Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-05-2011) 29-09-2011, n. 35355

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 6 ottobre 2010, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lamezia Terme dispose la custodia cautelare in carcere di M.V.M., F. G., F.A., V.V., S.P., M.A.D., B.A., M.T.A., C.F. nonchè la misura degli arresti domiciliari a M.M., G.V., G.G., L.B., R.A., M.D., P. A., P.R., e G.A. indagati tutti – unitamente ad altri – del reato di cui all’art. 416 c.p., commi 1, 2, 3 e 5, per avere costituito, promosso, organizzato un’associazione a delinquere, con sede operativa a (OMISSIS), che con unicità di disegno criminoso tra lo scopo associativo e i reati fine, era finalizzata alla sistematica e programmatica commissione di truffe di rilevante importo in pregiudizio dello Stato, di Istituti Bancari e della Regione Calabria, di falsi propedeutici alla commissione delle truffe nonchè al loro successivo occultamento oltre che alla realizzazione del riciclaggio o del reimpiego in genere dei proventi che ne derivavano.

L’organizzazione operava sotto la regia di M.M. V., e a ciascun sodale venivano assegnati di volta in volta compiti specifici, in relazione alle esigenze connesse al singolo finanziamento da conseguire in base ai presupposti richiesti dalla c.d. legge Sabatini (L. 1329 del 1965); gli stessi sodali richiedevano fraudolentemente agli Istituti bancari n. 60 finanziamenti per un importo pari a Euro 10.403.654,85, di cui 55 andavano a buon fine consentendo l’effettiva percezione dell’importo pari a Euro 8.910.460,95, in Lamezia Terme e dintorni fino al dicembre 2009.

Con la medesima ordinanza veniva disposto il sequestro per equivalente dei beni di M.M.V., M. M. e P.A. fino alla concorrenza di Euro 8.910.460,95 ciascuno e, per l’effetto, veniva altresì disposto il sequestro preventivo del fabbricato in corso di costruzione ubicato in (OMISSIS), di proprietà della Gi.Emme s.r.l. di cui è amministratore M.M. nonchè degli altri beni mobili e immobili nonchè quote societarie riconducibili ai suddetti indagati, ed il sequestro per equivalente di beni mobili e immobili nonchè di quote societarie riconducibili ad altri indagati.

L’ordinanza veniva emessa, su richiesta del pubblico ministero, all’esito di una complessa indagine investigativa della Guardia di Finanza, che aveva tratto origine da una segnalazione di operazioni sospette, ai fini della normativa antiriciclaggio, nei confronti di F.G.; sul conto corrente bancario del F., acceso presso l’UNICREDIT di (OMISSIS), risultava un elevato ammontare di versamenti di bonifici a cui corrispondevano altrettanto rilevanti prelievi in denaro contante, bonifici ed assegni circolari, sino a totale estinzione delle somme versate (a fronte di una movimentazione totale di Euro 1.427.000,00 in dare, corrispondeva una movimentazione di Euro 1.472.000,00 in avere).

Sentito a sommarie informazioni dai finanzieri, il F. riferiva di aver venduto macchinari industriali, di cui non sapeva indicare i fornitori, a varie ditte, ricevendone il pagamento del prezzo alla consegna per contanti, di aver emesso fatture di vendita indicanti un prezzo abbondantemente superiore a quello effettivo, di aver ricevuto attraverso bonifici bancari il versamento del prezzo indicato nelle fatture di vendita, che egli provvedeva a prelevare per contanti e restituire alle ditte che avevano emesso il bonifico a suo favore.

Dalle ulteriori indagini emergeva, quindi, che le ditte indicate dal F. come acquirenti dei macchinari non erano più in possesso degli stessi, avendoli rivenduti a prezzi irrisori e che le medesime ditte avevano ottenuto un finanziamento agevolato, ai sensi della legge Sabatini per l’acquisto di tali macchinari, rivolgendosi a tale M.V.M., il quale aveva garantito loro l’esito positivo della richiesta di finanziamento, sebbene esse non fossero in possesso dei requisiti richiesti dalla legge per accedere ai benefici.

La legge in questione consente alle imprese l’irrogazione di mutui a tasso agevolato per l’acquisto di beni strumentali nuovi da utilizzare per le attività produttive e prevede una complessa procedura (con l’intervento anche della Cancelleria del Tribunale per la sigillatura dei macchinari), a seguito della quale il venditore riceve il pagamento del prezzo attraverso lo sconto, presso un istituto di credito, degli effetti cambiari rilasciati dall’acquirente; l’Istituto di credito richiede un contributo all’Ente agevolatore e, una volta ricevutolo, a sua volta, lo gira all’acquirente.

Effettuata una perquisizione presso la Creinvest s.a.s. (ex Credinvest di M.M.) ed estese le indagini a tutte le richieste di finanziamento effettuate dal 1/1/2005 al 23/6/2008, emergeva che gran parte dei macchinari di cui era stato finanziato l’acquisto con i meccanismi della legge Sabatini risultavano inesistenti, e che M.V.M., gestore di fatto della Creinvest sas), pur avendo denunziato redditi modesti, risultava titolare di un conto corrente acceso presso la BNL di (OMISSIS) sul quale, negli anni 2006, 2007 e 2008 risultavano versamenti in contanti per Euro 169.349,00 e contestualmente pagamenti con assegni a favore di FINANCE SERVICE LTD per Euro 155.570,00. Risultava, inoltre che M.V.M. aveva creato delle società finanziarie intestandole ai figli, in particolare la Gi.EMME Srl, amministrata dal figlio M., la DI.EMME SERVICE, intestata alla figlia D. e la Creinvest s.a.s. di Meraglia Alessandro; sui c/c di tali società e sui c/c personali di M.V.M. e dei suoi familiari risultavano effettuati versamenti in contanti per un totale di Euro 808,406,08.

Utili indicazioni sul funzionamento del sistema truffaldino messo in atto per ottenere erogazioni indebite avvalendosi della legge Sabatini erano state fornite da L.B., il quale aveva riferito di essere stato contattato da M.V.M. della Creinvest sas di (OMISSIS) che lo aveva indotto a stipulare tre fittizi contratti di acquisto con la Edilart di V. V. relativi a tre macchinari (che egli aveva già acquistato in passato e deteneva nella sua officina già da diverso tempo) per i quali era stato erogato un finanziamento complessivo di Euro 662.880,00, ricevendo per tale operazione un ritorno in contanti per circa 300.000,00 Euro. Precisava di aver portato i tre macchinari nei pressi del Tribunale di Lamezia Terme, e di aver installato le targhette consegnategli dal M., accompagnato da una funzionario del Tribunale, provvedendo egli stesso ad apporre il sigillo a piombo del Tribunale.

Ricostruito – in tal modo – il complesso sistema truffaldino, con ordinanza in data 28/10/2010, il Tribunale di Catanzaro, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di M.A. D., confermava l’ordinanza del Gip di Lamezia Terme, con la quale era stata applicata al medesimo la misura della custodia cautelare in carcere, ritenendo pienamente sussistente il quadro di gravità indiziaria relativamente al reato associativo; rilevava quindi il Tribunale che una delle figure di maggior spessore emerse all’interno dell’associazione, in rapporto di stretta collaborazione con M.V.M., era sicuramente M.A. D., titolare della "CSM srl", cugino dello stesso M. e marito di Mi.El., titolare della Global Comunications s.a.s. Le società in questione erano entrambe risultate – tra l’altro – destinatane di beni strumentali inesistenti, acquistati mediante l’erogazione di finanziamenti agevolati. Dalla documentazione acquisita, dagli accertamenti bancari e dalle conversazioni telefoniche intercettate, era quindi emerso come il contributo offerto dall’indagato al sodalizio non fosse stato occasionale, ma al contrario aveva assunto i caratteri della "diuturnitas", dal momento che lo stesso, attraverso la C.S.M. srl e la Global Communications, aveva proceduto alla emissione di false fatturazioni atte a giustificare la fittizia vendita di beni nonchè a richiedere indebiti finanziamenti per un totale di Euro 287.280,00 (v. pagg. 16 – 20 dell’ordinanza).

Il Tribunale respingeva quindi le doglianze prospettate dalla difesa, e, tra queste, l’eccezione di nullità della ordinanza di custodia cautelare per omessa motivazione, osservando che il Gip aveva fatto uno specifico rinvio alla informativa di Pg dalla quale aveva individuato gli elementi su cui fondare il giudizio di gravità del quadro indiziario. Rilevava, inoltre, che il ricorrente non aveva effettuato specifici motivi di censura circa le valutazioni effettuate dal Gip che il Tribunale condivideva "in foto", per cui riteneva inutile ripercorrere punto per punto l’analisi dei singoli capi di imputazione e degli elementi indiziari su cui si fonda il titolo cautelare.

Il Tribunale respingeva, infine, l’eccezione di insussistenza del reato di cui all’art. 640 bis per mancanza di danno nei confronti delle Banche coinvolte nella truffa, e osservava a riguardo che il prevenuto, utilizzando false certificazioni, aveva comunque percepito un ingiusto profitto con conseguente danno a carico dell’erario in ragione della quota di interessi pagata dallo Stato in sostituzione dell’acquirente.

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva di poter condividere le valutazioni del Gip in ordine al pericolo di reiterazione del reato, per le modalità di commissione dei reati che denota una non comune professionalità e la personalità dell’imputato connotata da organicità e sistematicità del reato associativo e dalla sussistenza di precedenti anche specifici.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo:

1) mancanza e manifesta illogicità della motivazione;

2) errata applicazione dell’art.640 bis c.p..

3) errata applicazione dell’art. 274 e degli artt. 273 e 192 c.p.p..

4) nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 292 c.p.p..

Il ricorrente eccepisce che con i motivi di riesame, a cui era stata allegata una memoria difensiva, erano state poste al Tribunale numerose questioni riassumibili nei seguenti termini:

1. nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 292 c.p.p.;

2. non configurabilità dell’art.640 bis in virtù dell’intervenuto pagamento delle somme corrisposte in applicazione della c.d. legge Sabatini, e quindi mancanza di realizzazione del danno altrui richiesto quale elemento costitutivo essenziale per integrare la fattispecie delittuosa "de qua";

3. mancanza di riscontro all’accusa del correo B.;

4. esito dell’indagine bancaria da cui non risulta che vi siano stati i prelievi successivamente versati a M. e soprattutto mancanza di versamenti sul conto di M.;

5. insussistenza di qualsiasi esigenza cautelare anche in virtù dell’epoca del "commissi delicti", risalente ad oltre cinque anni prima.

Si duole che il Tribunale abbia eluso tutte le questioni sollevate dalla difesa, soltanto sfiorando il tema della nullità dell’ordinanza cautelare per omessa motivazione, asserendo che la questione sarebbe superata per aver fatto il Gip specifico rinvio all’informativa di PG, senza avvedersi che tale motivazione è illegittima in presenza di specifiche eccezioni formulate dalla difesa.

Il ricorrente riporta quindi il testo della richiesta di riesame con la quale eccepisce che l’ordinanza genetica è affetta da nullità per mancanza dei requisiti minimi di motivazione in ordine agli elementi da cui dedurre la gravità indiziaria in capo ad ogni singolo indiziato e per ogni singolo reato. La radicale carenza di motivazione dell’ordinanza genetica impedirebbe al Tribunale del riesame di rimediare ai vizi della motivazione.

Si duole, altresì che il Tribunale abbia eluso le ulteriori questioni sollevate con l’istanza di riesame e la memoria allegata, omettendo di spiegare perchè:

a) venga ipotizzata l’esistenza di una associazione quando l’interlocutore beneficiario del finanziamento è sempre diverso;

b) evochi le dichiarazioni di F. e di altri indagati, senza avvedersi che tali dichiarazioni sono inutilizzabili ai sensi dell’art. 63 c.p.p., in quanto effettuate in assenza del difensore;

c) ritenga la permanenza delle esigenze cautelari, malgrado i fatti fossero risalenti nel tempo.

Infine osserva che, essendo intervenuta una rateizzazione funzionale all’integrale restituzione della somma elargita, e risultando, "per tabulas", che il vantaggio economico susseguente all’accesso di tale finanziamento riguarda esclusivamente gli interessi sul capitale e non già l’intero ammontare della somma elargita, l’illiceità del profitto era limitato esclusivamente agli interessi sul capitale nella misura del 5% ed eccepisce che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può avere ad oggetto beni eccedenti il profitto del reato riferito a quanto percepito da ciascun concorrente.

Successivamente il difensore ha depositato una memoria con la quale insiste nella tesi che i fatti contestati non possono rientrare nello schema normativo di cui all’art. 640 bis, non essendo lo Stato il soggetto passivo ed – eventualmente – debbono essere qualificati a norma dell’art. 316 ter c.p.p..

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1. In riferimento ai limiti di sindacabilità delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, rammenta il Collegio che, secondo l’orientamento di questa Corte, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende sottoposte ad indagini, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:

1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146/1995 Riv 201840).

Inoltre, il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.

Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto". (Cass. Sez. 1^ sent. n. 1700/ 1998 Riv 210566).

2. Tanto premesso, occorre precisare che è infondato il motivo di ricorso con il quale si deduce la nullità insanabile dell’ordinanza genetica per totale carenza di motivazione.

E’ indirizzo pressochè costante di questa Corte, in tema di motivazione di provvedimenti cautelari, che il giudice del riesame non può annullare il provvedimento impugnato per difetto di motivazione atteso che il nostro ordinamento processuale a fronte delle nullità comminate per omessa motivazione dei provvedimenti riserva solo al giudice di legittimità il potere di pronunciare il relativo annullamento. Tale potere è precluso al giudice di merito di secondo grado, e a maggior ragione quando, come nel caso del riesame, il "thema decidendum" è devoluto nella sua integralità (cfr Cass. Sez. 3^, 19 gennaio 2001, Servadio, Riv. 218752); che, pertanto, all’effetto interamente devolutivo che caratterizza l’impugnazione per riesame consegue che il giudice, al quale è conferito il potere di annullare, riformare o confermare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso, può sanare, con la propria motivazione, le carenze argomentative dell’ordinanza oggetto del riesame, e ciò ancorchè esse siano tali da integrare le nullità – rilevabili d’ufficio – previste dall’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e e) bis, riguardanti anche l’esposizione delle esigenze cautelari (v. Cass. Sez. 1^, 2 ottobre 1998, Mannello, Riv.

211887; Sez. 6^, 14 giugno 2004, Riv. 229763).

L’annullamento dell’ordinanza genetica da parte del Tribunale del riesame è configurabile solo in casi estremi di assenza grafica della motivazione o di motivazione meramente apparente, perchè del tutto inadeguata o basata su affermazioni apodittiche, si da comportare nullità per violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 2, (Cass. Sez. 3^, Sent. n. 33753/2010 Rv. 249148).

Nel caso di specie, tale ipotesi estrema di assenza di motivazione non sussiste in quanto l’ordinanza del Gip fa proprie, ritrascrivendole, le motivazioni che sono alla base delle richieste del P.M. ed accenna – sinteticamente – agli indizi che giustificano le misure applicate, pervenendo peraltro ad applicazione di misure in parte diverse da quelle richieste dal pubblico ministero, con ciò dando prova di aver valutato autonomamente l’ampio compendio probatorio sottoposto al suo vaglio e di cui alla richiesta di misure.

Non può, pertanto, trovare applicazione il principio di diritto invocato dalla difesa ricorrente, in materia di nullità dell’ordinanza applicativa della misura cautelare qualora sia motivata con esclusivo e integrale riferimento ad altro atto del procedimento e tale atto non sia trascritto nell’ordinanza o non sia notificato unitamente ad essa. Nel caso di specie, infatti, non ricorre nessuna delle due circostanze richiamate, in quanto l’ordinanza non è motivata con esclusivo ed integrale riferimento ad altro atto del procedimento e per giunta gli atti in questione sono stati ritrascritti nel provvedimento.

Legittimamente il Tribunale per il riesame ha provveduto, quindi, a integrare la motivazione dell’ordinanza impositiva attraverso una più vasta esposizione degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, ai sensi dell’art. 292 c.p.p., comma 1, lett. c).

3. Infondata è anche la censura di assenza di motivazione in ordine alla sussistenza del reato associativo. Al riguardo il provvedimento impugnato (pagg. 12 – 18) fornisce una specifica, analitica e dettagliata motivazione in ordine alla sussistenza degli estremi fattuali che giustificano la configurazione del delitto di associazione contestato al ricorrente ed agli altri indagati. Tale motivazione è coerente con i principi di diritto ripetutamente affermati da questa Corte in punto di configurabilità del reato associativo ed è priva di vizi logico-giuridici, come tale incensurabile in questa sede.

4. E’ infondata altresì la censura sulla qualificazione giuridica del reato di truffa e sulla non configurabilità del reato di cui all’art. 640 bis c.p., con riferimento ai finanziamenti ottenuti in base alla legge Sabatini, per mancanza del danno patrimoniale nei confronti degli Istituti bancari erogatori dei mutui, dovendosi ritenere semmai sussistente il reato di cui all’art. 316 ter c.p., (come sostenuto nella memoria depositata successivamente al ricorso, e nella discussione orale).

La L. n. 1329 del 1965 c.d. Sabatini è il principale strumento finanziario utilizzato dalle piccole e medie imprese di ogni settore produttivo per finanziare l’acquisto di macchinar di produzione; il finanziamento disciplinato dalla legge in esame consiste in una operazione di sconto cambiali, con scadenze comprese tra uno e cinque anni, emesse dall’acquirente a favore del venditore per il pagamento di macchinari, e l’agevolazione è rappresentata dal contributo in conto interessi che viene erogato in via anticipata e in un’unica soluzione.

Tale essendo la normativa di riferimento, rileva il Collegio che il meccanismo di realizzazione delle truffe in questione è stato ricostruito dai giudici di merito sulla base della disamina delle diverse pratiche di finanziamento e dei relativi riscontri effettuati in ordine alla mendacità di quanto nelle stesse rappresentato al fine di ottenere i finanziamenti medesimi; le indagini esperite hanno, quindi, consentito di acclarare che il venditore del bene, a finanziamento erogato ed accreditato sul suo conto corrente, ne tratteneva una piccola percentuale e suddivideva la percentuale residua di maggiore consistenza tra il prelevamento in contanti e la richiesta di emissione di assegni circolari a favore dell’acquirente, giustificata (fittiziamente) dal venditore sotto forma di restituzione di anticipazione di pagamento del bene finanziato, di fatto mai ricevuto, essendo la finta compravendita finalizzata al conseguimento appunto delle somme del finanziamento.

Premesso che l’art. 316 ter c.p. punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perchè in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente (v. Cass. S.U., Sent. n. 7537/2010 Riv.

249104), appare evidente che la condotta così come viene descritta nell’ordinanza cautelare e nel provvedimento impugnato configura certamente il reato di truffa di cui alle imputazioni provvisorie, in quanto prima l’Istituto di Credito e poi l’ente pubblico agevolatore sono stati indotti in errore dai documenti prodotti e dalle false attestazioni di conformità della cancelliera del Tribunale di Lamezia Terme circa l’esistenza degli acquisti, in realtà fittizi, e della sussistenza dei requisiti per poter usufruire del contributo agevolato.

Anche la tesi della mancanza del danno è, poi, destituita di fondamento. Nella fattispecie, essendo i finanziamenti erogati in riferimento a beni inesistenti, gli stessi non potevano e non possono in alcun modo costituire alcuna garanzia di quanto indebitamente erogato; il danno non è poi limitato alla quota di interessi.

Infatti, nel caso in cui la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche riguardi, come nella fattispecie, l’erogazione di mutui agevolati, il profitto realizzato dall’agente (consistente nella percezione della somma concessa a mutuo dall’Istituto finanziario) coincide con il danno patrimoniale subito dall’ente erogante ed è equivalente all’importo del finanziamento indebitamente ottenuto. La eventuale restituzione delle somme, indebitamente percepite, all’Istituto mutuante si configura poi come un "post-factum", ovvero un’attività idonea a ridurre il danno conseguente al reato, a norma dell’art. 185 c.p..

5. Per quanto riguarda l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Ferrise ed altri soggetti – tutti coindagati – la censura è inammissibile in quanto è palesemente aspecifica dal momento che non vengono indicati nè i soggetti oltre il F. dei quali si contesta l’utilizzabilità delle dichiarazioni, nè i verbali dai quali risulterebbero le dichiarazioni indizianti assunte senza la garanzia della difesa. Manca poi qualsivoglia allegazione che i correi al momento in cui vennero sentiti a sommarie informazioni fossero da ritenersi indagati. Il motivo è pertanto inammissibile, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c) in relazione all’art. 581, comma 1, lett. c).

5. Infine, essendo cessata l’applicazione della misura cautelare per decorso dei termini, sono divenute inammissibili le ulteriori questioni sollevate in punto di pericolosità sociale.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, chi lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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