Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 26-05-2011) 29-09-2011, n. 35420

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 14 ottobre 2009 la Corte di appello di Lecce respingeva la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da C.P. in relazione alla custodia cautelare dal medesimo subita, nella forma della detenzione in carcere dal 18.7.2002 al 31.7.2002 e successivamente degli arresti domiciliari fino al 20.6.2003, perchè indiziato di concorso in associazione finalizzata alla importazione, vendita e trasporto di tabacchi lavorati esteri di contrabbando, accusa da cui veniva prosciolto dal Tribunale di Brindisi con sentenza del 18.7.2005.

La Corte di appello riteneva che il C. avesse dato causa alla detenzione per colpa grave; dalla motivazione dell’ordinanza di custodia cautelare emergeva infatti la posizione del C. in stretto legame con il gruppo del coimputato L.G., tanto che dalle intercettazioni di telefonate tra alcuni appartenenti al gruppo mafioso emergeva la preoccupazione per il fatto che C. era stato trovato in possesso di due auto di provenienza furtiva e per ciò denunciato; tale fatto impediva ai conversanti di recarsi proprio quel giorno ad effettuare uno sbarco di tabacco di contrabbando; da un’altra conversazione risultava l’utilizzazione del C. per localizzare delle persone che il gruppo stava cercando e ci si riferiva al medesimo come all’"amico più magro". Si evinceva dunque la partecipazione a comportamenti delittuosi e la non occasionale frequentazione di soggetti coinvolti in traffici illeciti; anche il silenzio da lui serbato nel corso dell’interrogatorio di garanzia aveva contribuito al mantenimento della detenzione, atteso che C. avrebbe potuto in quella sede fornire chiarimenti sul possesso delle auto rubate, sulle sue frequentazioni e sulle conversazioni di cui sopra.

2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore di fiducia; deduce violazione di legge, mancanza e illogicità della motivazione per aver escluso la riparazione per colpa grave dell’istante nonostante la assoluzione intervenuta con formula piena; sostiene che vi è stata una non consentita rivalutazione degli stessi elementi emersi in sede penale e che hanno portato alla sua piena assoluzione; lamenta anche la ingiustificata valorizzazione del silenzio serbato nell’interrogatorio di garanzia che costituisce esercizio del diritto di difesa.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

Ai fini dell’accertamento del requisito soggettivo ostativo al riconoscimento dell’indennizzo in questione, il giudice del merito, investito dell’istanza per l’attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione per l’ingiusta detenzione, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., ha il dovere di verificare se la condotta tenuta dall’istante nel procedimento penale, nel corso del quale si verifico1 la privazione della libertà personale, quale risulta dagli atti, sia connotabile di dolo o di colpa grave. Il giudice stesso deve, a tal fine, valutare se certi comportamenti riferibili alla condotta cosciente e volontaria del soggetto, possano aver svolto un ruolo almeno sinergico nel trarre in errore l’autorità giudiziaria; ciò che il legislatore ha voluto, invero, e1 che non sia riconosciuto il diritto alla riparazione a chi, pur ritenuto non colpevole nel processo penale, sia stato arrestato e mantenuto in detenzione per aver tenuto una condotta tale da legittimare il provvedimento dell’autorità inquirente (sez. 4 7.4.99 n. 440, Min. Tesoro in proc. Petrone Ced 197652). Le sezioni unite di questa Corte (sentenza 13.12.1995 n. 43, Sarnataro rv. 203638) hanno poi ulteriormente precisato che "Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione e1 necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un "iter" logico-motivazionale del tutto autonomo, perche1 è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento "detenzione" ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che del tutto evidente, rispondendo ad un principio generale, che), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione".

Risulta evidente, ed è peraltro pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, che non vi è alcuna preclusione da parte del giudice della riparazione ad avvalersi del materiale probatorio emerso in sede penale e che, essendo le valutazioni dei due giudici ancorate a diversi presupposti, è ben possibile, ed anzi fisiologico, che esse possano portare a conseguenze diverse.

2. Nella specie, la motivazione resa dalla Corte di appello circa la sussistenza nel comportamento del C. di colpa grave, ostativa alla riparazione è corretta. Gli accertati rapporti di C. con soggetti appartenenti a gruppi mafiosi ed in particolare l’episodio della detenzione da parte sua di auto rubate che suscitava la preoccupazione dei predetti soggetti, indicano comportamenti improntati a leggerezza e attitudine a violare le leggi e costituiscono elemento, che, al di là della intervenuta assoluzione dal reato associativo, è indicativo di colpa grave. A ciò si è aggiunto il silenzio tenuto dal medesimo nell’interrogatorio di garanzia, che, come la pacifica giurisprudenza di questa Corte ha chiarito, ben può essere preso in esame, non già di per sè, ma in quanto mancato chiarimento di circostanze utili a meglio comprendere la posizione dell’indagato; e così è stato ritenuto nella specie avendo la Corte di Lecce osservato che in quella sede C. avrebbe potuto fornire spiegazioni sia sul contenuto delle conversazioni intercettate che sul possesso da parte sua di auto rubate.

3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *