Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-02-2012, n. 2423 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’1 dicembre 2009 la Corte d’Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Catania del 20 gennaio 2004, ha condannato la ST. Microeletronics s.r.l. al pagamento in favore di M.S. della somma di Euro 45.191,89 a titolo di risarcimento del danno relativo al licenziamento intimatogli in data 30 settembre 1992 e dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato.

La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando che le mansioni a cui il M. è stato adibito successivamente al provvedimento di reintegra sono state inferiori a quelle espletate in epoca precedente al licenziamento, per stessa ammissione del datore di lavoro, e che non si è in presenza di un’acquiescenza da parte del lavoratore, e che il danno patito dal lavoratore è stato correttamente calcolato dal consulente tecnico contabile d’ufficio, comparando le buste paga relative al periodo anteriore al licenziamento con quelle relative al periodo successivo alla reintegra, con il correttivo costituito dalla considerazione dei compensi medi percepiti con esclusione dei periodi di ferie e di documentata malattia.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la ST. Microelectronics s.r.l. articolato su due motivi.

Resiste con controricorso il M..

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 1223, 1225, 1226 e 1227 cod. civ., della L. n. 300 del 1970, art. 18 nonchè omessa e insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare si deduce che, nel calcolo del risarcimento del danno, sarebbero stati considerati illegittimamente compensi ed indennità strettamente collegati all’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa, ed emolumenti eventuali, occasionali e di fatto non rientranti nel concetto di retribuzione globale di fatto. Inoltre non sarebbe stato tenuto conto che il danno da demansionamento non è in re ipsa ma deve essere provato dal lavoratore che, nel caso in esame, non vi avrebbe provveduto.

Con secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 1227 cod. civ. e omessa motivazione su fatti controversi e decisivi del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 con riferimento all’acquiescenza dimostrata dal lavoratore allo svolgimento delle mansioni inferiori dedotte, stante il lungo periodo di tempo trascorso prima di azionare la propria pretesa.

Il primo motivo è infondato. Correttamente il danno subito dal lavoratore è stato calcolato sulla base del raffronto obiettivo fra la retribuzione antecedente al licenziamento e quella successiva. Nel caso in esame, infatti, non è in questione la retribuzione fissa ai fini del calcolo di particolari istituti, ma è in questione il calcolo del danno subito dal lavoratore a seguito dello svolgimento di mansioni inferiori retribuite corrispondentemente con un compenso inferiore, per cui è legittimo e logico il raffronto fra le retribuzioni percepite indipendentemente dalla natura delle retribuzioni stesse, salva l’esclusione dei compensi collegati all’effettivo svolgimento delle mansioni, circostanza, questa, di fatto ed il cui accertamento è riservato al giudice del merito, il cui relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità. A tale riguardo questa Corte ha affermato che, in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell’art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico – giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (per tutte Cass. 26 febbraio 2009 n. 4652).

Anche il secondo motivo è infondato. La Corte territoriale ha ritenuto provata l’adibizione del lavoratore, dopo la reintegra, a mansioni inferiori rispetto a quelle a cui era adibito in epoca precedente al licenziamento. La Corte, riprendendo la motivazione della sentenza di primo grado, ha descritto i due tipi di mansioni ricavandone il giudizio di demansionamento con argomentazione logica sulla base di circostanze di fatto, sulla base dell’allegazione del ricorrente, e non rivisitagli in sede di legittimità.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 50,00 oltre ad Euro 3.000,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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