Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-02-2012, n. 2400 Compromesso e clausola compromissoria Lodo Procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 13 luglio 2009 la CO.BA.V. – Consorzio Ortofrutticolo Bassa Valsugana soc. coop. a r.l. (in prosieguo indicato come Cobav) impugnò dinanzi alla Corte d’appello di Trento un lodo arbitrale, emesso il 27 maggio 2009, che aveva annullato la delibera di esclusione dalla cooperativa dei sigg.ri S. P., R.M., T.L., Te.

O. e B.R., ai quali era stato imputato di aver diffamato a mezzo stampa il presidente del consorzio.

L’impugnazione fu rigettata dalla corte d’appello, la quale reputò inammissibili o infondate le eccezioni di nullità del lodo, sia quanto al modo d’instaurazione del procedimento arbitrale, che la Cobav aveva lamentato fosse stato introdotto mediante lettera raccomandata, anzichè con atto notificato a norma dell’art. 810 c.p.c., con conseguente decadenza per mancato rispetto del termine entro cui è possibile impugnare la delibera di esclusione di un socio di cooperativa, sia quanto ai principi di diritto applicati nel vagliare il complessivo contenuto degli articoli di stampa la cui pubblicazione – ingiustificatamente, secondo il collegio arbitrale – era stata posta a base dell’anzidetta delibera di esclusione.

In ordine alla prima questione, la corte trentina osservò che le peculiari modalità di nomina degli arbitri previste dal D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, rendono dubbia l’applicabilità al caso in esame del disposto del citato art. 810 c.p.c.; ed aggiunse che, comunque, le modifiche apportate al testo di quest’ultimo articolo dal D.Lgs. n. 40 del 2006, escludono la necessità d’introdurre il procedimento arbitrale mediante un atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario.

Quanto al contenuto della pronuncia arbitrale, la corte d’appello stimò che correttamente il lodo impugnato, dopo aver vagliato il contenuto complessivo dei due articoli di cui si era discusso, vi avesse ravvisato il legittimo esercizio del diritto di critica nei confronti dell’operato del presidente della cooperativa, onde non poteva affermarsi che il collegio arbitrale non si fosse pronunciato su tutte le questioni sottoposte al suo esame nè che fossero censurabili le conclusioni cui esso era pervenuto in ordine al difetto di una giusta causa di esclusione dalla società dei soci che all’esclusione si erano opposti.

Per la cassazione di tale sentenza la Cobav ha proposto ricorso, articolato in tre motivi.

I sigg.ri S., R., T., Te. e B. si sono difesi con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. E’ stata preliminarmente eccepita l’inammissibilità del ricorso per non essere stati formulati i quesiti di diritto prescritti dall’art. 366 bis c.p.c..

L’eccezione è però manifestamente infondata, giacchè si tratta di un ricorso proposto avverso una sentenza emessa in data successiva al 4 luglio 2009, al quale perciò non è più applicabile la citata disposizione dell’art. 366 bis, abrogata dalla L. n. 69 del 2009. 2. Col primo motivo di ricorso la cooperativa Cobav lamenta che la corte d’appello abbia violato, per un verso, l’art. 810 c.p.c. e del D.Lgs n. 5 del 2003, art. 34, in tema d’introduzione del procedimento arbitrale, e, per altro verso, gli artt. 121 e 137 c.p.c., e art. 2533 c.c., in tema di decadenza dal diritto di proporre opposizione avverso la delibera di esclusione dei soci dalla società.

La doglianza muove dal presupposto che per regola generale, non derogata dalla normativa speciale sull’arbitrato societario, nè venuta meno a seguito delle modifiche apportate all’art. 810 c.p.c., dal D.Lgs. n. 40 del 2006, il procedimento arbitrale dev’essere introdotto con una domanda notificata alla controparte, che ne segna l’inizio a tutti gli effetti, sostanziali e processuali, anche a prescindere dalle diverse possibili modalità di nomina degli arbitri. Nel caso in esame, invece, la domanda dei soci che si erano opposti all’esclusione dalla cooperativa e che, in conformità alla previsione di una clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale, avevano l’onere di proporre tale loro opposizione dinanzi ad un collegio arbitrale, non era stata notificata, bensì comunicata alla controparte con una mera lettera raccomandata. Il che, secondo la società ricorrente, avrebbe comportato sia la mancata instaurazione di un rituale rapporto procedimentale dinanzi agli arbitri sia la conseguente decadenza dei soci opponenti per mancato rispetto del termine legale e statutario entro il quale l’opposizione era da proporre.

2.1. La tesi prospettata dalla ricorrente ricalca il contenuto di un motivo d’impugnazione del lodo che la corte d’appello ha dichiarato inammissibile, dubitando che all’arbitrato societario si applichino le disposizioni dettate dall’art. 810 c.p.c., comma 1, invocate dalla cooperativa, e comunque ritenendo che l’introduzione del procedimento arbitrale si realizzi ritualmente anche mediante la comunicazione della domanda alla controparte a mezzo di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento (nella motivazione dell’impugnata sentenza si registra, a dire il vero, una qualche ambiguità terminologica:

poichè talora si contrappone l’ipotesi dell’atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario con quella dell’atto notificato a mezzo posta, per quest’ultima però presumibilmente volendosi intendere non già la fattispecie disciplinata dall’art. 149 c.p.c., bensì la mera comunicazione dell’atto al destinatario mediante spedizione postale).

La ricorrente, come s’è detto, mette in discussione entrambe tali affermazioni, ma, per vagliare il fondamento delle sue doglianze, è indispensabile anzitutto ricordare che l’impugnazione del lodo arbitrale è ammessa solo entro i limiti strettamente fissati dall’art. 829 c.p.c.. Occorre quindi, preliminarmente, verifìcare come, nel caso in esame, i motivi d’impugnazione proposti dalla Cobav s’inquadrino nelle previsioni dell’anzidetto articolo; ed è opportuno anche sottolineare che il procedimento arbitrale del quale si discute è stato introdotto nell’anno 2008, onde al relativo giudizio d’impugnazione risultano applicabili le innovazioni introdotte nel codice di rito dal D.Lgs. n. 40 del 2006. 2.2. La questione sollevata dalla cooperativa impugnante circa la ritualità della proposizione di una domanda di arbitrato comunicata a mezzo posta potrebbe esser ricondotta ad una delle ipotesi di nullità previste dal citato art. 829 soltanto se la si riguardasse sotto il profilo delle modalità di nomina degli arbitri, contemplato dal comma 1, n. 2. Non gioverebbe, invece, richiamare la previsione del precedente n. 7, non risultando che nel presente caso le modalità d’introduzione del procedimento arbitrale fossero state prescritte dalle parti sotto espressa sanzione di nullità, nè quella del n. 9, giacchè non è controverso che dinanzi agli arbitri il contraddittorio si sia comunque tempestivamente e pienamente instaurato.

Ma, se si ha riguardo alla disposizione del citato art. 829, comma 1, n. 2, cioè alle forme ed ai modi di nomina degli arbitri, ciò che potrebbe in astratto assumere rilievo nella presente vicenda non è lo strumento attraverso il quale la domanda di arbitrato formulata dai soci opponenti è stata portata a conoscenza della società opposta, bensì come si è proceduto alla designazione del collegio arbitrale. Sotto questo profilo la doglianza della società ricorrente appare però assai lacunosa, perchè essa è invece quasi esclusivamente focalizzata sulla necessità di notifica della domanda alla controparte, tanto che nello stesso ricorso (pag. 10) si giunge espressamente ad ammettere che l’invio di una lettera raccomandata possa essere stata idonea a determinare la nomina degli arbitri.

Giova allora ricordare che, a norma dell’art. 810 c.p.c., comma 1, la domanda di accesso agli arbitri, quando il compromesso o la clausola compromissoria prevedono che questi siano nominati dalle parti, deve contenere l’indicazione dell’arbitro o degli arbitri designati dalla parte istante e l’invito alla controparte a designare il proprio o i propri arbitri. Può dunque accadere che l’instaurazione del rapporto arbitrale tra le parti preceda la costituzione dell’organo decidente, ma occorre che siano almeno contestualmente poste le premesse per la sua costituzione. Le cose stanno invece diversamente per il c.d. arbitrato societario, perchè il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, comma 2, prescrive inderogabilmente che il potere di nomina degli arbitri sia conferito ad un terzo (estraneo alla società). Nulla è detto quanto al modo d’instaurazione del procedimento, ma è indubbio che anche in questo caso si renda necessaria la proposizione di una domanda, che valga ad identificare gli estremi oggettivi e soggettivi del rapporto arbitrale, come del resto si ricava dal primo comma del successivo art. 35, che prevede l’iscrizione di tale domanda nel registro delle imprese. La domanda diretta alla controparte qui si distingue però nettamente dall’istanza per la nomina degli arbitri, che dev’esser rivolta al terzo cui spetta compiere tale nomina e non alla controparte, senza che vi sia quindi necessaria contestualità tra questi due atti.

