Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-05-2011) 29-09-2011, n. 35363 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 23.2.2010 il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria in parziale accoglimento dell’appello del P.M applicava nei confronti di C.M. la misura cautelare della detenzione in carcere con riguardo ai reati di detenzione e porto di armi comuni da sparo (capi C) e D) dell’imputazione).

La misura con riguardo a detti reati al C. era stato revocata dal GIP all’esito dell’interrogatorio di garanzia ritenendo che, all’esito di detto incombente, il quadro indiziario, basato prevalentemente su intercettazioni ambientali, doveva ritenersi mutato.

Avverso la decisione presentava appello il P.M. Il Tribunale di Reggio Calabria.

Il Tribunale del riesame nell’accogliere l’imputazione affermava che le fonti i prova erano rappresentate dalle dichiarazioni della parte offesa B.F. e dal contenuto auto ed etero accusatorio del narrato del C. nel corso di conversazioni ambientali, captate sulla macchina del B..

Il giudice del merito, richiamati i principi di questa Corte in tema di valutazione dei contenuti auto ed etero accusatori delle intercettazioni, osservava che nel caso in esame si parlava di intercettazioni ambientali in cui minori sono le cautele dei conversanti, all’oscuro di essere captati, non interessati ad impedire sia la loro identificazione e a rendere incomprensibile il reale tenore delle conversazioni con allusioni o espressioni criptiche. Sottolineava come i dialoghi intervenuti sulla autovettura del B., chiari ed espliciti nei contenuti, rendevano evidente il convincimento dell’imputato di non essere captato da estranei e quindi di poter parlare del tutto liberamente. Traeva pertanto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza direttamente dalle dichiarazioni auto-accusatorie che non rendevano necessaria la ricerca di ulteriori elementi di specificazione o riscontro.

Sottolineava come il narrato del C. con riguardo al viaggio a Sinopoli, finalizzato alla consegna di una pistola presentava dovizie di particolari che richiamava nel provvedimento.

Ricorre per cassazione personalmente l’imputato deducendo come unico motivo la violazione dell’art. 192 c.p.p.. Lamenta il ricorrente la contraddittorietà dell’ordinanza e la non certezza degli indizi.

Non possono infatti trovare accoglimento i motivi di ricorso sull’asserito cattivo uso, da parte del giudice del merito, del potere di apprezzamento e valutazione del contenuto delle conversazioni intercettate sull’autovettura del B..

Il giudice a quo ha legittimamente ricavato dalle risultanze delle conversazioni intercettate la sussistenza della gravità indiziaria a carico del C. in ordine ai reati di detenzione e porto di armi, di cui ha dato contezza con motivazione logica e coerente.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, le dichiarazioni, captate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria, non trovando applicazione al riguardo gli artt. 62 e 63 cod. proc. pen., giacchè l’ammissione di circostanze indizianti fatta spontaneamente dall’indagato nel corso di una conversazione legittimamente intercettata non sono assimilabili alle dichiarazioni da lui rese dinanzi all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, e le registrazioni e i verbali delle conversazioni non sono riconducibili alle testimonianze "de relato" su dichiarazioni dell’indagato, in quanto integrano la riproduzione fonica o scritta delle dichiarazioni stesse delle quali rendono in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto (cfr Cass Sez. 1, Sentenza n. 36218 del 23/09/2010 Rv.

248290 N. 21878 del 2010 Rv. 247447, N. 34807 del 2010 Rv. 248089) Deve aggiungersi che comunque il ricorso è generico perchè si limita ad una diversa lettura del materiale probatorio non suffragata da specifiche indicazioni in grado di scalfire il coerente argomentare del Tribunale che si fonda sul colloquio intercettato il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *