Cass. civ., sez. Lavoro 14-06-2006, n. 13732 LAVORO SUBORDINATO- ESTINZIONE DEL RAPPORTO – DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto

G.F. conveniva in giudizio la S.r.l. Nuova Cosmetics deducendo di aver lavorato alle dipendenzedella stessa dal 4 settembre 1991 al 7 febbraio 2000, e di essere stato formalmente assunto solocon decorrenza 4 novembre 1999, con un contratto di formazione e lavoro, da ritenersi invalido;

di essere stato sospeso dal lavoro dal 1 dicembre 1999; di essere stato licenziato per giusta causa,in relazione al suo coinvolgimento in un procedimento penale, senza l’osservanza delle garanzie dicui alla L. n. 300 del 1970, art. 7. Chiedeva quindi:- il pagamento delle differenze retributive e di trattamento fine rapporto correlate alla effettivadurata del rapporto di lavoro, oltre il risarcimento danni per omissione contributiva;

– il pagamento delle retribuzioni per tutto il periodo di sospensione del rapporto di lavoro, oltre adifferenze di 13^ mensilità e indennità ferie per l’anno 1999;

– in relazione alla invalidità del licenziamento intimato, la condanna della società datrice di lavoro,per il caso di riconosciuta applicabilità della tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, lareintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno; altrimenti, il pagamento dellaretribuzione dal 7 febbraio al 15 febbraio 2000, dell’indennità sostitutiva del preavviso, deltrattamento di fine rapporto e dell’indennità di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8.

Il Tribunale di Perugia rigettava le domande del G., ad eccezione di quella relativa al pagamentodel T.F.R. per il periodo dal 4 novembre 1991 al 7 febbraio 2000.

Su appello del G., la Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della decisione di primogrado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore, condannando la società alpagamento dell’indennità di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8.

Avverso tale sentenza il G. propone ricorso per Cassazione affidato a sei motivi, notificato alFallimento della s.r.l. Natura Nova Cosmetics (a seguito del fallimento della società dichiarato consentenza del Tribunale di Perugia del 12 aprile 2003). La parte intimata non si è costituita.

Diritto

1. Con il primo motivo di ricorso si denunciano i vizi di violazione e falsa applicazione degli artt.

1321, 1322, 1325, 1326, 1362, 2086, 2094, 2096, 2727 – 2729 cod. civ., artt. 116, 244, 247 cod.

proc. civ., art. 372 cod. pen., nonchè difetto di motivazione.

La censura investe l’accertamento compiuto dal giudice di merito in ordine alla data diinstaurazione del rapporto di lavoro subordinato:tra le parti non è in contestazione il periodo successivo al 4 novembre 1991, ma l’attore in primogrado sostiene che il rapporto contrattuale si perfeziono in epoca anteriore, il 4 settembre dellostesso anno.

Il ricorrente critica la valutazione del materiale probatorio acquisito, e in particolare delledeposizioni testimoniali raccolte.

Il motivo non merita accoglimento, alla luce del principio, enunciato dalla costantegiurisprudenza, secondo cui la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilitàdei testi, come la scelta, fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggerela motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero diattingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenutoad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti.

Consegue che il controllo di legittimità da parte della Corte di Cassazione non può riguardare ilconvincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solola sua congruenza dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova.

Risulta così insindacabile in questa sede la valutazione del "peso probatorio" delle deposizioni deitesti P.M.G., G.F., M.S..

Quanto alla prima, fidanzata all’epoca con il G., la Corte territoriale ha definito la testimonianzacome scarsamente attendibile per i rapporti con la parte, e "de relato", perchè la sig. P. haprecisato di non aver mai visto lavorare il fidanzato e di aver appreso dallo stesso i fatti relativiallo svolgimento del rapporto di lavoro. La parte critica tale valutazione osservando che il giudicedi merito non ha tenuto conto di una circostanza appresa direttamente dalla teste, relativa ad unacomunicazione del padre della stessa sig. P. che nel settembre del 1991 "rappresentava lapossibilità di un lavoro presso la Natura Nova"; ma nulla consente di affermare e dimostrare ladecisività di tale elemento.

Quanto alla seconda teste, la critica investe un apprezzamento di fatto, congruamente motivato,sul carattere generico e non puntuale delle dichiarazioni rese.

