Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-07-2011) 30-09-2011, n. 35574

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.L., B.E. e M.M. venivano tratti a giudizio, unitamente ad altri quattro coimputati (non ricorrenti), per rispondere di associazione a delinquere e di numerosi reati-fine di varia specie. Sebbene formalmente i capi di imputazione siano solo venticinque, alcuni di essi racchiudono più reati eterogenei (ad esempio, ricettazione e falso) e l’ultimo comprende ben n. 133 episodi di truffa. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 3 marzo 2006, assolveva completamente uno dei coimputati, riteneva tutti gli altri responsabili dell’associazione a delinquere e operava una serie di distinzioni in ordine alle responsabilità personali dei compartecipi per i singoli reati fine.

Con sentenza del 9 novembre 2010 la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di S.L. per i reati di cui ai capi b), d), e), f), g), h), l), n), o/ q), f), w) e z) e di B.E. e M.M. anche per il capo a), in quanto estinti per intervenuta prescrizione. Conseguentemente rideterminava la pena per le residue imputazioni in anni 4, mesi 10 e giorni 20 di reclusione per il S.; in anni 2, mesi 8 e giorni 15 di reclusione ed Euro 800,00 di multa per il M.; in anni 2 e mesi 8 di reclusione ed Euro 3.500,00 di multa per il B.; oltre al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili e pene accessorie per tutti i condannati. Non rilevano in questa sede le statuizioni relative agli altri coimputati, non ricorrenti per cassazione.

Avverso tale sentenza i tre menzionati imputati propongono separati ricorsi.

Il M., già mandato assolto in primo grado per i reati di cui ai capi n), o), p), s), t), u), v), w) ed y) è stato – in definitiva – condannato per i soli fatti descritti ai residui capi c), i), m), r) e x). In ordine a tale condanna, egli deduce col presente ricorso in linea generale la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e);

inoltre, per i soli reati di cui ai capi m) e x), anche la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b).

Il B. censura la sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di motivazione in relazione sia alla sussistenza dell’associazione a delinquere di cui al capo a), sia in ordine sua personale responsabilità per gli episodi di ricettazione.

Allo stesso modo, il S. deduce il vizio di motivazione della sentenza della corte territoriale in relazione tanto al reato associativo, quanto ai singoli reati fine.

Conviene, per ordine logico, esaminare per prima la censura – comune a tutti i ricorsi – che concerne l’affermazione dell’esistenza di un’associazione a delinquere costituita al fine di perpetrare frodi bancarie. Sebbene del reato continui a rispondere solamente il S. – al quale, nella qualità di organizzatore, si applica il secondo comma dell’art. 416 bis c.p. – mentre per tutti gli altri il delitto risulta oramai prescritto, la sussistenza dell’associazione a delinquere quale fatto storico costituisce un passaggio essenziale del percorso argomentativo seguito dai giudici di merito per affermare la responsabilità penale di tutti gli imputati.

Secondo l’ipotesi accusatoria, il fulcro di questo sodalizio criminoso è rappresentato dal S. e dal M.. Di quest’ultimo risultano dimostrati rapporti – finalizzati alla commissione dei reati per cui si procede – anche col B..

Sostengono invece i ricorrenti, con comunità di accenti, che non vi esisterebbe alcuna associazione ex art. 416 c.p., dal momento che non è emersa la prova di relazioni dirette fra il B. ed il S..

Sotto questo profilo tutti i ricorsi sono infondati, dal momento che la sentenza di merito ha dato ampia ed adeguata giustificazione delle ragioni per cui è stata ritenuta sussistente l’associazione a delinquere.

Va premessa, al riguardo, la pacifica constatazione, contenuta in entrambe le sentenze di merito, che a cavallo fra il mese di novembre 2002 ed il marzo 2003 furono aperti sulla piazza di Roma vari conti correnti intestati ai ricorrenti e ad altri coimputati (oggi non ricorrenti) ovvero a persone inesistenti, sui quali venivano effettuati versamenti mediante assegni scoperti o l’utilizzo di POS senza il consenso dei titolari. Le somme così versate erano immediatamente prelevate, prima che la banca si avvedesse della mancanza di provvista, col correlativo ingiusto profitto. Fra questi conti, quello sul quale sono risultati più numerosi gli accrediti mediante POS era intestato a tale A., nome poi rivelatosi fittizio e successivamente identificato in persona del M..

