Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-05-2011) 29-09-2011, n. 35358

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 28/10/2010, il Tribunale di Catanzaro, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di P. R., indagato per il reato di associazione per delinquere volta a commettere truffe per il conseguimento di erogazioni pubbliche, art. 640 bis ed altri reati, confermava l’ordinanza del Gip di Lamezia Terme, emessa in data 6/10/2010, con la quale, applicata la misura della custodia in carcere nei confronti del medesimo, era stato disposto decreto di sequestro per equivalente dei beni mobili e immobili nonchè quote societarie per l’intero importo degli indebiti finanziamenti ottenuti.

Il Tribunale rilevava che nella fattispecie sussisteva il "fumus commissi delicti" per i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato e all’art. 640 bis c.p. e che pertanto, in virtù del richiamo di cui all’art. 640 quater, trovava applicazione la disciplina della confisca obbligatoria dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, di cui all’art. 322 ter c.p. che prevede, qualora non sia possibile aggredire direttamente il profitto del reato, la confisca per equivalente. Osservava inoltre che, nella fattispecie, non essendo immediatamente individuabile la quota di profitto attribuibile a ciascun concorrente, il sequestro andava disposto per l’intero, salva la possibilità del riparto interno fra i singoli concorrenti in sede di confisca.

Quanto al "fumus" il Tribunale osservava che il procedimento in questione scaturiva da una complessa indagine investigativa della Guardia di Finanza, che aveva tratto origine da una segnalazione di operazioni sospette, ai fini della normativa antiriciclaggio, nei confronti di F.G.; sul conto corrente bancario del F., acceso presso l’UNICREDIT di (OMISSIS), risultava un elevato ammontare di versamenti di bonifici a cui corrispondevano altrettanto rilevanti prelievi in denaro contante, bonifici ed assegni circolari, sino a totale estinzione delle somme versate (a fronte di una movimentazione totale di Euro 1.427.000,00 in dare, corrispondeva una movimentazione di Euro 1.472.000,00 in avere).

Sentito a sommarie informazioni nel corso delle indagini, il F. riferiva di aver venduto macchinari industriali, di cui non sapeva indicare i fornitori, a varie ditte, ricevendone il pagamento del prezzo alla consegna per contanti, di aver emesso fatture di vendita indicanti un prezzo abbondantemente superiore a quello effettivo, di aver ricevuto attraverso bonifici bancari il versamento del prezzo indicato nelle fatture di vendita, che egli provvedeva a prelevare per contanti e restituire alle ditte che avevano emesso il bonifico a suo favore.

Dalle ulteriori indagini emergeva, quindi, che le ditte indicate dal F. come acquirenti dei macchinari non erano più in possesso degli stessi, avendoli rivenduti a prezzi irrisori e che le medesime ditte avevano ottenuto un finanziamento agevolato, ai sensi della L. Sabatini per l’acquisto di tali macchinari, rivolgendosi a tale M.V.M., il quale aveva garantito loro l’esito positivo della richiesta di finanziamento, sebbene esse non fossero in possesso dei requisiti richiesti dalla legge per accedere ai benefici.

La legge in questione consente alle imprese l’irrogazione di mutui a tasso agevolato per l’acquisto di beni strumentali nuovi da utilizzare per le attività produttive e prevede una complessa procedura (con l’intervento anche della Cancelleria del Tribunale per la sigillatura dei macchinari), a seguito della quale il venditore riceve il pagamento del prezzo attraverso lo sconto, presso un istituto di credito, degli effetti cambiari rilasciati dall’acquirente; l’Istituto di credito richiede un contributo all’Ente agevolatore e, una volta ricevutolo, a sua volta, lo gira all’acquirente.

Effettuata una perquisizione presso la Creinvest s.a.s. (ex Credinvest di M.M.), ed estese le indagini a tutte le richieste di finanziamento effettuate dal 1/1/2005 al 23/6/2008, emergeva che gran parte dei macchinari di cui era stato finanziato l’acquisto con i meccanismi della L. Sabatini risultavano inesistenti, e che M.V.M., gestore di fatto della Creinvest sas, pur avendo denunziato redditi modesti, risultava titolare di un conto corrente acceso presso la BNL di (OMISSIS) sul quale, negli anni 2006, 2007 e 2008 risultavano versamenti in contanti per Euro 169.349,00 e contestualmente pagamenti con assegni a favore di FINANCE SERVICE LTD per Euro 155.570,00. Risultava, inoltre che M.V.M. aveva creato delle società finanziarie intestandole ai figli, in particolare la GI.EMME Srl, amministrata dal figlio Ma., la DI.EMME SERVICE, intestata alla figlia D. e la Creinvest s.a.s. di M. A.; sui c/c di tali società e sui c/c personali di M.V.M. e dei suoi familiari risultavano effettuati versamenti in contanti per un totale di Euro 808,406,08.