Il teste M. ha riferito di essere andato a trovare il G. in un laboratorio chimico dell’azienda nelsettembre 1991 e di averlo visto indossare un camice bianco. Il giudice di merito ha ritenuto dinon poter inferire da questa circostanza l’esistenza a quell’epoca del dedotto rapporto di lavorosubordinato;

si tratta di un tipico giudizio di fatto che non rivela alcun vizio logico e, contrariamente a quantosostenuto nel ricorso, non richiede affatto, per la sua validità, alcuna dimostrazione dell’esistenzadi un diverso rapporto negoziale tra il G. e la società.

Analoga considerazione vale per il giudizio sulla rilevanza probatoria della ammissione contenutanella memoria di costituzione in primo grado della controparte, secondo cui era possibile che il G.

"si sia fatto vedere in azienda prima del 4.11.1991".

2. Con il secondo motivo, mediante la denuncia di violazione e falsa applicazione della 19 febbraio1984, n. 863, artt. 3, L. 20 dicembre 1990, n. 407, art. 8, comma 7, art. 1350 cod. civ., nonchè delvizio di omessa pronuncia ex artt. 112 e 342 cod. proc. civ., si sostiene che, in relazione allarichiesta di pagamento delle retribuzioni per il periodo del rapporto di lavoro decorrente dal 4settembre 1991, la società convenuta era tenuta a provare "oltre la non sussistenza dell’inizio delrapporto da tale data, l’instaurazione da data diversa di un rapporto contrattuale diversodall’ordinario rapporto di lavoro subordinato". Ciò avrebbe richiesto "ove la S.r.l. Nova Cosmeticsavesse voluto allegare l’esistenza di un contratto di formazione e lavoro", la prova dei relativirequisiti di legge.

La censura non ha alcun fondamento. La decisione del giudice di merito, con cui è stata esclusal’instaurazione di un rapporto contrattuale tra le parti prima del 4 novembre 1991, supera ogniquestione circa la configurabilità di un rapporto diverso da quello dedotto in giudizio, in assenzadi allegazioni di parte convenuta.

3. Con il terzo motivo si denunciano i vizi di violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost.,artt. 1206 – 1217, 2094 e 2099 cod. civ., R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825, art. 6, comma 13,convertito in L. 18 marzo 1926, n. 562, nonchè difetto di motivazione.

Si censura il mancato riconoscimento del diritto del lavoratore alle retribuzioni per il periodo dal 1dicembre 1999 al 7 febbraio 2000, nel quale si ebbe l’interruzione dello svolgimento del rapporto(correlata a un procedimento penale promosso nei confronti del G., con l’adozione di misure dicustodia cautelare) e al provvedimento di sospensione disposto unilateralmente dall’azienda conlettera del 4 dicembre 1999.

La parte sostiene che tale provvedimento, in mancanza di una normativa contrattuale collettiva,non può incidere sul diritto del dipendente alla retribuzione per il periodo di sospensione delrapporto; che su tale diritto non poteva neppure spiegare riflessi il successivo atto di recesso dellasocietà, dichiarato illegittimo dal giudice di merito.

Osserva poi che il provvedimento di sospensione poteva produrre effetti solo dal giorno 11dicembre 1999, data di ricezione della lettera della società; che dovevano riconoscersi comunquedovute le retribuzioni dalla data dell’offerta delle prestazioni lavorative da parte del G. con letterapervenuta il 29 gennaio 2000.

Il motivo merita accoglimento per quanto di ragione. Secondo il costante orientamento dellagiurisprudenza, l’adozione della misura cautelare non priva il lavoratore del diritto allaretribuzione;

tuttavia, nell’ipotesi in cui essa sia prevista e consentita dalla disciplina negoziale del rapporto – enei termini specifici in cui lo sia – l’effetto sospensivo investe anche l’obbligazione retributiva (v.

per tutte Cass. 15 novembre 1999 n. 12631, 8 gennaio 2003 n. 89).

Nel caso di specie, non è peraltro in discussione l’applicazione di questo principio (non risultandodel resto operante in proposito alcuna previsione di contratto collettivo); la statuizione in ordineall’insussistenza dell’obbligo retributivo del datore di lavoro si fonda infatti su un elementototalmente diverso dall’esercizio da parte del medesimo di misure di autotutela, e cioè sullaconsiderazione che "alla data di decorrenza del periodo di sospensione (13.12.1999) il G. sitrovava in stato di custodia cautelare, seppure in regime di arresti domiciliari ?sicchè versava in una impossibilità ad eseguire la prestazione lavorativa".

Nessuna contestazione viene mossa dalla parte in ordine all’effettiva sussistenza di una situazionedi impossibilità di svolgimento dell’attività lavorativa, che indubbiamente esclude, in relazione alprincipio generale di corrispettività delle prestazioni contrattuali, la persistenza nello stessoperiodo dell’obbligo retributivo.

Nella linea di questa corretta ricostruzione, la sentenza impugnata si rivela peraltro affetta da vizidi motivazione, perchè non è stato esaminato l’intero arco temporale considerato.

In primo luogo, la Corte territoriale fa decorrere l’interruzione dell’obbligo retributivo dalla datadel 13 dicembre 1999, mentre l’attore aveva riferito la sua domanda anche al periodo antecedente,dal 1 al 12 dicembre; per questa frazione di tempo manca dunque ogni accertamentosull’impossibilità della prestazione lavorativa.

In secondo luogo, non è stato considerato il dato della comunicazione, con lettera ricevuta il 29gennaio 2000, della disponibilità del G. a riprendere servizio, a seguito della cessazione degli effettidella misura restrittiva della libertà personale: l’omessa indagine in ordine a questa circostanza èdecisiva ai fini della verifica della sussistenza dell’obbligo retribuivo per questa seconda frazione ditempo (relativa ai giorni seguenti a tale data fino al 7 febbraio 2000).

4. Con il quarto motivo, mediante la denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e 5, diviolazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119 cod. civ., L. 15 luglio 1966, n. 604, artt. 3 e8" si censura il mancato riconoscimento del diritto alla indennità sostitutiva del preavviso.

Il motivo è fondato. Nella fattispecie il giudice dell’appello ha riconosciuto l’illegittimità dellicenziamento (per violazione delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 Stat. Lav.) attribuendoquindi, nel regime della c.d. tutela obbligatoria di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 (sostituito dallaL. n. 108 del 1990, art. 2) l’indennità risarcitoria prevista da detta norma. Ha affermato peraltroche l’indennità sostitutiva del preavviso è connessa unicamente al recesso dal contratto ex art.

2118 cod. civ. ed è perciò "incompatibile con l’ipotesi di licenziamento illegittimo che, viceversa,comporta in favore del lavoratore solo il risarcimento del danno, esaustivamente determinato L. n.

604 del 1966, ex art. 8".

Tale impostazione, che segue quella del precedente costituito da Cass. 8 febbraio 2000 n. 1404,non può essere condivisa. Nella disciplina del recesso unilaterale dal rapporto di lavorosubordinato, posta dall’art. 2118 cod. civ., il preavviso ha la funzione economica, giuridicamentedisciplinata, di attenuare le conseguenze dell’improvvisa interruzione del rapporto per chi subisceil recesso. Alla stessa funzione va ricondotta l’indennità sostitutiva prevista dalla stessa norma peril caso di violazione dell’obbligo di preavviso, in cui tale erogazione appare riferibile tecnicamentenon al risarcimento di un danno in senso giuridico (che presuppone un illecito) ma ad un danno insenso economico, talchè la legge prevede una "indennità" e non un "risarcimento" (cfr. in questosenso Cass. Sez. Un. 29 settembre 1994 n. 7914, in motivazione).

La regola del preavviso di cui all’art. 2118 cod. civ. esplica i suoi effetti, per la sua portata generale(fuori dell’ipotesi di giusta causa ex art. 2119 cod. civ.), in tutti i casi in cui il recesso ha efficaciaestintiva del rapporto di lavoro.

Con l’operatività di tale regola non interferisce la tutela della L. n. 604 del 1966 (cheespressamente richiama all’art. 3 la fattispecie del licenziamento per giustificato motivo "conpreavviso"); la garanzia prevista dall’art. 2118 cod. civ., non può invece trovare applicazionequando la sanzione di invalidità del licenziamento escluda il suddetto effetto estintivo, assicurandola continuità giuridica del rapporto di lavoro (come, oltre che nell’ambito della tutela c.d. reale L.

n. 300 del 1970, ex art. 18, nelle ipotesi di licenziamento nullo o inefficace).

L’impostazione qui criticata sembra non distinguere, in relazione ai limiti legali del potere direcesso del datore di lavoro, le fattispecie in cui il licenziamento, pur illegittimo, producecomunque l’estinzione del rapporto, da quelle in cui la tutela di legge esclude invece tale effettoestintivo; ed infatti Cass. 1404/2000 cit., che ha escluso il diritto all’indennità sostitutiva delpreavviso con riferimento ad un recesso idoneo a produrre la cessazione del rapporto, richiamacome precedente conforme la sentenza n. 12366 del 5 dicembre 1997, che riguarda invece un casoche rientra nella prima ipotesi indicata (licenziamento disciplinare illegittimamente intimato inregime di stabilità reale del rapporto).

