Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-04-2011) 29-09-2011, n. 35414

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con provvedimenti del 4 e 18 maggio 2009 il G.I.P. del Tribunale di Trento rigettava la richiesta di ammissione al gratuito patrocinio avanzata da E.H.H., cittadino marocchino, sottoposto alla misura della custodia in carcere in forza di ordinanza cautelare del 1/5/2009, emessa dal medesimo G.I.P. A seguito di opposizione presentata ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 99 dal difensore dell’indagato, il Tribunale di Trento confermava il rigetto dell’istanza. Osservava il giudice di merito, in linea con la giurisprudenza consolidata, che ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio, quando la richiesta proviene da uno straniero, essa deve essere accompagnata dall’attestazione dell’autorità consolare sulla veridicità dell’autocertificazione relativa la reddito, nella quale vengano esplicitate le indicazioni, anche in forma sintetica, dei concreti elementi acquisiti, in modo tale da consentire eventuali ed opportuni controlli (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 38718 del 01/07/2004 Cc. (dep. 04/10/2004), Jarjani, Rv. 229605).

Nel caso di specie il Consolato del regno di Marocco di Milano si era limitato ad attestare "per quanto di conoscenza di questa Missione Consolare, l’autocertificazione del sopracitato cittadino marocchino non è mendace". Pertanto il Tribunale, valutata la estrema sinteticità e genericità dell’attestazione e la inidoneità a consentire eventuali controlli, confermava il diniego all’ammissione al gratuito patrocinio.

2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso personalmente l’E. H., lamentando:

2.1. la violazione di legge, laddove il G.I.P. aveva adottato il provvedimento di reiezione prima dello spirare del termine di venti giorni, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 94, comma 3, al fine di consentire la produzione dell’attestazione consolare; in ogni caso, quantomeno, l’ammissione doveva essere concessa, fino allo spirare del termine per la produzione del documento. Su tali doglianze il Tribunale in sede di opposizione non aveva fornito alcuna risposta.

2.2. La violazione di legge, laddove il Tribunale aveva ritenuto non sufficiente a garantire l’autenticità dell’autocertificazione, la dichiarazione consolare rilasciata, tenuto conto che, a fronte di un attestazione di veridicità, il giudice italiano non ha alcuna possibilità di sindacato. Il provvedimento, pertanto, anche con riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale 219 del 1995, finiva per porre gli imputati stranieri in una posizione deteriore rispetto agli imputati cittadini italiani, tradendo l’intenzione della pronuncia, che era quella di equiparare le due categorie di soggetti istanti quanto alla possibilità di fruire del beneficio.

2.3. Peraltro, così interpretata, la normativa di settore palesa una illegittimità costituzionale, finendo per ledere il diritto di difesa ( art. 24 Cost., commi 2 e 3; art. 111 Cost., commi 2 e 3), non rendendo possibile la retribuzione del difensore tecnico e la possibilità di spesa per copia di atti, per un consulente tecnico e per l’ausilio di un interprete al fine di garantire colloqui riservati tra difensore ed imputato detenuto.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1. Come è noto l’art. 571 cod. proc. pen. attribuisce all’imputato il potere di impugnare personalmente la sentenza e gli altri provvedimenti, sebbene un autonomo potere in tal senso spetti al suo difensore (comma 3).

Tale disposizione deve essere armonizzata con l’art. 613 cod. proc. pen. laddove, in tema di ricorso per cassazione, stabilisce che "Salvo che la parte non vi provveda personalmente, l’atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della corte di cassazione".

Detta norma prevede una regola generale che vale per tutte le parti, compreso l’imputato, salvo che questi non voglia avvalersi della facoltà di impugnare personalmente.

Infatti, questa corte di legittimità ha avuto modo di precisare sul punto che la disposizione di cui all’art. 613 deve essere interpretata come "ricognitiva" della facoltà di proposizione personale dell’impugnazione, che la norma di cui all’art. 571 c.p.p., comma 1, riconosce al solo imputato. E invero una simile disposizione, configurandosi come deroga alla regola generale della rappresentanza tecnica, non può valere nei confronti di soggetti processuali che, diversi dall’imputato, non risultano in essa contemplati (Cass. Sez. un., sent. 19 del 13-7-00 (cc. 21-6-00), Adragna, rv. 216336).

In sostanza la possibilità, in tema di ricorso per cassazione, di presentare personalmente il ricorso è riconosciuta solo all’imputato e non alle altre parti private le quali devono invece necessariamente ricorrere all’ausilio di un difensore iscritto nell’Albo speciale (cfr. anche Cass. Sez. Un., sent. 24 del 19-1-99 (cc. 16-12-98), Messina, rv. 212077).

Invece, nel caso in cui l’imputato per ricorre voglia avvalersi, anche al momento della proposizione dell’impugnazione, della difesa tecnica, a pena di inammissibilità deve avvalersi di un difensore iscritto nell’Albo speciale (art. 613, comma 1).

Peraltro tale disposizione non lede in alcun modo il diritto di difesa, come già osservato in precedenti pronunce, laddove si è stabilito che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 613, comma 1, sotto il profilo della mancata previsione che il ricorso per cassazione possa essere sottoscritto anche da difensore non iscritto all’albo speciale, è manifestamente infondata. Infatti, l’istituzione dell’albo speciale, con riserva ai soli iscritti della facoltà di difendere davanti alle giurisdizioni superiori, trova oggettiva giustificazione nell’esigenza di assicurare un alto livello di professionalità, adeguato all’importanza e difficoltà del giudizio di legittimità, e, d’altra parte, il pieno esercizio del diritto di difesa è assicurato dalla possibilità, per l’imputato, di sottoscrivere comunque personalmente il ricorso, senza che ciò dia luogo a contraddizione con l’esigenza dianzi indicata, che attiene soltanto alla difesa tecnica (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1650 del 14/03/1996 Cc. (dep. 23/04/1996), Cappellazzo, Rv. 204598).

3.2. Orbene se le disposizioni normative e la loro interpretazione sono sufficientemente chiare nel disciplinare il ricorso personale dell’imputato (ammissibile), il ricorso del difensore iscritto all’albo speciale (ammissibile), il ricorso del difensore non iscritto (inammissibile) ed il ricorso personale delle altre parti private (inammissibile), perplessità interpretativa sorgono di fronte a situazioni più complesse in cui a vario titolo nell’atto di ricorso figurino sia il l’imputato che il difensore.

La prima ipotesi si verifica quando il ricorso è sottoscritto da un difensore non iscritto all’albo, ma a seguire nell’atto vi è la sua nomina sottoscritta dall’imputato.

In passato si era sostenuto che "Il ricorso per cassazione sottoscritto dal solo difensore non iscritto nell’albo speciale è inammissibile anche nel caso in cui alla sottoscrizione faccia seguito, sullo stesso atto, la dichiarazione di nomina del medesimo difensore, con firma, da lui autenticata, dell’imputato (Cass. in, sent. 1280 del 17-5-99 (cc. 8-4-99) rv. 213746; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6549 del 21/11/1997 Cc. (dep. 28/01/1998) Rv. 209383).

Successivamente sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte che hanno stabilito che "Deve intendersi proposto personalmente dall’imputato il ricorso che, pur formalmente sottoscritto da difensore non iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, rechi tuttavia in calce l’atto di nomina del difensore sottoscritto dall’imputato, in quanto tale atto ha un implicito, ma evidente valore di condivisione della dichiarazione e dei motivi di ricorso, che quindi devono giuridicamente ritenersi fatti propri dall’imputato, il quale se ne assume la paternità (Cass. Sez. Un., sent. 47803 del 23-12-2008 (cc. 27-11-2008), D’Avino, rv. 241355).

Un’altra ipotesi ricorre quando il ricorso è proposto da un difensore non iscritto all’albo, ma l’impugnazione vanga "ratificata" dall’imputato. In passato si è sostenuto che "La dichiarazione dell’imputato di "ratificare" il ricorso per cassazione presentato da un avvocato è idonea ad esprimere la volontà propria dell’imputato di proporre personalmente l’impugnazione, ma non a dare giuridica valenza all’attività processuale svolta da un difensore che non sia iscritto nell’albo speciale della Corte di Cassazione ex art. 613 cod. proc. pen.. Consegue che nel caso in cui i motivi siano stati sottoscritti solo da tale difensore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile" (Cass. sez. 5, ord. n. 1184 del 10/10/1991 Cc. (dep. 12/11/1991) Rv. 191214; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3753 del 14/10/1991 Cc. (dep. 07/11/1991) Rv. 188615).

Più di recente, invece, si è sostenuto che "E’ ammissibile il ricorso per cassazione proposto da difensore non iscritto nell’albo speciale, allorchè esso risulta sottoscritto anche dall’imputato che ne ha fatto, in tal modo, propri i motivi" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12392 del 16/10/1998 Ud. (dep. 26/11/1998) Rv. 211800).

La prevalenza di un orientamento interpretativo meno formalistico è stata ben esplicitata dalla sentenza selle SS.UU. 47903 del 2008 già citata, in cui si evidenzia come l’esigenza del rigido rispetto delle forme, che ragionevolmente ispira la disciplina delle impugnazioni, non può costituire un ostacolo alla interpretazione della reale intenzione della parte, ove questa sia, come nella specie, individuabile in base a scopo e contesto della comunicazione;

altrimenti venendosi a mortificare senza ragione il favor impugnationis, che, nelle situazioni obbiettivamente incerte, rappresenta un criterio-guida altrettanto ineludibile per l’interprete.

Di recente tale orientamento meno formalistico si è palesato anche in relazione ai ricorsi per cassazione delle altre parti private. Si è affermato infatti, superando una pregressa contraria giurisprudenza, che "E’ ammissibile il ricorso per cassazione della parte civile il quale, pur se dalla stessa personalmente sottoscritto, rechi la firma di autentica del difensore, sempre che sia possibile, in base a dati esteriori, ritenere che il difensore abbia inteso fare propri i motivi di ricorso e assumerne la paternità (Cass. Sez. e, sentenza n. 32563 del 04/06/2010 Ud. (dep. 01/09/2010), Egiziano, Rv. 248347; contra, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24285 del 08/05/2001 Cc. (dep. 14/06/2001), Acampora, Rv. 219487).

3.3. Il filo conduttore comune a tutte le richiamate pronunce di questa Corte che avallano l’orientamento che abbiamo definito meno restrittivo e meno formalistico, basano la loro decisione sulla valutazione che l’imputato abbia inteso "far proprio", "condividere", "ratificare" l’operato del difensore non iscritto all’albo speciale, in modo tale da appropriarsi dell’impugnazione sì da ritenerla proposta "personalmente".

Orbene, ciò detto, va fatto un breve ed ovvio chiarimento. La "proposizione" dell’impugnazione è un concetto differente da quello della "presentazione", tanto vero che gli istituti sono previsti in due articoli differenti: l’art. 571 che disciplina la proposizione dell’impugnazione da parte dell’imputato e l’art. 582 che disciplina la presentazione dell’impugnazione.

Ciò induce a ritenere che mentre la "presentazione" si risolve in una mera attività materiale, sebbene procedimentalizzata, la "proposizione" dell’impugnazione deve essere espressione di un contenuto volitivo della parte diretto agli specifici effetti a cui l’atto è preordinato.

Ecco perchè nella richiamate sentenze, la salvezza dei ricorsi presentati da difensori non iscritti all’albo speciale è stata ancorata alla valutazione che l’imputato aveva volontariamente fatta propria l’impugnazione ed i motivi del difensore, condividendola.

3.4. Ciò premesso, tornando al caso oggetto di giudizio, si è di fronte ad un’impugnazione proposta personalmente dall’imputato detenuto, senza alcun apparente contributo del difensore (nè nomina, nè autentica).

Il ricorrente è un cittadino marocchino che mal comprende la lingua italiana, tanto vero da rivendicare la necessità dell’assistenza di un interprete per i colloqui riservati con il difensore.

Ciononostante il ricorso è formulato in perfetto italiano ed è sorretto da argomentazioni giuridiche, di diritto processuale e costituzionale, complesse e che presuppongono una conoscenza e padronanza degli istituti trattati non comune.

Non può pertanto ritenersi che si tratti di un atto frutto della volontà dell’imputato E.H., più realisticamente di un atto preparato dal difensore e sottoscritto dall’imputato.

