Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 26-05-2011) 29-09-2011, n. 35421 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 9 dicembre 2009 la Corte di appello di Lecce respingeva la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da G.M. in relazione alla custodia cautelare dal medesimo subita agli arresti domiciliari dal 27.11 al 31.12.1999, perchè indiziato di peculato e falso in atto pubblico aggravato, accuse da cui veniva prosciolto dalla Corte di Cassazione previo annullamento senza rinvio della decisione di condanna della Corte di appello di Lecce.

La Corte della riparazione riteneva che il G. avesse dato causa alla detenzione per colpa grave; il ricorrente, all’epoca vicebrigadiere dell’Arma dei Carabinieri in servizio a Brindisi, aveva ammesso i fatti storici a lui contestati ricordando di aver collaborato con il capitano G.E., suo diretto superiore, nell’operazione durante la quale lo stesso, a fronte di 50 casse di sigarette rinvenute in località Iaddico, ne aveva sequestrate soltanto 33, lasciando le altre nella disponibilità dei contrabbandieri ed omettendo di arrestarli; e ammetteva di aver sottoscritto il verbale di sequestro redatto e firmato dal capitano G. in cui erano attestate false circostanze sulle modalità di svolgimento del sequestro, sul numero di casse di sigarette ritrovate, sulle persone presenti e non arrestate; tale comportamento – osservava il giudice della riparazione – costituiva condotta imprudente ed azzardata anche e tanto più se il verbale in questione, contenente attestazione di fatti diversi dal vero, era stato sottoscritto dal G. senza leggerlo.

2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore di fiducia; deduce violazione di legge, mancanza e illogicità della motivazione per aver escluso la riparazione per colpa grave dell’interessato; precisa che dall’imputazione di peculato era stato assolto fin dal primo grado e che per quella di falso in atto pubblico è stata ritenuta applicabile dalla Cassazione una scriminante (quella secondo cui "nemo tenetur se detegere") la cui esistenza era rilevabile dagli inquirenti al momento della adozione della custodia cautelare; quanto al mancato sequestro di parte del carico e al mancato arresto dei contrabbandieri, egli aveva affermato di aver eseguito un ordine, invocando l’applicazione dell’art. 51 cod. pen., ma al riguardo non vi è stata in alcuna sede il dovuto approfondimento, nemmeno da parte del giudice della riparazione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. Ai fini dell’accertamento del requisito soggettivo ostativo al riconoscimento dell’indennizzo in questione, il giudice del merito, investito dell’istanza per l’attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione per l’ingiusta detenzione, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., ha il dovere di verificare se la condotta tenuta dall’istante nel procedimento penale, nel corso del quale si verificò la privazione della libertà personale, quale risulta dagli atti, sia connotabile di dolo o di colpa grave. Il giudice stesso deve, a tal fine, valutare se certi comportamenti riferibili alla condotta cosciente e volontaria del soggetto, possano aver svolto un ruolo almeno sinergico nel trarre in errore l’autorità giudiziaria; ciò che il legislatore ha voluto, invero, è che non sia riconosciuto il diritto alla riparazione a chi, pur ritenuto non colpevole nel processo penale, sia stato arrestato e mantenuto in detenzione per aver tenuto una condotta tale da legittimare il provvedimento dell’autorità inquirente (sez. 4 7.4.99 n. 440, Min. Tesoro in proc. Petrone Ced 197652).

Le sezioni unite di questa Corte (sentenza 13.12.1995 n. 43, Sarnataro rv. 203638) hanno poi ulteriormente precisato che "Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un "iter" logico- motivazionale del tutto autonomo, perchè è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento "detenzione" ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che del tutto evidente, rispondendo ad un principio generale, che), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione". 3. Nella presente fattispecie la motivazione resa dalla Corte di appello circa la sussistenza nel comportamento del G. di colpa grave, ostativa alla riparazione è corretta. G. collaborò con il suo superiore nell’operazione di controllo di cui sopra si è riferito, condotta in maniera infedele, e sottoscrisse un verbale nel quale si dava atto di aver sequestrato un carico inferiore a quello rinvenuto e si ometteva di trarre in arresto alcuni dei contrabbandieri, con un comportamento che all’evidenza, è scorretto e censurabile. Peraltro, la stessa Corte di Cassazione, nella sentenza di assoluzione invocata dal ricorrente, che è motivata sulla ritenuta esistenza (tutt’altro che pacifica nella giurisprudenza della Corte) di una scriminante collegata al principio "nemo tenetur se detegere", riconosce la sostanziale scorrettezza del comportamento posto in essere, ma lo ritiene non punibile appunto perchè il comportamento di corretta annotazione dei fatti e di redazione del verbale sarebbe equivalso ad una auto accusazione. La questione circa l’esistenza di un ordine del proprio superiore, della cui omessa considerazione da parte del giudice della riparazione il ricorrente si lamenta, è manifestamente infondata, dal momento che su tale questione non risulta che, con la richiesta di riparazione, sia stato sollecitato l’approfondimento della cui mancanza ora ci si duole.

4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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