Ciò chiarito, può forse avere una qualche plausibilità la tesi di chi reputa indispensabile che la domanda di arbitrato sia portata a conoscenza della controparte mediante il formale procedimento di notificazione (ancorchè l’attuale formulazione dell’art. 810 c.p.c., comma 1, non prescriva più che la notificazione deve avvenire a mezzo di ufficiale giudiziario); o, quanto meno, appare plausibile ritenere che solo attraverso la notificazione alla controparte tale domanda possa produrre effetti processuali e sostanziali corrispondenti a quelli di una domanda giudiziale, come è lecito argomentare anche dai commi conclusivi dell’art. 2652, dell’art. 2653, dell’art. 2690 e dell’art. 2691, nonchè dall’art. 2943 c.c., u.c., e dall’art. 2945 c.c., u.c., e dall’art. 669-octies c.p.c., comma 5 (si vedano anche, in argomento, Cass. 25 luglio 2002, n. 10922; Cass. 28 maggio 2003, n. 8532; Cass. 8 aprile 2003, n. 5457; e Cass. 12 dicembre 2003, n. 19025). E del pari è ragionevole sostenere che, identiche essendo le esigenze di maggior certezza in ordine ai modi ed ai tempi di consegna dell’atto al destinatario, la notifica della domanda alla controparte occorra anche per l’introduzione dell’arbitrato societario, quanto meno se fa difetto una diversa previsione al riguardo della clausola compromissoria inserita nello statuto sociale. Nulla, però, consente di affermare che, con riguardo a questa speciale tipologia di arbitrato, anche il distinto atto col quale l’interessato sollecita la nomina degli arbitri ad opera del terzo cui spetta provvedervi debba necessariamente essere inoltrato nelle forme prescritte per la notifica: nè lo stabilisce la normativa speciale nè lo si può ricavare dalla citata disposizione dell’art. 810, che, come s’è visto, muove dal diverso presupposto della naturale contestualità tra domanda di arbitrato ed attivazione del procedimento di nomina degli arbitri.

Alla stregua di tale principio di diritto, non è dato quindi ravvisare, nel caso di specie, alcuna ragione di nullità del lodo per violazione delle norme riguardanti la forma e la modalità di nomina degli arbitri.

2.3. Ma in realtà, come già accennato, la cooperativa ricorrente piuttosto che mettere in discussione le modalità di nomina degli arbitri, sofferma la propria attenzione sull’idoneità della domanda, comunicatale a mezzo posta, a dar vita tempestivamente al procedimento di opposizione dei soci avverso la loro esclusione dalla compagine sociale.

Per intendere appieno tale prospettiva occorre ricordare che il giudizio arbitrale è stato attivato, in forza di una clausola compromissoria contenuta nello statuto di un consorzio costituito in forma di cooperativa, per contestare la legittimità di una delibera con cui il consiglio di amministrazione di detta società aveva proceduto all’esclusione per giusta causa di alcuni soci. Essendo l’opposizione avverso la menzionata delibera di esclusione soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 2533 c.c., comma 3, la cooperativa convenuta nel procedimento arbitrale (odierna ricorrente) ha sostenuto che ad impedire detta decadenza non sarebbe valso l’atto col quale i soci esclusi avevano inteso introdurre il giudizio di opposizione dinanzi agli arbitri, non bastando a tal fine il mero invio alla controparte di una lettera raccomandata. Il mancato accoglimento di siffatta eccezione da parte del collegio arbitrale è stato poi dedotto dinanzi alla corte d’appello come causa di nullità del lodo, a norma dell’art. 829 c.p.c..

Quale che sia il fondamento teorico della tesi secondo la quale solo un atto notificato alla società sarebbe valso ad impedire la suaccennata decadenza, si deve qui osservare che il motivo d’impugnazione del lodo arbitrale così dedotto non può essere ricondotto ad altra previsione che quella dell’art. 829 c.p.c., comma 3. Esso evidenzia, cioè, un preteso errore di diritto, nel quale gli arbitri sarebbero incorsi per non aver accertato l’intervenuta decadenza dei soci che si erano opposti alla delibera di esclusione.

Ma, a seguito delle modifiche apportate all’articolo citato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, gli erorres in iudicando degli arbitri possono esser fatti valere come causa di nullità del lodo solo se questa sia espressamente disposta dalle parti o dalle legge. La violazione della suaccennata disposizione in tema di decadenza non rientra, però, tra i casi di nullità enunciati dal legislatore ed esula dalla previsione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 36. Neppure in alcun modo risulta che una tale ipotesi di nullità sia stata contemplata dalla clausola compromissoria contenuta nello statuto della cooperativa.

Resta perciò confermata, sia pure in forza di una diversa motivazione in diritto, la conclusione d’inammissibilità del motivo d’impugnazione del lodo cui già la corte d’appello era pervenuta.

3. Per intendere compiutamente il senso del secondo e del terzo motivo di ricorso occorre premettere che, secondo il lodo arbitrale poi impugnato dalla Cobav, le vivaci contestazioni mosse in due articoli di giornale da alcuni soci nei confronti del presidente del consiglio di amministrazione della società rientrano nel legittimo esercizio del diritto di critica e non integrano, quindi, gli estremi una giusta causa di esclusione di detti soci dalla cooperativa.

Quest’ultima, nell’impugnare il lodo dinanzi alla corte d’appello, aveva lamentato che gli arbitri fossero incorsi in errori di diritto avendo preso in esame solo alcune delle frasi, ritenute diffamatorie, contenute in detti articoli di stampa, trascurandone altre parimenti offensive.

La corte d’appello ha reputato che, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dall’impugnante, la doglianza imputasse al lodo un vizio di omessa pronuncia; ed ha poi escluso che tale vizio in concreto fosse ravvisabile, avendo gli arbitri compiutamente esaminato il contenuto degli articoli di stampa dei quali si discuteva, correttamente individuato il contenuto essenziale di tali scritti e plausibilmente escluso che fossero stati travalicati i limiti del legittimo esercizio del diritto di critica.

Ora la difesa dalla Cobav lamenta, nel secondo motivo di ricorso, che la corte territoriale, così decidendo, abbia violato l’art. 112 c.p.c., poichè il motivo d’impugnazione del lodo aveva ad oggetto un error in iudicando degli arbitri – sul quale detta corte non si sarebbe espressa – e non un preteso vizio di omessa pronuncia. Nel terzo motivo, denunciando anche difetti di motivazione della sentenza impugnata, la ricorrente ripropone poi la propria tesi in ordine al carattere diffamatorio degli articoli di stampa sopra ricordati e sostiene che la corte d’appello, nel disconoscere tale carattere, avrebbe a propria volta violato molteplici norme di diritto in tema di diffamazione e di onere della prova.

3.1. Le riferite censure sono manifestamente prive di fondamento.

S’è già ricordato come il lodo arbitrale del quale si discute non risulti impugnabile, a norma dell’art. 829 c.p.c., comma 3, per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia. Tanto basta a privare di ogni base la doglianza secondo cui la corte d’appello avrebbe errato nel non identificare il motivo d’impugnazione del lodo come volto a denunciare la violazione di regole di diritto commessa dagli arbitri. Se anche avesse ragione la ricorrente nel sostenere che essa non aveva inteso proporre un motivo d’impugnazione del lodo riconducibile alla previsione dell’art. 829, comma 1, n. 12 (ossia per omessa pronuncia su alcune delle domande o eccezioni prospettate dalle parti), non per questo la sua impugnazione avrebbe potuto trovare spazio, non essendo nella specie possibile, come già detto, censurare il lodo per errores in iudicando.

Per le medesime ragioni non hanno fondamento le doglianze contenute nel terzo motivo di ricorso, che ugualmente muovono tutte dall’errato presupposto della sindacabilità del lodo arbitrale per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, o addirittura per vizi di motivazione.

4. Alla reiezione del ricorso fa seguito la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che vengono liquidate in Euro 3.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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