Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-02-2012, n. 2383 Opposizione a dichiarazione di fallimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma dichiarò il fallimento della Florex 2000 s.c.r.l. con sentenza depositata il 4 febbraio 2000, avverso la quale la società, con atto notificato il 18 luglio 2001, propose opposizione per violazione della L. Fall., art. 10, per violazione del diritto di difesa e per difetto delle condizioni oggettive per la declaratoria di fallimento. Il Tribunale di Roma accolse l’opposizione e revocò la declaratoria di fallimento, sul rilievo che tale pronuncia era intervenuta dopo la scadenza del termine annuale dalla cessazione dell’attività dell’impresa, in violazione della L. fall., art. 10.

L’appello proposto dalla Curatela del fallimento, cui resisteva la società, veniva accolto dalla Corte d’appello di Roma, che dichiarava inammissibile l’opposizione in quanto notificata tardivamente oltre il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento. Osservava la Corte: a) che erroneamente il tribunale, invece di esaminare prioritariamente l’eccezione, sollevata dalla Curatela, di inammissibilità dell’opposizione per tardività, era entrato nel merito della causa, rilevando la violazione dell’art. 10, e ritenendo quindi assorbite le altre questioni; b) che l’eccezione in ordine alla tardività dell’opposizione era fondata; c) che infatti doveva nella specie considerarsi, per la proposizione dell’opposizione, il termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ., comma 1, non essendo fondata la eccezione dell’opponente rilevante ai fini della eventuale inoperatività di tale termine alla stregua del disposto del comma secondo dell’art. 327 – circa la invalidità della notifica del ricorso introduttivo e del pedissequo provvedimento di convocazione della società a norma della L. Fall., art. 15.

Avverso tale sentenza, depositata il 28 gennaio 2008, la Florex 2000 s.c.r.l. in liq. ha proposto, con atto spedito per la notifica il 16 gennaio 2009, ricorso a questa Corte basato su sei motivi, illustrati anche da memoria. L’intimata Curatela fallimentare non ha depositato difese.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (l’ordine da seguire nell’esame delle questioni preliminari) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, oltre alla violazione dell’art. 24 Cost.. Con il secondo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 10 e delle regole circa l’ordine di esame delle questioni preliminari, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, oltre alla violazione dell’art. 24 Cost.. Sostiene che la violazione del termine previsto dall’art. 10 produce la "nullità-inesistenza", rilevabile anche d’ufficio, della sentenza dichiarativa di fallimento, per mancanza di un presupposto processuale essenziale; e che l’esame di tale questione preliminare (peraltro nella specie fondata, nonostante le contestazioni della Curatela appellante) deve precedere quello di ogni altra questione preliminare – come quella circa la tardività dell’opposizione – e del merito della controversia: diversamente ritenendo, si negherebbe all’imprenditore l’utilizzo dell’unico strumento – cioè l’opposizione – a sua disposizione per far valere la violazione dell’art. 10, in contrasto non solo con il disposto di tale norma ma anche con la sua ratio di garanzia di certezza dei rapporti giuridici (con esposizione alle conseguenze del fallimento a distanza, nella specie, di oltre tre anni dalla cessazione dell’impresa), oltre che dell’art. 24 Cost. e dell’art. 3 Cost.. 1.1 Entrambi i motivi – da esaminare congiuntamente perchè strettamente connessi – sono privi di fondamento. Premesso che il vizio di motivazione attiene al giudizio di fatto e non alla interpretazione delle norme processuali, il Collegio non può che condividere la statuizione in diritto della Corte di merito in ordine alla priorità da attribuirsi all’esame della questione relativa alla tempestività della introduzione dell’opposizione rispetto a quella concernente la violazione del termine stabilito dalla L. Fall., art. 10. Tale priorità non è contraddetta dalla qualificazione di tale violazione in termini di nullità della sentenza dichiarativa (e della successiva sentenza di appello) per difetto di un presupposto processuale: in tanto, invero, tale difetto può essere eccepito dalla parte, o anche rilevato dal giudice, in quanto la sentenza dichiarativa sia tempestivamente impugnata con l’opposizione, non essendo peraltro sotto alcun profilo condivisibile la tesi meramente adombrata dalla ricorrente secondo la quale la violazione del termine di cui alla norma richiamata produrrebbe l’inesistenza della sentenza stessa. Tesi che del resto la stessa ricorrente implicitamente contraddice là dove afferma che anche in tal caso l’opposizione costituisce l’unico strumento a disposizione del fallito.

2. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la statuizione relativa alla validità della notifica del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione all’udienza L. Fall., ex art. 15, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c., nonchè vizio di motivazione. Sostiene che la Corte di merito avrebbe ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 143 c.p.c., in assenza dei presupposti che ne legittimavano l’utilizzo. Si duole quindi, con il quarto motivo, che la Corte, avendo giudicato erroneamente valida la notifica anzidetta, non abbia applicato il disposto dell’art. 327 c.p.c., comma 2, in base al quale avrebbe dovuto ritenere tempestiva l’opposizione. 2.1 Anche tali doglianze sono infondate. La sentenza impugnata ha puntualmente evidenziato gli elementi in base ai quali ha ritenuto priva di alcun vizio la notifica in questione, rilevando come, dopo l’accesso senza esito dell’Ufficiale Giudiziario presso la sede sociale ove la società risultò da informazioni assunte in loco trasferita, e dopo il secondo infruttuoso tentativo presso il domicilio del legale rappresentante – che da informazioni assunte presso il portiere dello stabile risultò sconosciuto e che dal certificato anagrafico successivamente richiesto risultava trasferito ad indirizzo sconosciuto, venne infine eseguita nei confronti del suddetto legale rappresentante a norma dell’art. 143 c.p.c.. La ricorrente enuncia, nel quesito di diritto, il principio secondo cui il ricorso alle modalità di notifica stabilite dall’art. 143 c.p.c. presuppone che il notificante abbia svolto tutte le indagini effettive ed adeguate, non essendo sufficiente la mera irreperibilità anagrafica del destinatario. Tale principio, condivisibile, non risulta tuttavia violato o falsamente applicato nel provvedimento impugnato. La Corte d’appello non ha basato la sua decisione sulla irreperibilità anagrafica del legale rappresentante della società, bensì sugli esiti negativi delle ricerche effettuate dall’Ufficiale Giudiziario nei riguardi della società sia presso l’ubicazione della sua sede legale sia presso il domicilio del suo legale rappresentante risultanti dagli atti. Ne può opporsi che la Corte avrebbe dovuto rilevare, quanto alla prima relata negativa, come la società alla data dell’accesso risultasse dai documenti in atti già cancellata dal Registro imprese da circa dieci mesi; e che, quanto alla seconda, le informazioni negative assunte dall’Ufficiale Giudiziario presso il portiere fossero insufficienti. In primo luogo, la denuncia del vizio di motivazione su fatti controversi e decisivi presuppone l’indicazione in ricorso -qui omessa- del luogo del giudizio di merito in cui tali fatti siano stati tempestivamente dedotti dalla parte; in secondo luogo, l’unico fatto il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito, cioè la intervenuta cancellazione della società su domanda, non conduce a conclusioni diverse da quelle esposte nel provvedimento impugnato, giacchè tale cancellazione, se evidentemente non esonerava il notificante dal rispetto del procedimento di notifica delineato dall’art. 145 c.p.c., commi 1 e 3 (nel testo all’epoca vigente) e quindi dal tentare la notifica in primo luogo presso la sede legale, non gli imponeva, in caso negativo, di "approfondire le indagini estendendole alla verifica della esistenza della società", o di tentare la notifica presso la sede operativa in (OMISSIS), come infondatamente (e in contrasto con la allegata cessazione dell’attività) sostiene la ricorrente, prima di ricorrere al criterio suppletivo all’uopo previsto dall’art. 145 c.p.c., comma 3. Quanto poi alla critica in ordine alla ritenuta sufficienza delle informazioni circa il legale rappresentante assunte dall’Ufficiale Giudiziario presso il portiere dello stabile, tale critica, basata sulla omessa indicazione di "indagini ulteriori", si mostra inammissibile, in quanto tendente ad un generico riesame del merito che esula dai limiti del giudizio di legittimità. 3. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce che in ogni caso, anche a voler considerare legittimamente eseguita la notificazione dell’atto introduttivo a del procedimento ai sensi dell’art. 143 c.p.c., la Corte d’appello non avrebbe potuto ignorare che tale notifica era intervenuta quando ormai era scaduto il termine annuale stabilito dalla L. fall., art. 10, con conseguente carenza di un presupposto essenziale di validità ed efficacia della sentenza di fallimento, come eccepito in sede di opposizione e ribadito in appello. Denuncia quindi la ricorrente l’ulteriore violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 10 e delle norme e dei principi che regolano l’esame delle questioni preliminari, nonchè la carenza assoluta di motivazione sul punto. 3.1 Tale doglianza non fa che riproporre l’argomento già trattato sub 1), aggiungendo l’ulteriore prospettazione della violazione di un preteso termine perentorio previsto dall’art. 10 per la notifica dell’istanza di fallimento e del decreto di convocazione. Prospettazione che, in ogni caso, nulla aggiunge a quanto già esposto, là dove (cfr. supra 1.1) si è osservato come l’accertamento in ordine alla tardività della opposizione assorba ogni altra questione introdotta con tale mezzo processuale, ivi compresa quella circa la violazione del termine previsto dall’art. 10 per la declaratoria di fallimento. 4. Con il sesto motivo, infine, la ricorrente censura la sentenza per aver dichiarato valida ed efficace la notificazione della sentenza dichiarativa del fallimento, omettendo l’esame della questione, sollevata con l’atto di opposizione e comunque rilevabile d’ufficio, concernente la nullità di tale notifica, avvenuta ai sensi dell’art. 143 c.p.c., nonostante il legale rappresentante di essa ricorrente avesse nel frattempo comunicato all’anagrafe il proprio nuovo domicilio in Roma. Denuncia quindi violazione ed erronea applicazione dell’art. 143 c.p.c., e omessa o insufficiente motivazione. 4.1 Osserva tuttavia il Collegio come la sentenza impugnata non abbia affatto dichiarato la validità della notifica della sentenza dichiarativa di fallimento, avendo invece considerato, prescindendo da tale notifica, l’omessa proposizione della opposizione avverso la sentenza stessa entro il termine lungo di un anno dal suo deposito, a norma dell’art. 327 c.p.c.. Ne deriva che il motivo – al pari pervero del relativo quesito di diritto – non intercetta affatto la ratio decidendi e non merita quindi ingresso.

5. Si impone pertanto il rigetto del ricorso, senza provvedere sulle spese di questo giudizio di legittimità non avendo l’intimato svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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