Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-07-2011) 30-09-2011, n. 35586 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- D.L.L., nella qualità di legale rappresentante pro tempore della Samidad coop. a r.l., operante nel settore socio- sanitario, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza 18.1.2011 del tribunale di Chieti che, in sede di appello avverso il pregresso provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca del sequestro preventivo della somma di Euro 150.000 disposto con decreto del gip del tribunale di Vasto datato 18.2.2009, disponeva solo la riduzione della somma sequestrata limitandola ad Euro 45.000.

-2- In breve la descrizione della fattispecie e del contesto procedimentale che conduce all’odierno giudizio: il Sindaco del Comune di Celenza sul Trigno, C.R., sulla base di un progetto, redatto dall’architetto A.D., dei lavori di ampliamento della residenza assistenziale sanitaria il Chiostro – lotto funzionale blocco C9 -, chiedeva ed otteneva un finanziamento di Euro 150.000, in forza della L.R. n. 67 del 2005, per la valorizzazione del patrimonio pubblico, il Chiostro suddetto, interessato agli interventi. Nelle more del procedimento funzionale ad ottenere il finanziamento la porzione immobiliare interessata ai lavori di ampliamento era stata venduta alla Samidad cooperativa a r.l., che aveva in precedenza ottenuto dal Comune la concessione dell’immobile denominato "Il Chiosco di San Donato" al fine di adibirlo a casa albergo per anziani non auto-sufficienti. La vendita avvenuta nel Febbraio 2007, giusta delibera del 22.2. per un prezzo di Euro 90.000 a fronte di un valore stimato di Euro 328.000, e con l’impegno del Comune a terminare a proprie spese l’unità immobiliare interessata al progetto di ampliamento dell’ex Convento di San Donato, era stata sottaciuta alla comunità montana e all’ente erogatore del finanziamento. Ciò nonostante la Giunta esecutiva del Comune nell’Agosto del 2007, previa approvazione del piano di investimento, deliberava di stanziare il finanziamento di 150.000, ottenuto dalla Comunità montana, per le opere di ristrutturazione ed ampliamento della residenza sanitaria nella porzione o venduta alla cooperativa, ente privato. Da qui la contestazione di truffa aggravata ex art. 110 e 640 bis c.p. nei confronti del Sindaco, del progettista dei lavori, che dopo la vendita era divenuto socio della cooperativa, e di altri amministratori locali. Ne conseguiva il sequestro preventivo della somma di Euro 150.000 ai danni della cooperativa e la successiva riduzione dell’importo, mantenendo il vincolo solo sulla somma effettivamente erogata di Euro 45.000.

-3- Con l’unico motivo di ricorso si denuncia l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 322 ter c.p. in relazione all’art. 640 quater c.p. nella parte in cui il provvedimento giudiziale ha omesso di valorizzare, come dovuto, il fatto che la somma erogata era confluita nel patrimonio di un terzo di buona fede. E’ pur vero che l’art. 322 ter c.p. impone, in caso di condanna o di applicazione della pena patteggiata per il reato de quo, la confisca, e quindi il sequestro preventivo ad essa funzionale, dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo ovvero dei beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo. Ma la disposizione è inapplicabile allorchè i beni appartengono a persona estranea al reato. E la Samidad tale doveva essere considerata, per essere ininfluente per tale configurazione il fatto che l’architetto A. dopo più di un anno dalla compravendita è divenuto socio della cooperativa in una operazione complessiva volta al reclutamento di nuovi associati per acquisire fondi da poter investire nella struttura. In definitiva il finanziamento non era stato chiesto dalla Cooperativa, non le era stato aggiudicato, ma il beneficiario era stata la Comunità montana e, per essa, il Comune, la cooperativa era stata addirittura danneggiata per aver dovuto completare i lavori dell’predetto lotto c), per l’inadempienza del Comune, chiedendo un finanziamento ed un mutuo.

-4- Il ricorso non merita accoglimento perchè infondato.

Invero, anche a non voler aderire al discorso giustificativo giudiziale in merito alla contiguità della Samidad agli imputati per via della condotta post-factum dell’imputato A., divenuto socio della predetta società, è rilevante il fatto che il profitto del reato di truffa è stato acquisito al terzo che ne è divenuto beneficiario senza alcuna sua obbligazione se non quella derivante da una operazione – contratto di vendita di un bene pubblico al privato e successivo finanziamento non dovuto, per il carattere divenuto privato dell’immobile, di contributi comunitari – qualificata illecita, perchè costitutiva del reato di truffa configurato. Ora, anche aderendo alla postulazione difensiva sul punto della buona fede della società contraente, la predetta, nella persona del suo legale rappresentante e dei suoi organi responsabili della contrattazione, non potrebbe mai considerarsi estranea al reato, ma intranea ad esso.

Il terzo, così definito in quanto non imputato del reato, è tutelato dall’ordinamento se non solo sia in buona fede ma si trovi in una posizione tale da dover subire un ingiusto danno dalla misura cautelare o ablativa che incida sul suo patrimonio. Nella specie un tale carattere di illegittimità è lungi dal potersi configurare.

Anzi, può dirsi ancora di più: il richiesto annullamento della misura cautelare darebbe luogo ad un ingiustificato arricchimento della società Samidad che sarebbe conseguentemente obbligata civilmente alla restituzione nella misura e con le modalità prescritte dal codice civile. Il che rinviene la sua giustificazione nel fatto che la buona fede non può essere tutelata dall’ordinamento nella misura in cui il profitto, il prodotto del reato o comunque le cose passibili di misure cautelari e ablatorie vengano in contatto, nel senso della acquisita disponibilità del terzo su di esse, direttamente in forza della commissione dell’illecito, senza alcun intervento, nei confronti della res costitutiva del disvalore giuridico-penale, del terzo che valga ad acquisirne in modo lecito la proprietà o disponibilità.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *