Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 06-05-2011) 29-09-2011, n. 35416 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza resa in esito all’udienza del giorno 4/6/2010 la Corte di Appello di Reggio Calabria ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da S.A..

La S., a mezzo di suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato.

Parte ricorrente denunzia:

violazione, errata, falsa e mancata applicazione dell’art. 314 c.p.p.; omessa motivazione, motivazione apparente, illogicità manifesta, travisamento dei fatti, abnormità.

All’udienza camerale del giorno 6/5/2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Motivi della decisione

Si deve premettere che secondo regola testuale di legge ( art. 314 c.p.p., comma 1, ultima parte) e consolidata giurisprudenza di questa Corte, la assoluzione da una imputazione non determina automaticamente il sorgere del diritto a equa riparazione il cui stesso sorgere è condizionato dall’assenza di dolo o colpa grave dell’allora indagato nel dare causa alla misura cautelare poi risultata ingiusta.

Si deve anzitutto evidenziare che il provvedimento impugnato, ancorchè non condiviso dalla ricorrente, è affidato ad una motivazione che analizza i fatti oggetto di controversia, le questioni poste dalla proposizione della domanda di indennizzo per ingiusta carcerazione, ed esplicita le ragioni di rigetto della istanza. Dunque la motivazione non è in alcun modo apparente, omessa o mancante.

Diversamente da quanto affermato in ricorso, la Corte di Appello ha individuato i fatti concreti che integrano l’ipotesi di colpa grave, consistenti in una attività di supporto all’illecito commercio del marito certamente eccedente la mera connivenza e anzi spinta fino allo svolgimento di attività di supplenza, in un quadro che la stessa sentenza assolutoria definisce di consapevolezza del carattere delittuoso della attività del coniuge.

Le conclusioni raggiunte dalla ordinanza impugnata non sono contraddittorie nè per vizio interno posto che gli argomenti utilizzati coerentemente convergono a giustificare la statuizione adottata, nè per vizio esterno posto che i fatti valutati non sono smentiti da circostanze contrarie che siano risultate ritualmente acquisite al processo. Il ragionamento giustificativo proprio dell’ordinanza non contiene violazioni di specifiche regole logiche proprie della logica sillogistica giudiziaria e la circostanza che la ricorrente non condivida i risultati di quel ragionamento giustificativo non determina automaticamente la esistenza di suoi vizi logici.

Il ricorso è dunque infondato e deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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