Nella fattispecie in esame, trovando applicazione solo la tutela della L. n. 604 del 1966, art. 8,limitata alla erogazione della indennità prevista da detta norma, il licenziamento intimato hadeterminato la cessazione del rapporto di lavoro. Per quanto si è osservato, ciò comporta anche ildiritto alla indennità sostitutiva del preavviso; questa tutela non presenta alcuna incompatibilitàcon quella assicurata dalla norma da ultimo citata, che svolge una diversa funzione di risarcimentodel danno conseguente all’illegittimo licenziamento, con l’attribuzione di una penale forfettaria cheassorbe tutte le conseguenze dell’illecito.

5. Il quinto motivo, con la denuncia dei vizi di violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio1966, n. 604, art. 8, artt. 444 e 445 cod. proc. pen., nonchè difetto di motivazione, investe ladeterminazione dell’importo della indennità risarcitoria prevista dalla prima norma citata, stabilitain 2,5 mensilità di retribuzione.

Si assume che il giudice dell’appello non poteva attribuire rilevanza, a tal fine, alla vicenda penaledel G., data la mancanza di efficacia nel giudizio civile della sentenza penale emessa dal C.I.P. delTribunale di Perugia a seguito di richiesta di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p.; che comunquenon poteva essere considerato solo tale fattore, perchè doveva tenersi conto degli altri elementiche la sentenza impugnata non ha invece esaminato, relativi alle dimensioni dell’impresa (che nellaspecie "si avvicinava ai 16 dipendenti"), alla anzianità di servizio, al comportamento del G. nelcorso del rapporto, alla incidenza del licenziamento sulle condizioni di vita del lavoratore.

Il motivo non merita accoglimento. La L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8, nel testo sostituito dalla L.

n. 108 del 1990, art. 2, dispone che l’indennità risarcitoria è di importo compreso tra un minimo di2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alnumero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio delprestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.

La determinazione dell’indennità tra il minimo ed il massimo spetta al giudice del merito ed ècensurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria. (Cass. 5gennaio 2001 n. 107).

Nessuno di questi vizi è ravvisabile nella fattispecie, in cui il giudice dell’appello, dichiarando divoler considerare tutti i parametri previsti dalla suddetta norma, ha ritenuto di assegnareprevalenza alla valutazione del comportamento del lavoratore, in relazione alla incidenza dellavicenda penale sul rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Del resto, la sentenza penale diapplicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., costituisce indiscutibile elemento di prova peril giudice di merito, anche se il riconoscimento di responsabilità non è oggetto di statuizioneassistita dall’efficacia del giudicato (Cass. 19 dicembre 2003 n. 19505, 26 ottobre 2005 n. 20765); ilricorso non indica poi in quale atto del giudizio precedente sia stata prospettata la questione dellaesatta individuazione del numero dei dipendenti occupati e delle dimensioni dell’impresa.

6. L’accoglimento del ricorso nei limiti sopra indicati assorbe l’esame dell’ultimo motivo, con cui sicensura il provvedimento di compensazione delle spese del giudizio di appello.

7. La sentenza impugnata deve essere cassata per i profili di censura di cui ai precedenti punti 3. e4, con rinvio della causa ad altro giudice che dovrà procedere a nuova indagine al fine dideterminare, per i periodi dal 1 al 12 dicembre 1999 e dal 29 gennaio al 7 febbraio 2000, lasussistenza o meno di una situazione di impossibilità dello svolgimento della prestazionelavorativa, tale da escludere il corrispettivo obbligo retributivo del datore di lavoro; dovrà inoltreapplicare il principio di diritto secondo cui la violazione dell’obbligo di preavviso dellicenziamento, stabilito dall’art. 2118 cod. civ., comporta; l’attribuzione della relativa indennitàsostitutiva in tutti i casi in cui il licenziamento abbia determinato l’estinzione del rapporto,indipendentemente dal riconoscimento della indennità, risarcitoria di cui alla L. 15 luglio 1966, n.

604, art. 8, nel testo sostituito dalla L. n. 108 del 1990, art. 2. Il giudice del rinvio dovràprovvedere anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata in relazione aiprofili di censura accolti e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Firenze.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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