T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, Sent., 25-10-2011, n. 1550 Sanzioni amministrative e pecuniarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 3/10/1995 e l’8/11/1995 l’edificio di proprietà dei ricorrenti (foglio n. 13, mappale n. 365, sub. 4) ha formato oggetto di due denunce di inizio attività riguardanti opere interne da eseguire al piano terra e manutenzione straordinaria con sostituzione della copertura in eternit.

In data 30/11/1995 è stata presentata richiesta di concessione edilizia per mutamento di destinazione d’uso del primo piano, da adibire, al pari del piano terreno, ad attività commerciale. Nel corso dell’istruttoria tesa ad accertare la regolarità urbanistico edilizia dell’immobile sono emerse incongruenze tra le planimetrie catastali del 1939 e lo stato attuale.

Nella relazione allegata alla predetta istanza di concessione edilizia si è quindi evidenziato che il fabbricato è stato oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia di tipo D/3 (costituiti da modifiche delle distribuzioni interne, demolizione e ricostruzione dei solai, modifica di altezza dei vani, dell’imposta dei solai e delle aperture esterne, con aumento dell’altezza del piano terreno e corrispondente riduzione dell’altezza del primo piano, e realizzazione di volumi tecnici).

In relazione a tali opere i ricorrenti hanno presentato, in data 24/2/1996, una domanda di accertamento di conformità ex art. 13 della legge n. 47/1985 avente ad oggetto la formazione di due unità immobiliari mediante frazionamento e fusione delle precedenti, nonché un’istanza di sanatoria per difformità parziale, ex artt. 9 e 12 della legge n. 47/1985, riguardante la variazione di altezza dei solai, con formazione di soppalco al piano mezzanino: più precisamente, la richiesta di applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 9 fa riferimento alla variazione di altezze interne dei solai, dovuta alla modifica dei loro piani di imposta, mentre la richiesta di sanzione pecuniaria ex art. 12 assume ad oggetto l’ampliamento della latrina esterna con due vani di pertinenza dell’unità immobiliare ad uso di civile abitazione, posta al primo piano, e di un balcone.

L’istanza di applicazione delle sanzioni pecuniarie era giustificata dal fatto che l’Ufficio comunale Urbanistica aveva espresso perplessità circa la sanabilità ex art. 13 della legge n. 47/1985 per la modifica dell’orizzontamento tra piano terra e primo, essendo ammessi solo interventi di tipo conservativo.

Il Comune di Forte dei Marmi, con provvedimento n. 4 del 3/2/2004, quanto alla parte dell’immobile ad uso commerciale situata al piano terra, richiamata la stima effettuata dall’U.T.E. e l’art. 9 della legge n. 47/1985, ha quantificato la sanzione pecuniaria in euro 107.836,22 per le opere difformi consistenti in: maggior volume conseguente a demolizione e ricostruzione di solaio intermedio, trasformazione in commerciale di superficie residenziale, soppressione della superficie destinata a scala interna e formazione di soppalco al piano mezzanino. Lo stesso Comune, con provvedimento n. 7 del 4/3/2004, ha applicato la sanzione pecuniaria di euro 12.000 in relazione alla porzione ad uso residenziale situata al primo piano, stante la ravvisata impossibilità di demolire, senza pregiudizio della parte del fabbricato conforme al titolo edilizio, le opere abusive costituite da ampliamento del locale w.c. esterno con un corpo aggiunto comprendente due vani, e di un balcone, il tutto realizzato sulla soletta a sbalzo.

Avverso tali determinazioni i ricorrenti sono insorti deducendo:

1) violazione dei principi desumibili dagli artt. 1 e 2 della legge n. 241/1990, nonché dall’art. 13 della legge n. 47/1985 nel testo sostituito dall’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per violazione del giusto procedimento;

2) ulteriore violazione dell’art. 1 della legge n. 241/1990; violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990; falsa applicazione degli artt. 9 e 12 della legge n. 47/1985 nel testo sostituito dagli artt. 33 e 34 del D.P.R. n. 380/2001, e degli artt. 33 e 36 della L.R. n. 52/1999 nel testo modificato con gli artt. 28 e 32 della L.R. n. 43/2003; ulteriore eccesso di potere per violazione del giusto procedimento.

Si è costituito in giudizio il Comune di Forte dei Marmi.

Ad esito di ordinanza istruttoria n. 275 dell’11/2/2011 quest’ultimo ha depositato in giudizio una documentata relazione di chiarimenti.

All’udienza del 7 luglio 2011 la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

In via preliminare occorre soffermarsi sulle questioni in rito.

E’ stata eccepita l’irricevibilità del ricorso nella parte avente ad oggetto la determinazione n. 4 del 3/2/2004, sull’assunto che la valutazione dell’U.T.E. non è stata tempestivamente impugnata.

Il rilievo non ha alcun pregio.

La predetta valutazione costituisce atto di accertamento endoprocedimentale ai sensi dell’art. 9, comma 2, della legge n. 47/1985, il quale attribuisce al Comune il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria, ad esito di procedimento nell’ambito del quale si inserisce la stima effettuata dall’U.T.E., priva di autonomi effetti lesivi.

Entrando nel merito della trattazione del gravame si osserva quanto segue.

Con la prima censura i ricorrenti deducono che il Comune, prima di applicare la sanzione pecuniaria, avrebbe dovuto valutare la possibilità di rilasciare la concessione in sanatoria; aggiungono che non rileva, ai fini della sanatoria edilizia, la normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda ex art. 13 della legge n. 47/1985; gli istanti osservano poi che il modesto incremento volumetrico è ascrivibile alla categoria della manutenzione straordinaria, ed è quindi ammesso dagli artt. 20 e 22 delle N.T.A. del P.R.G..

Il motivo è infondato.

Qualora, dopo la presentazione della domanda di sanatoria edilizia, sopravvengano previsioni dello strumento urbanistico o delle relative N.T.A. che non ammettono l’intervento realizzato, quest’ultimo non può ottenere il titolo richiesto, sia perché la legittimità del provvedimento abilitativo assume necessariamente a riferimento la normativa vigente al momento della sua adozione, sia perché la finalità dell’art. 13 della legge n. 47/1985 è consentire la regolarizzazione degli abusi edilizi meramente formali, i quali cioè siano conformi alle norme urbanistiche ed edilizie e difettino del rilascio del titolo edilizio pur sussistendone i requisiti normativi, rilevando una situazione sostanziale legittimante analoga a quella del titolare della concessione edilizia (Cons. Stato, V, 15/11/1999, n. 1914; idem, 29/5/2006, n. 3236; TAR Campania, Napoli, VI, 6/6/2007, n. 5966).

In ogni caso il piano adottato il 25/3/1985, come riconoscono gli stessi ricorrenti (pagina 2 dell’atto di gravame), ammette per l’immobile in questione solo la ristrutturazione di tipo conservativo, disciplinata dall’art. 22 delle N.T.A..

Orbene, gli interventi in questione, comprendenti un incremento volumetrico al piano terra e riduzione di altezza al primo piano, in conseguenza dello spostamento del solaio, non sono legittimati dal citato art. 22, il quale non prevede modifiche volumetriche. Parimenti appaiono incompatibili col citato art. 22 gli ampliamenti di superficie localizzati al primo piano.

Né appare condivisibile la tesi dei ricorrenti secondo cui una parte degli interventi in questione rientra nella manutenzione straordinaria, giacchè rilevano opere collegate tra loro, da considerare unitariamente. Inoltre, sia al piano terra che al primo piano ricadono interventi non ascrivibili in alcun modo alla manutenzione: invero nel piano terra è stata aumentata la volumetria e l’altezza dei vani e sono stati sfruttati diversamente alcuni spazi (si pensi all’eliminazione della scala interna e della zona ad uso comune), mentre nel primo piano sono state ampliate le superfici del locale w.c. e del terrazzo.

Correttamente, quindi, nei due atti impugnati il Comune ha precisato che trattasi di opere non sanabili.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono che gli interventi edilizi in questione risalgono a prima dell’entrata in vigore della legge n. 47/1985, e che quindi quest’ultima non può trovare applicazione (retroattiva) nel caso di specie; aggiungono che non è ammissibile valorizzare l’incremento di volume realizzato nel piano terreno senza detrarre la diminuzione di valore connessa alla riduzione di volumetria del piano superiore, dovendosi considerare che la volumetria complessiva del fabbricato non è cambiata.

La censura non è condivisibile.

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio ritiene di aderire, ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste in materia di abusi edilizi rileva il momento in cui il Comune adotta il provvedimento sanzionatorio, in ossequio al principio generale tempus regit actum (TAR Piemonte, I, 5/5/2004, n. 762). Ciò in quanto l’illecito edilizio ha natura permanente, ovvero si pone in contrasto perdurante con l’interesse al regolare assetto del territorio tutelato dal legislatore ed è connotato dall’omissione dell’obbligo, protratta nel tempo, di ripristinare lo stato dei luoghi (Cons. Stato, V, 9/2/1996, n. 152; idem, 29/4/2000, n. 2544; TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 14/11/2005, n. 1636).

Quanto alla parte della censura incentrata sulla mancata valutazione della riduzione di volumetria del piano superiore, valgono le seguenti considerazioni.

I provvedimenti impugnati scaturiscono da due distinti procedimenti: uno teso a determinare la sanzione pecuniaria relativa al piano terra, avente destinazione commerciale, rispetto al quale le operazioni istruttorie di stima sono demandate all’U.T.E., secondo il criterio previsto dall’art. 9, comma 2, seconda parte, della legge n. 47/1985; l’altro teso a determinare la sanzione relativa al primo piano che, avendo destinazione abitativa, è sottoposto ai criteri di valutazione previsti dalla legge n. 392/1978, cui rinvia l’art. 9, comma 2, prima parte, della legge n. 47/1985.

Nel primo procedimento il maggior volume scaturente dalla demolizione e ricostruzione del solaio intermedio, la trasformazione della superficie da residenziale a commerciale, lo sfruttamento degli spazi comuni con eliminazione dello spazio adibito a scala interna, le nuove condizioni di funzionalità hanno concorso alla determinazione del prezzo di mercato dell’unità immobiliare de qua, posto a base di calcolo della sanzione pecuniaria.

Quanto al primo piano, a destinazione residenziale, la Commissione tecnica ha considerato la maggiore superficie del locale w.c. e del terrazzo, alla stregua dei parametri di cui alla legge n. 392/1978 (art. 13), incentrati sulla superficie, e non sull’altezza (a meno che si tratti di vani alti meno di metri 1,70).

La duplicità dei criteri di stima, che il legislatore ha diversificato a seconda che si tratti di unità immobiliare abitativa o a destinazione commerciale, giustifica quindi la mancata valorizzazione della riduzione di altezza nel primo piano.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese di giudizio, inclusi gli onorari difensivi, sono determinate in euro 3.000 (tremila) oltre IVA e CPA, da porre a carico dei ricorrenti.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna i ricorrenti a corrispondere al Comune di Forte dei Marmi la somma di euro 3.000 (tremila) oltre IVA e CPA, a titolo di spese di giudizio comprendenti gli onorari difensivi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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