Nella sentenza d’appello si legge: "Ciò che apre lo scenario sul contesto associativo, è quanto emerge dal … colloquio del 20 febbraio tra il M. ed il nuovo direttore dell’Istituto, da cui si rileva l’insistente intento del M. di evitare che la banca chiudesse il conto della D.A., almeno per altri quindici giorni. Poichè il conto dell’ A. cioè del M. era quello destinatario dei versamenti POS, il violento interessamento dell’imputato verso il conto della D.A. lo mette incontrovertibilmente in relazione agli omologhi accrediti e prelievi che su tale conto venivano fatti dal S.. Si tenga a mente che la coimputata D.A. (non ricorrente) è la madre del S. ed è pacifico che lo stesso amministrasse di fatto il tabacchino a lei intestato.

La Corte d’appello prosegue: "Per la posizione del B., è appena il caso di rilevare che la condivisione del locale con il POS, il rinvenimento del carteggio contabile dettagliatamente specificato nella sentenza di primo grado, rinvenuto sia nella sua auto sia nella sua abitazione, lo mette in evidente relazione con gli illeciti accrediti sul conto dello " A." mediante l’uso clandestino delle carte di credito di cui si è detto e, attraverso il M., con gli altri coimputati che condividevano i medesimi interessi, convergenti sul conto della D.A.".

In sostanza, il giudice di secondo grado evidenzia l’esistenza di una inequivoca interessenza fra il M. – già effettivo titolare del conto intestato al fantomatico A. – e la D.A., titolare di altro conto corrente sul quale erano effettuate operazioni illecite, tanto da spingersi ad operare in favore della stessa minacciando il direttore dell’istituto di credito per tentare di impedire la chiusura del conto. Peraltro, in quella occasione, il M., per rafforzare la sua minaccia, rammenta al direttore della filiale il pestaggio occorsogli qualche tempo prima; la Corte d’appello sottolinea che la conoscenza da parte dell’imputato di quell’episodio è argomento per ritenere che anche il precedente fatto delittuoso rientra fra i reati posti in essere dalla associazione a delinquere e ne costituisce, al contempo, prova della effettiva esistenza. In sostanza, dall’interessamento del M. per il conto corrente della D.A., si trae argomento per affermare l’esistenza di un sodalizio criminoso fra costei, il M. (alias A.), il S. (che operava sul conto della D.A. e che, quindi, è considerato l’effettivo beneficiario delle operazioni bancarie illecite compiute sul conto della madre) e gli autori del pestaggio di cui il direttore dell’agenzia bancaria era rimasto vittima qualche tempo prima.

Altro elemento sintomatico dell’esistenza dell’associazione a delinquere è indicato dalla Corte d’appello nella circostanza che il M., mentre aveva in uso un’autovettura di proprietà del B., riceveva dal S. una busta contenente del materiale, verosimilmente identificato in alcune ricevute di carte di credito fraudolentemente sottratte al ristorante (OMISSIS) ed utilizzare per acquisire i dati necessari al compimento delle operazioni fraudolente. Inoltre nell’autovettura, al momento dell’intervento dei Carabinieri, veniva rinvenuto vario carteggio contabile rilevante ai fini delle indagini. Tale episodio evidenzia – nella ricostruzione dei fatti offerta dai giudici di merito – l’esistenza di rapporti sodali sia fra il S. ed il M., sia fra quest’ultimo ed il B..

Un ulteriore contributo all’accertamento della responsabilità degli imputati in ordine al reato associativo è individuato dei giudici di merito nella circostanza che le operazioni POS venivano effettuate dalla sede della Geraf, i cui locali, al cui interno era installato un apparecchio POS, erano condotti in affitto dal M. e dal B..

Sul punto la sentenza impugnata offre di un’ulteriore approfondita considerazione: "Assolutamente ininfluenti nella economia generale della vicenda appaiono le considerazioni degli appellanti in ordine alla mancanza di accreditamenti POS sul conto della D.A., in quanto per una siffatta tipologia di transazione era necessaria una autorizzazione della banca che era stata ottenuta dallo " A." sul proprio conto" ma non anche dalla D.A.; "è pertanto evidente la ragione per cui tali movimentazioni non fossero presenti sul conto della D.A.. Ma la metodologia della truffa studiata dagli imputati era assolutamente la medesima: accredito illecito oppure senza provvista come tempestivo prelievo in tempi incompatibili con la possibilità di avvedersi dell’illecito. In sostanza una repentina monetizzazione della transazione avvenuta poco prima". Quindi anche il modus operandi della banda è indicato dalla Corte territoriale quale elemento che, ricorrendo in modo identico in ognuna delle singole vicende che interessano gli imputati, attesta la unicità del programma criminoso.

L’ampio apparato argomentativo impiegato dalla Corte per dimostrare l’esistenza dell’associazione a delinquere non presenta incrinature e non presta il fianco alle censure mosse dagli imputati con i ricorsi in esame. In particolare, va esclusa la carenza di motivazione, dal momento che, per affermare la sussistenza di una associazione a delinquere, non occorre che siano compiutamente delineati i ruoli svolti da ciascuno dei componenti all’interno della stessa nè che sia comprovata l’esistenza di rapporti diretti fra tutti i sodali. Ed infatti la partecipazione all’associazione a delinquere non va esclusa nel caso in cui sia dimostrata la sussistenza di rapporti diretti con solo uno dei partecipi al sodalizio criminoso, purchè in tal modo si instauri un rapporto indiretto anche con chi ricopre ruoli apicali di direzione e comando dell’associazione e sia comprovata l’adesione del singolo partecipe al programma criminoso.

Il capo dell’associazione deve essere identificato, nella specie, in persona del S., come si evince dalla circostanza che fu su suo incarico (o, quantomeno, nel suo interesse) che il M. si recò in banca per effettuare intimidatorie pressioni al fine di scongiurare la chiusura del conto corrente intestato alla D. A.. Non assume quindi rilievo la circostanza che non siano emersi nel corso dell’istruttoria rapporti diretti fra e il S. ed il B., essendo comunque evidente che quest’ultimo aderiva, tramite uno stabile rapporto col M., alla organizzazione criminosa capeggiata dal primo.

Escluso, dunque, che la sentenza impugnata sia carente di motivazione, ogni altra contestazione mossa al riguardo dagli imputati concerne il merito è non è deducibile in sede di legittimità.

Parimenti privi di pregio sono gli argomenti difensivi volti a sostenere che nella specie vi sarebbe, al più, un concorso di persone nei singoli reati, anche in considerazione del ridotto arco temporale (circa tre mesi) nel quale si sono verificati i singoli episodi delittuosi.

Ed infatti, questa Corte ha avuto modo di precisare che "l’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, è individuabile nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associati vo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associati vo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati" (Cass. 4 ottobre 2004, n. 42635).

Nella specie, è quindi corretta la qualificazione dei fatti offerta dalla Corte d’appello, dal momento che l’apparato delittuoso predisposto era chiaramente funzionale al compimento di una serie indeterminata di frodi bancarie e l’interruzione dell’attività criminosa è dipesa unicamente dalla circostanza, estranea al sodalizio, dell’avvicendamento del direttore dell’agenzia bancaria presso cui erano aperti i conti correnti riferibili ai coimputati.

Venendo ai singoli reati-fine, va richiamato innanzitutto il principio secondo cui "il ruolo di partecipe rivestito da taluno nell’ambito della struttura organizzativa criminale non è di per sè solo sufficiente a far presumere la sua automatica responsabilità per ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, anche se riferibile all’organizzazione e inserito nel quadro del programma criminoso, giacchè dei reati-fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta criminosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato, essendo teoricamente esclusa dall’ordinamento vigente la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilità di "posizione" o da "riscontro d’ambiente" (Cass. 15 novembre 2007, n. 3194; Cass. 28 marzo 2003, n. 20994;

Cass. 28 settembre 2007, n. 37115).

Di tale principio ha fatto corretta applicazione il giudice di primo grado, che ha mandato assolti i compartecipi all’associazione a delinquere dai singoli reati-fine alla cui commissione non hanno portato un contributo personale.