Utili indicazioni sul funzionamento del sistema truffaldino messo in atto per ottenere erogazioni indebite avvalendosi della L. Sabatini erano state fornite da L.B., il quale aveva riferito di essere stato contattato da M.V.M. della Creinvest sas di (OMISSIS) che lo aveva indotto a stipulare tre fittizi contratti di acquisto con la Edilart di V.V. relativi a tre macchinari (che egli aveva già acquistato in passato e deteneva nella sua officina già da diverso tempo) per i quali era stato erogato un finanziamento complessivo di Euro 662.880,00, ricevendo per tale operazione un ritorno in contanti per circa Euro 300.000,00. Precisava di aver portato i tre macchinari nei pressi del Tribunale di Lamezia Terme, e di aver installato le targhette consegnategli dal M., accompagnato da una funzionario del Tribunale, provvedendo egli stesso ad apporre il sigillo a piombo del Tribunale.

Ricostruito – in tal modo – il complesso sistema truffaldino, con ordinanza in data 28/10/2010, il Tribunale di Catanzaro, riteneva sussistente il "fumus commissi delicti" relativamente al reato associativo, in riferimento alla posizione del P., evidenziando che le indagini espletate avevano permesso di accertare che l’indagato era uno dei principali "collaboratori" del promotore ed organizzatore del gruppo, M.M.V., al quale aveva fornito in svariate occasioni le fatture di vendita risultate essere totalmente false; infatti, da verifiche eseguite presso le case costruttrici, tutti i mezzi riportati sui citati documenti risultavano "non essere mai stati costruiti e quindi mai venduti".

In particolare il P. aveva fornito all’associazione idoneo supporto mediante l’impiego della propria ditta individuale per l’emissione di false fatturazioni atte a giustificare tre indebiti finanziamenti richiesti da I.M. e M.N. per un totale di Euro 415.967,56.

Il Tribunale respingeva quindi le doglianze prospettate dalla difesa, e, tra queste, l’eccezione di nullità della ordinanza di custodia cautelare per omessa motivazione, osservando che il Gip aveva fatto uno specifico rinvio alla informativa di polizia giudiziaria dalla quale aveva individuato gli elementi su cui fondare il giudizio di gravità del quadro indiziario. Rilevava, inoltre, che il ricorrente non aveva effettuato specifici motivi di censura circa le valutazioni effettuate dal Gip che il Tribunale condivideva "in foto", per cui riteneva inutile ripercorrere punto per punto l’analisi dei singoli capi di imputazione e degli elementi indiziari su cui si fonda il titolo cautelare.

Il Tribunale respingeva, infine, l’eccezione di insussistenza del reato di cui all’art. 640 bis c.p., per mancanza di danno nei confronti delle Banche coinvolte nella truffa, e osservava a riguardo che il prevenuto, utilizzando false certificazioni, aveva comunque percepito un ingiusto profitto con conseguente danno a carico dell’erario in ragione della quota di interessi pagata dallo Stato in sostituzione dell’acquirente.

Quanto al "periculum in mora", il Tribunale lo ravvisava nel combinato disposto dell’art. 640 quater c.p. in relazione all’art. 322 ter c.p., essendo la confisca per equivalente conseguenza obbligatoria dell’eventuale condanna.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo:

1) mancanza e manifesta illogicità della motivazione;

2) errata applicazione dell’art. 640 bis c.p..

3) errata applicazione dell’art. 274 c.p.p., e degli artt. 273 e 192 c.p.p..

4) nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 292 c.p.p..

Il ricorrente eccepisce che con i motivi di riesame, a cui era stata allegata una memoria difensiva, erano state poste al Tribunale numerose questioni riassumibili nei seguenti termini:

1. nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 292 c.p.p.;

2. estraneità del P., in qualità di venditore alle operazioni di finanziamento le quali avvengono e sono avvenute, come è ovvio, a favore e per iniziativa degli acquirenti;

3. mancanza di riscontro all’accusa del correo B.;

4. estraneità del P. ai reati di truffa a lui contestati anche in considerazione di quanto affermato nella stessa informativa della Guardia di Finanza, nella quale si legge che "allo stato attuale delle indagini non è stato ancora possibile verificare se dal conto corrente intestato a P.R. risultino eventuali titoli di credito a favore del I.M. che attestino la illegittima restituzione di somme di danaro a riprova della propria partecipazione alla truffa";

5. insussistenza di qualsiasi esigenza cautelare anche in virtù dell’epoca del "commissi delicti", risalente ad oltre cinque anni prima.

