Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 27-05-2011) 29-09-2011, n. 35401 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Cagliari, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava M.M. colpevole del reato di cui all’art. 589 c.p., commi 1 e 2, per aver cagionato per colpa la morte di P. M., E.D. e S.M. e concesse al medesimo le attenuanti generiche e con la diminuzione del rito lo condannava alla pena di un anno di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili. La Corte di appello confermava la sentenza.

In fatto era stato accertato che verso le ore 16,45 del 30.11.2002, lungo la strada provinciale n. (OMISSIS), in un tratto di strada rettilineo con unica carreggiata a doppio senso di circolazione, con traffico scarso e cielo sereno, si era verificato lo scontro frontale tra l’Alfa Romeo 166 condotta dal M. e la Lancia Y condotta da P.M. con a bordo E.D. e S.M., tutti deceduti a seguito delle gravi lesioni riportate; era stato altresì pacificamente accertato che l’incidente era stato causato da una improvvisa invasione della corsia opposta da parte della Lancia Y, che, per cause imprecisate si era immessa per intero nella corsia dalla quale proveniva il M.; sulla strada vi era il limite di 90 km/h, mentre si accertava che M. procedeva alla velocità di 146 km/h e P. a quella di 123 km/h;

secondo il consulente del pubblico ministero l’incidente si era verificato sia per la condotta di guida del P. che aveva invaso la opposta corsia e, dopo aver percorso circa 34 metri nel tempo psicotecnico di reazione, aveva cercato di rientrare verso la propria destra, ma percorsi appena 8 metri, si era scontrato frontalmente con il veicolo del M.; sia per la elevata velocità tenuta dalle due autovetture; a tale proposito rilevava il consulente che, ipotizzando che l’incidente si fosse verificato ad una velocità delle stesse di 90 km/h, la collisione tra le due auto si sarebbe ugualmente verificata con conseguenze ovviamente meno gravi per le persone coinvolte, sulla cui entità non era comunque possibile effettuare una previsione.

Il giudice di primo grado riteneva che per effettuare il giudizio controfattuale volto a verificare quale sarebbe stata l’evoluzione della vicenda se il M. avesse osservato il limite di velocità, doveva farsi riferimento alla situazione storica effettivamente verificatasi; l’auto del M. andava arretrata dal punto di urto tenendo conto della velocità da costui effettivamente tenuta e da tale posizione doveva verificarsi se, qualora egli avesse tenuto una velocità inferiore, come prescritto, l’incidente si sarebbe o meno verificato; concludendo che non si sarebbe verificato perchè se M. avesse tenuto la prescritta velocità, sensibilmente inferiore a quella effettivamente tenuta, nel momento in cui il P. era arrivato al punto d’urto, M. si sarebbe trovato sensibilmente più indietro e quindi P. avrebbe avuto tempo per completare la manovra di rientro nella propria corsia.

La Corte di appello ribadiva che per effettuare il giudizio controfattuale occorreva partire dai dati fattuali dell’evento storico verificatosi partendo dal momento in cui i due conducenti avevano avvertito la situazione di pericolo; infatti è da tale momento che una ipotetica condotta di guida rispettosa dei limiti di velocità deve essere pretesa e deve essere valutata per verificare se avrebbe consentito di evitare il sinistro.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di M.M.. Con un primo motivo sostiene la violazione degli artt. 42 e 43 c.p. in relazione all’art. 192 c.p.;

sostiene che il giudizio controfattuale è stato fatto erroneamente, prendendo a riferimento, nella fase di arretramento dal punto d’urto, il comportamento effettivo dell’imputato e non quello che avrebbe dovuto tenere; il giudizio avrebbe invece dovuto essere condotto considerando una condotta dell’imputato rispettosa della norma cautelare mantenuta in ogni momento dell’artificiale ricostruzione e non solo in una fase. Contesta poi, con il secondo motivo, la correttezza della valutazione operata dalla Corte di appello secondo la quale il M. avrebbe dovuto effettuare una deviazione verso destra.

