuiscono rilievo all’ultimo piano abitabile.

IV. Detto dell’azione principale, occorre passare alle ulteriori richieste del ricorrente. Il ricorrente esperisce, infatti, inoltre:

– azione di condanna all’abbattimento delle opere;

– azione di condanna al risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente cagionato dall’abuso.

IV. i. In presenza di un diritto soggettivo leso (nella specie, il diritto di proprietà), entrambe le azioni sono astrattamente ammissibili, posto che:

– "il proprietario di un immobile, ove ritenga che l’attività materiale di un terzo… abbia arrecato danni ingiusti alla sua proprietà, può agire, nei confronti di quello, sia per il ristoro del suo patrimonio, ai sensi dell’art. 2043 c.c., sia per il ripristino dello stato dei luoghi, giacché, in tal caso, la reintegra in forma specifica costituisce il rimedio idoneo per eliminare le conseguenze dannose del fatto illecito del terzo ai sensi dell’art. 2058, comma 1, c.c.." (Cass. civ., III, 16118/2009).

– l’abbattimento delle opere è, pertanto, una misura di reintegrazione in forma specifica che trova il proprio fondamento nella clausola generale dell’art. 2058 c.c.;

– il risarcimento del danno per equivalente derivante da illecito extracontrattuale trova, invece, il proprio fondamento nella norma generale dell’art. 2043 c.c.

IV. ii. Entrambe le azioni proposte dal ricorrente appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo in quanto:

– la giurisdizione del g.a. sull’azione di condanna all’abbattimento delle opere si ricava dall’art. 133, co. 1. lett. f), c.p.a. e dall’art. 133, co. 1, lett. a), n. 3, c.p.a.;

– la giurisdizione del g.a. sull’azione di condanna al risarcimento del danno per lesione di diritti soggettivi in materia edilizia si ricava dall’art. 30, co. 6, c.p.a., trattandosi di materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del g.a..

IV. iii. L’azione di condanna all’abbattimento delle opere è inoltre ammessa nel sistema del processo amministrativo, in quanto:

– la compatibilità di tale azione con gli schemi del processo amministrativo si desume anzitutto dall’art. 30, co. 1, c.p.a., da cui emerge che l’azione di condanna ad oggetto diverso dal risarcimento del danno è ammessa nel processo amministrativo quando essa è accessoria ad azione costitutiva di annullamento su cui ha giurisdizione il g.a., oppure in ogni caso quando il g.a. ha giurisdizione esclusiva (e, nel caso in esame, sussistono entrambi i presupposti perché l’azione di condanna all’abbattimento è accessoria ad azione appartenente alla giurisdizione del g.a., e perché comunque sulla d.i.a. edilizia vi è giurisdizione esclusiva del g.a. ex art. 133, co. 1, lett. f), c.p.a. e comunque anche ex art. 133, co. 1, lett. a), n. 3) c.p.a.);

– la compatibilità di tale azione con gli schemi del processo amministrativo si desume inoltre dall’art. 34 co. 1, lett. c), secondo periodo, c.p.a., in cui si stabilisce che il giudice "condanna all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c.".

D’altronde, attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo da un lato, ma negargli i poteri per garantire in modo pieno la tutela dei diritti civili dall’altro, renderebbe le norme sulla giurisdizione esclusiva del codice del processo amministrativo incompatibili con l’art. 24 della Cost..

IV. iv. Posto dunque che entrambe le azioni sono ammissibili, che su di essa vi è giurisdizione del giudice amministrativo, e che si chiede l’attivazione di poteri di cui il g.a. dispone, si deve passare ad esaminarle nel merito.

In ordine all’azione di condanna all’abbattimento delle opere, presupposto sufficiente della sua fondatezza sono:

– l’interesse a ricorrere per ottenere la condanna all’abbattimento, interesse che però non è diverso dall’interesse a ricorrere contro l’annullamento del provvedimento impugnato, ed è espresso dalla circostanza che la realizzazione abusiva del sottotetto ha parzialmente ridotto la vista della vallata alla proprietà del ricorrente con la connessa diminuzione di valore della proprietà;

– l’esistenza di un danno da reintegrare in forma specifica, che in caso di lesione al diritto di proprietà derivante da edificazione abusiva consiste ne "l’asservimento di fatto dell’edificio… a una situazione di temporanea soggezione limitante la fruibilità e il valore del bene, destinata a cessare soltanto con l’esecuzione della condanna all’arretramento" (Cass. civ. 7483/11, la fattispecie era in punto di violazione delle distanze), e che specificamente nel caso in esame consiste nell’essersi visto parzialmente ridurre il cono visivo con la conseguente diminuzione di valore della proprietà di cui si è detto;

– la constatazione dell’abusività delle opere, che è l’elemento costitutivo dell’illecito.

Ciascuno di questi requisiti è stato provato nel giudizio in esame (sull’abusività ci si è dilungati nel paragrafo precedente; su interesse e danno costituiscono prova sufficiente le fotografie versate in atti), talchè si può accedere a pronunciare la condanna all’abbattimento di ciò che è stato realizzato in forza del titolo oggetto di contenzioso, in quanto misura idonea a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio come risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c., secondo la formula dell’art. 34 c.p.a.

IV. v. Residua ancora, peraltro, una marginale voce di danno da risarcire per equivalente, in quanto se l’abbattimento realizza l’interesse del ricorrente in forma specifica, va aggiunto che però per garantire nel modo più pieno la tutela dei diritti civili, deve essere risarcita anche la lesione temporanea al diritto soggettivo di proprietà che si è consumata tra l’ottobre del 2009 (data dell’edificazione) e la data della presente sentenza (cui consegue l’abbattimento di quanto edificato), lesione temporanea che naturalmente può essere ormai risarcita soltanto per equivalente.

Nella difficoltà di quantificare per equivalente tale pregiudizio al diritto di proprietà (difficoltà accresciuta dalla circostanza che la difesa del ricorrente ha formulato la domanda di danni, ma non l’ha corredata di tabelle o consulenze tecniche che possano aiutare nella quantificazione) (in caso analogo di violazione delle distanze, la Cass. civ., II, 7483/11 ha comunque parlato di "obiettiva e palese difficoltà di quantificazione economica del pregiudizio subito") si deve ricorrere, come suggerito dalla stessa pronuncia alla valutazione equitativa del danno.

Nel caso in esame, caratterizzato da un manufatto abusivo rimasto sul territorio per circa due anni e dell’innalzamento dell’altezza limitato in concreto a poco più di 1 metro, si ritiene che la stima del danno temporaneo possa essere contenuta in euro 3.000, oltre interessi legali dalla data della domanda (che è il 12. 11. 2009).

V. Le spese seguono la soccombenza sulla domanda principale e vengono liquidate come da dispositivo.

A Comune e controinteressate in solido tra loro sono addossate anche le spese della verificazione, liquidate in euro 1.535 (oltre iva e cassa, qualora previste).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE il ricorso, e, per l’effetto, accerta la inesistenza delle condizioni per l’edificazione descritte nella d.i.a. del 15. 10. 2008 e 6. 8. 2009, condanna le controinteressate all’abbattimento delle opere edilizie private di titolo, ed al risarcimento del danno nei confronti del ricorrente quantificato in euro 3.000, oltre interessi legali decorrenti dal 12. 11. 2009.

CONDANNA il Comune di Piazza Brembana e le controinteressate, in solido tra loro, al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite, che determina in euro 3.000, oltre i.v.a. e c.p.a..

CONDANNA il Comune di Piazza Brembana e le controinteressate in solido tra loro al pagamento delle spese di verificazione che quantifica in euro 1.535 (oltre iva e cassa, qualora previste).

ORDINA che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

SI COMUNICHI anche al verificatore.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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