Si duole che il Tribunale abbia eluso tutte le questioni sollevate dalla difesa, soltanto sfiorando il tema della nullità dell’ordinanza cautelare per omessa motivazione, asserendo che la questione sarebbe superata per aver fatto il Gip specifico rinvio all’informativa di PG, senza avvedersi che tale motivazione è illegittima in presenza di specifiche eccezioni formulate dalla difesa.

Il ricorrente riporta quindi il testo della richiesta di riesame con la quale eccepisce che l’ordinanza genetica è affetta da nullità per mancanza dei requisiti minimi di motivazione in ordine agli elementi da cui dedurre la gravità indiziaria in capo ad ogni singolo indiziato e per ogni singolo reato. La radicale carenza di motivazione dell’ordinanza genetica impedirebbe al Tribunale del riesame di rimediare ai vizi della motivazione.

Si duole, altresì che il Tribunale abbia eluso le ulteriori questioni sollevate con l’istanza di riesame e la memoria allegata, omettendo di spiegare perchè:

a) venga ipotizzata l’esistenza di una associazione quando l’interlocutore beneficiario del finanziamento è sempre diverso;

b) evochi le dichiarazioni di F. e di altri indagati, senza avvedersi che tali dichiarazioni sono inutilizzabili ai sensi dell’art. 63 c.p.p., in quanto effettuate in assenza del difensore;

c) ritenga la permanenza delle esigenze cautelari, malgrado i fatti fossero risalenti nel tempo.

Infine osserva che, essendo intervenuta una rateizzazione funzionale all’integrale restituzione della somma elargita, il profitto conseguito era limitato esclusivamente agli interessi sul capitale nella misura del 5% ed eccepisce che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può avere ad oggetto beni eccedenti il profitto del reato riferito a quanto percepito da ciascun concorrente.

Alla luce della L. Sabatini, la Banca rappresenta poi l’unica destinatario delle somme elargite dallo Stato per cui, fin quando il soggetto fruitore delle somme, sia pure indebitamente percepite, procede alla restituzione delle rate del debito all’istituto di credito erogatore non sussistono gli estremi del reato di cui all’art. 640 bis c.p., per l’assenza del danno patrimoniale, potendosi, tuffai più il fatto qualificare con riferimento all’art. 316 ter c.p..

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1. Occorre premettere che, essendo stato proposto un ricorso cumulativo con il quale sono state impugnate congiuntamente la misura cautelare personale e la misura cautelare reale, tutte le censure relative all’applicazione della misura cautelare personale sono state respinte con la sentenza emessa in pari data nel procedimento n. 3303/2011.

Non possono sorgere dubbi, pertanto, sulla sussistenza del "fumus commissi delicti". 2. Il ricorrente sostanzialmente contesta il quantum, eccependo che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato. Nel caso di specie, secondo l’ipotesi difensiva, il profitto del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche non può avere ad oggetto l’intero importo del finanziamento erogato dalle banche, ma soltanto il 5% sul capitale, oggetto dell’intervento pubblico.

3. Tale prospettazione non può essere accettata. Nel caso in cui la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche riguardi l’erogazione di mutui agevolati, il profitto realizzato dall’agente consiste infatti nella percezione della somma concessa a mutuo dall’Istituto finanziario ed è equivalente all’importo erogato tramite il finanziamento indebitamente ottenuto. Il danno non è quindi limitato alla quota di interessi, ed essendo i finanziamenti erogati in riferimento a beni inesistenti, gli stessi non potevano e non possono in alcun modo costituire alcuna garanzia del debito in tal modo contratto. La eventuale restituzione delle somme indebitamente percepite all’Istituto mutuante si configura poi come un post-factum, ovvero come un’attività idonea a ridurre il danno conseguente al reato, a norma dell’art. 185 c.p..

Al sequestro preventivo funzionale alla confisca deve essere applicato il principio di diritto formulato dalla Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 26654/2008, secondo cui il profitto del reato, nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, è costituito dal vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto della effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’Ente.

Nel caso di specie, peraltro, non risulta (ed il ricorrente non l’ha allegato, nè dedotto) che i finanziamenti indebiti in cui il P. ricorre in qualità di fittizio venditore, per un ammontare di complessivi Euro 415.967,56, siano stati restituiti agli Istituti eroganti attraverso il pagamento delle cambiali alle scadenze prefissate.

Pertanto nel caso di specie legittimamente è stato disposto il sequestro per equivalente, funzionale alla confisca, delle somme di denaro equivalenti all’importo dei finanziamenti indebitamente concessi per effetto dei reati contestati al ricorrente, fermo restando che la confisca dovrà essere applicata al vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato, secondo il principio di diritto sopra richiamato.

Di conseguenza il ricorso del P. deve essere respinto.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, chi lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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