Si potrebbe, quindi affermare che nella sostanza si sia di fronte ad uno dei casi affrontati dalla giurisprudenza sopra richiamata (senza però la formale presenza della sottoscrizione del difensore), a cui dovrebbe applicarsi il regime meno restrittivo già illustrato. Ciò però presuppone di potere ritenere "ratificato" o "condiviso" l’atto da parte dell’imputato, circostanza non ricorrente nel caso di specie considerata da un lato la scarsa padronanza della lingua italiana da parte dell’imputato e dall’atra la complessità del tessuto motivazionale dell’atto di impugnazione.

Pertanto in una caso come quello oggetto di giudizio, in cui con macroscopica evidenza la riferibilità dell’atto all’imputato è da escludere, ritenere che il ricorso sia proposto "personalmente" dall’imputato, finirebbe per avallare pratiche elusive delle disposizioni dell’art. 613 cod. proc. pen.. Deve, per quanto detto, ritenersi che il ricorso sottoscritto personalmente dall’imputato, ai sensi dell’art. 613 c.p.p., è inammissibile ove, dal tenore e contenuto dello stesso e da altre inequivoche e macroscopiche circostanze all’uopo rilevanti, debba ritenersi che l’atto non sia riconducibile personalmente alla parte.

4. Il ricorso è peraltro inammissibile anche per la manifesta infondatezza dei motivi.

4.1. Quanto al primo motivo di ricorso, va osservato che il termine di venti giorni per l’attesa del rilascio della certificazione consolare va rispettato al fine di consentire all’imputato o al suo difensore l’adempimento di tale formalità. Nel caso di specie, però, la certificazione era già stata allegata all’istanza, senza alcuna riserva di ulteriori produzioni (peraltro neanche fatte nel corso della procedura), pertanto correttamente il giudice ha deciso sulla richiesta anche prima della maturazione del termine.

4.2. In ordine alla seconda doglianza formulata, il giudice di merito ha richiamato la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale "In tema di gratuito patrocinio richiesto dallo straniero, l’attestazione dell’autorità consolare sulla veridicità dell’autocertificazione relativa al reddito non è di per sè idonea a determinare l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, atteso che è necessaria l’indicazione, anche in forma sintetica, dei concreti elementi acquisiti in merito, al fine di consentire gli eventuali ed opportuni controlli" (Sez. 3, Sentenza n. 38718 del 01/07/2004 Cc. (dep. 04/10/2004), Jarjani, Rv. 229605; coni Cass. Cass., Sez. 1, 8.3.2001, n. 9661, Yu Xiao Bing).

Nè può dirsi che tale statuizione finisca per porre gli imputati stranieri in una situazione deteriore rispetto ai cittadini, in quanto nella sostanza è un’apertura di credito nei confronti dell’attendibilità delle certificazioni consolari, a condizione che queste siano redatte con un minimo di approfondimento e senza dichiarazioni di mero stile. Tutto ciò a fronte, invece, degli approfonditi controlli a cui sono sottoposte le autocertificazioni rese dai cittadini ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 98. 4.3. Quanto, infine, alla eccezione di costituzionalità formulata, essa si palesa manifestamente infondata.

Premesso che, l’onere del gratuito patrocinio a carico dello Stato è manifestazione di solidarietà sociale nei confronti delle persone meno abbienti, le quali hanno diritto ad un’adeguata difesa tecnica al pari dei cittadini abbienti e quindi alla rimozione degli ostacoli che di fatto inibiscono l’esercizio dei diritti e facoltà nel procedimento; va osservato però che non è irragionevole sottoporre la possibilità di accesso a benefico a condizioni che consentano di valutare la effettiva situazione di precarietà economica dell’istante.

Peraltro la stessa Corte Costituzionale, nella già ricordata sentenza n. 219 del 1995, con riferimento proprio ai presupposti di ammissione per gli stranieri, ha affermato che "l’autorità consolare, se vuole rendere un’attestazione utile in favore dell’interessato, non può limitarsi a raffrontare l’autocertificazione con i dati conoscitivi di cui eventualmente disponga, ma (nello spirito di leale collaborazione tra autorità appartenenti a Stati diversi) ha (non certo l’obbligo ma) l’onere (implicito nella riferibilità ad essa di un atto di asseveramene di una dichiarazione di scienza) di verificare nel merito il contenuto dell’autocertificazione, indicando gli accertamenti eseguiti".

La manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione, palesa pertanto un ulteriore ragione di inammissibilità del ricorso.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 300,00 (trecento).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300= in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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