Motivi della decisione

1. Sostiene il ricorrente che, nell’effettuare il giudizio controfattuale, l’auto condotta dall’imputato è stata collocata in posizione errata in quanto l’arretramento dal punto d’urto dei due veicoli antagonisti è stato effettuato considerando la velocità effettivamente tenuta da M. (146 km/h); invece anche tale fase dell’esame controfattuale andava effettuata in base alla velocità che avrebbe dovuto tenere secondo il comportamento alternativo lecito, quella di 90 km/h; ne sarebbe derivato che M. si sarebbe trovato molto più vicino al punto in cui si è verificato il sinistro. La tesi non merita accoglimento avendo i giudici di merito effettuato correttamente il giudizio controfattuale.

Come ha osservato la Corte di appello, l’addebito colposo a carico dell’imputato è costituito dalla velocità eccessiva; si tratta dunque di verificare se, in presenza di un comportamento certamente caratterizzato da colpa, quale quello tenuto nel caso concreto dal conducente della Lancia Y, una condotta di guida appropriata da parte del M., ossia l’ipotizzato comportamento alternativo lecito, avrebbe consentito di evitare la collisione, ovvero se questa si sarebbe verificata con effetti meno gravi.

Primo punto fermo che deriva da tale corretto ragionamento è che il comportamento del conducente della Y10 è un dato fattuale che non può essere modificato; altro sicuro punto fermo è il comportamento del M. almeno fino a che non si è verificato lo scontro, atteso che tale comportamento costituisce un altro dato storico ineliminabile, sia pure nella ricostruzione che ne ha fatto il processo, nella valutazione della fattispecie.

Occorre dunque partire, come effettivamente ha fatto la sentenza impugnata, dalla situazione reale dei due automobilisti che percorrevano in senso opposto un breve rettilineo, entrambi procedendo alle anzidette, eccessive, velocità, fino a che la Lancia invadeva la corsia dell’Alfa, per riprendere poi, con una virata, la propria posizione; in quel momento, come risulta dalla sentenza impugnata e non è contestato, le due auto si trovavano a una distanza di 90 metri tra loro e precisamente l’Alfa era a 50 metri e la Lancia a 40 metri dal punto d’urto. Solo in questo momento è sorta la situazione di pericolo e solo da questo momento storico, che non può essere modificato nel senso voluto dal ricorrente, occorre verificare se il comportamento alternativo lecito (la velocità inferiore, contenuta nei limiti stabiliti di 90 km/h) avrebbe consentito di evitare l’evento. Sarebbe dunque improprio apprezzare la situazione ipotizzando una velocità delle due autovetture di 90 km/h essendo del tutto evidente che l’incidente avrebbe avuto caratteristiche del tutto diverse, o anche ipotizzare una velocità di M. di 90 km/h, perchè anche in questo caso l’incidente non si sarebbe verificato. E difatti non è questo il percorso seguito dalla sentenza impugnata che ha correttamente preso le mosse dal punto d’urto ed ha arretrato da tale punto d’urto M. secondo la velocità da lui tenuta, giungendo così ad individuare il punto in cui egli effettivamente si trovava; solo una volta ricostruita in tal modo la reale situazione di fatto, si è potuti procedere al giudizio controfattuale da effettuare, questa volta sì secondo la regola da rispettare (90 km/h).

Neppure appaiono fondati i rilievi mossi con il secondo motivo. Il ricorrente sostiene che sarebbe illogico aver ritenuto che M. avrebbe dovuto sterzare verso la sua destra e non verso sinistra, rilevando che in tal modo l’auto avrebbe dovuto indirizzarsi fuori della carreggiata, ma trascura di considerare che la Corte di appello ha ritenuto necessario quel comportamento avendo osservato, con valutazione fattuale incensurabile in questa sede, che in quel momento il conducente della Lancia aveva già tentato, deviando verso la propria destra di rientrare nella corsia di pertinenza.

2. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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