Ciò posto, conviene esaminare per prima la posizione – più articolata – del M.. Egli, a seguito dell’assoluzione parziale conseguita in primo grado e della declaratoria di prescrizione fatta dalla Corte d’Appello risponde a tutt’oggi solamente dei reati di cui ai capi c), i), n), r) e c) dell’originaria imputazione. La sua partecipazione al reato di cui al capo c) si ricava dalla circostanza che sul modulo in bianco di carta d’identità ricettata, contraffatta coi dati anagrafici dell’inesistente A.F. ed usata a fini delittuosi venne apposta la sua fotografia. Altrettanto vale per il capo i), che ha ad oggetto la medesima carta d’identità falsa, usata però per compiere delitti ulteriori rispetto a quelli indicati al capo c). Il capo m) si riferisce alle minacce estorsive poste in essere personalmente dal M., sedicente A., ai danni del direttore della agenzia della Banca Antonveneta; episodio di cui si è già detto in precedenza, in quanto ritenuto di significativa rilevanza ai fini dell’affermazione dell’esistenza dell’associazione a delinquere. Il ruolo di "potere forte del gruppo" (sentenza di primo grado, pag. 9) che il M. ha acquisito ponendo in essere in prima persona le condotte estorsive di cui si è detto, consentono di attribuirgli la responsabilità anche dell’episodio di ricettazione, contraffazione ed uso illecito della carta d’identità di cui al capo r), del tutto analogo, quanto alle modalità, al fatto di cui ai capi c) ed i); poco conta che qui non figura la sua fotografia, ma quella di un correo rimasto sconosciuto, dal momento che in ogni caso le operazioni bancarie effettuate mediante l’uso di quel documento d’identità falsificato sono confluite sui suoi conti correnti o su quelli intestati ad altri sodali a lui vicini.

L’imputazione di cui al capo x) riguarda la ricettazione delle ricevute dell’uso di carte di credito rubate nel ristorante Monteverde e consegnategli brevi manu dal S. mentre egli aveva in uso un’autovettura di proprietà del B.. Pertanto, stante la diretta partecipazione personale del M. a tutti i reati posti in rassegna, non sussiste alcun vizio di motivazione nell’affermazione della sua responsabilità. In particolare, non è vero, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, che egli sia stato ritenuto colpevole dei reati fine solo perchè partecipe dell’associazione a delinquere.

Il B. è chiamato a rispondere dei reati di cui ai capi r), s), y), e x), in quanto mandato assolto dalle altre imputazioni ovvero essendo state queste dichiarate prescritte. Il ordine ai capi r) ed s), il giudice di primo grado osserva: "il B. ha svolto un ruolo di assoluto protagonista nei fatti compiuti fantomatico R. R. cui era intestata, per l’appunto, la carta d’identità contraffatta di cui ai capi r) ed s) grazie all’accertato possesso del kit del falso correntista relativo a questo nome". Del reato di cui al capo y) egli è l’esecutore materiale. Per il capo x) vale quanto già osservato per il M., essendo stato proprio il B. a mettergli a disposizione l’autovettura usata per l’incontro col S.; sostiene il B. che la Corte avrebbe errato nell’affermare che l’autovettura in uso del M. fosse di sua proprietà anzichè della Aracne Informatica s.r.l., ma il dato non può essere valutato in questa sede, in quanto non è specificatamente indicato in ricorso l’elemento di prova da cui dovrebbe desumersi il travisamento dei fatti. In conclusione, anche l’affermazione di responsabilità penale del B. risulta debitamente sostenuta da una motivazione sufficiente e priva di contraddizioni. In particolare, pure per il B. non è vero, diversamente da quanto affermato in ricorso, che egli sia stato ritenuto colpevole dei reati fine solo sulla base della sua partecipazione all’associazione a delinquere.

Il B. si lamenta pure del trattamento sanzionatorio, ritenuto troppo aspro in comparazione con quello inflitto al M.. La questione è di merito e non può essere dedotta in sede di legittimità, dal momento che le imputazioni dei due correi non sono identiche e quindi non è possibile operare un raffronto automatico ed immediato del modo in cui sono stati applicati i criteri di cui all’art. 133 c.p..

Venendo infine alla posizione del S., si rileva innanzitutto che solo per lui -nella qualità di promotore dell’associazione a delinquere (art. 416 bis c.p., comma 2) – non è prescritto il reato di cui al capo a); della sussistenza dell’associazione e del ruolo dominante ricoperto all’interno della stessa dal S., si è già ampiamente detto e non è necessario soffermare ulteriormente l’attenzione. Gli ulteriori delitti di cui è chiamato a rispondere sono quelli di cui ai capi c), i), m), p), r), s), w), v), y) ed x);

tutti gli altri reati-fine sono stati dichiarati prescritti. Nella veste di organizzatore dell’associazione a delinquere, il S. – a differenza di tutti gli altri correi – può essere ritenuto penalmente responsabile per tutti i reati-fine commessi dai sodali, essendone stato comunque il promotore ed ideatore. Di parecchie di tali azioni delittuose, peraltro, egli è stato pure l’esecutore materiale. Anche in questo caso, pertanto, l’affermazione di responsabilità penale del ricorrente è sorretta da congrua ed adeguata motivazione.

Per tali ragioni tutti i ricorsi devono essere rigettati.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *